Gentile Direttore,
Con ordinanza 24124/2024, depositata il 9/9/2024, la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione ha rimandando alla valutazione della Corte Costituzionale la questione di legittimità degli articoli 33, 34 e 35 della legge 833/1978, che normano il Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO)
Come è noto, questo provvedimento può essere attuato nel caso di alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici che non sono accettati dall’infermo e senza che ci siano le condizioni che consentano di adottare tempestive e idonee misure sanitarie extra-ospedaliere.
Nel caso preso in esame dalla Cassazione, una donna sottoposta a TSO ha lamentato di non aver ricevuto tempestivamente né il provvedimento del sindaco né la notifica della ordinanza di convalida, senza quindi poter presentare opposizione, se non dopo la scadenza del trattamento. Mentre infatti il provvedimento con cui il sindaco dispone il TSO deve essere notificato al giudice tutelare entro quarantotto ore, non è previsto dalla norma che i provvedimenti siano notificati all’interessato e tantomeno la sua audizione da parte del giudice tutelare, prima della convalida del provvedimento, né in un momento successivo, ma anteriore alla scadenza del trattamento. Rimangono alla pura discrezionalità del giudice tutelare, audizioni, eventuali accertamenti ed informazioni, o la verifica che sia stata esperita ogni iniziativa concretamente possibile per ottenere il consenso del paziente.
Le legge prevede che la persona o chi abbia interesse possa chiedere al sindaco la revoca del provvedimento e presentare ricorso, ma – dice la Cassazione - “l’assenza del diritto ad essere tempestivamente informati della decisione, delle ragioni su cui si fonda e della procedura attraverso la quale si perviene alla convalida giurisdizionale, nonché sulle modalità della opposizione, costituiscono un ostacolo rilevante all’esercizio del diritto ad un ricorso effettivo, alla difesa, ed in ultima analisi ad un giusto processo”.
Né il sindaco né il giudice tutelare sono tenuti a comunicare con il paziente, che può quindi impugnare solo il provvedimento finale, e per giunta "al buio", non essendo il paziente né informato né partecipe di tutti gli atti precedenti.
Per i giudici della Cassazione è irragionevole che il diritto all’ascolto venga assicurato nella fase medica ma non nella fase giurisdizionale. L’esigenza di tutelare urgentemente la salute non deve ostacolare un possibile contraddittorio e al diritto dell’interessato a partecipare, nella misura in cui glielo consentono le sue condizioni, alle decisioni sulla sua salute.
Va ricordato infatti che la Corte Costituzionale (sentenza n. 18 del 1992) ha sottolineato come il diritto alla tutela giurisdizionale vada considerato tra "i principi supremi del nostro ordinamento costituzionale in cui è intrinsecamente connesso - con lo stesso principio democratico - l'assicurare a tutti e sempre - per qualsiasi controversia - un giudice e un giudizio".
Ma non è possibile qualificare come controllo giurisdizionale “quello che non avviene nel contraddittorio delle parti e che si limita ad un controllo formale sulla procedura e sul rispetto dei termini, senza ascoltare le ragioni di chi a quell’intervento terapeutico si è opposto e ciononostante subisce una limitazione della sua libertà materiale e della autodeterminazione”; e nemmeno quello che non verifica se la persona interessata “è o meno in uno stato di capacità di intendere e di volere, così da poter organizzare una lucida difesa dei propri interessi” e che comunque “non potrebbe mai incidere sulla titolarità dei diritti, eliminandoli o ponendoli in stato di temporanea quiescenza, ma solo sulle modalità del loro esercizio”.
Ci ricorda che il TSO non è in realtà un intervento "obbligatorio" - con eventuale previsione di sanzioni a carico di chi non si sottoponga spontaneamente ad esso - ma "coattivo" - potendo il suo destinatario essere costretto con la forza a sottoporvisi, e questo impone la necessità delle piene garanzie costituzionali, in particolare dell'art. 13 Cost., che tutela in via generale la libertà personale e chiede che provvedimenti limitati siano convalidati da parte delle autorità giudiziaria; dell’art 24 Cost., che afferma che “la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”; e dell’art. 111 Cost. che considera giusto processo solo quello che si svolge nel contraddittorio.
La Cassazione richiama come la procedura del TSO sia da anni oggetto di critica da parte del comitato per la prevenzione della tortura (CPT), operante in seno al Consiglio di Europa, il quale, anche nell'ultimo Report periodico presentato (2023), ha rilevato come la prassi per cui il giudice tutelare non incontra mai i pazienti di persona, e i pazienti restano disinformati sul loro status legale, pone un problema di compatibilità con l’art. 13 della Costituzione italiana.
Su questa base la Cassazione ha ritenuto che il sistema normativo disegnato dagli articoli 33,34 e 35 della legge n. 833/1978 non è conforme agli articoli 2, 3,13,24, 32 e 111 della Costituzione, nonché all’articolo 117 della Costituzione in relazione agli articoli 6 e 13 Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ha sospeso il giudizio e rinviato gli atti alla Corte costituzionale per una valutazione.
La sentenza della Cassazione contiene anche alcune considerazioni di indubbio interesse. Segnala come la Legge 180/78 si sia occupata della dignità e del rispetto del paziente sotto il profilo medico, ma non “di quell'aspetto della dignità umana che si sostanzia nel diritto a essere informati e a contraddire nel procedimento che conduce ad una decisione restrittiva al tempo stesso della libertà personale e del diritto di autodeterminarsi, e nel diritto di difendersi tempestivamente, [….]”.
In questo viene visto “un ultimo residuo di quella logica manicomiale che la legge Basaglia ha avversato, e di quella convinzione, contrastata dal diritto vivente, che la persona affetta da patologia psichiatrica, disabilità, immaturità, non debba partecipare, nella misura in cui le circostanze glielo consentono, alle decisioni che la riguardano”.
Si tratta di una sentenza di indubbia importanza che lascia alla Corte Costituzionale una importante parola sul futuro di un aspetto centrale della normativa italiana.
Andrea Angelozzi