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Funzioni, relazioni interprofessionali ed evoluzione infermieristica: andare oltre lo status quo

di Walter De Caro

29 LUG -

Gentile Direttore,
mi permetto di intervenire nel dibattito suscitato dalla lettera di Saverio Proia pubblicata recentemente su Quotidiano Sanità. Ritengo che permanga una certa confusione dovuta anche a una visione distorta offerta da alcuni esponenti della rappresentanza professionale. Costoro, purtroppo, hanno contribuito a considerare come sinonimi i concetti di "competenze avanzate" e "competenze specialistiche", alimentando quella resistenza al cambiamento che appare evidente e il perpetuarsi di uno status quo ormai obsoleto anche nelle relazioni inteprofessionali. Parlare di competenze infermieristiche avanzate nel reale significato comunemente accettato a livello internazionale ha ben poco a che fare con “deregulation” o "escamotage", e forse sarebbe utile ripartire da una maggiore chiarezza.

Le competenze avanzate, come ben esplicitato nella recente definizione di assistenza infermieristica italiana, prevedono l'espansione e l'estensione dell'assistenza stessa. Se attuate, potrebbero consentire all'infermiere di sviluppare quell'autonomia, mai avuta in Italia ma diffusa e apprezzata, in molti Paesi. Lo stesso vale per l'anello intermedio della granularità infermieristica: le competenze specialistiche, di cui in Italia abbiamo già tanti esempi (wound care, infermiere di famiglia, accessi vascolari) che dovrebbero trovare riconoscimento negli incarichi di funzione crescente. In questo contesto, va sottolineata la doverosa valorizzazione, in specie economica, su cui devono essere fatti i principali investimenti, dell'attività infermieristica generalista, quella che è e rappresenterà il fulcro della professione. L’infermiere generalista, laureato, non può e non deve essere sostituito da “assistenti infermieri”: la letteratura internazionale è molto chiara sulla riduzione della mortalità con l’aumento del numero di infermieri formati all’università.

Questi sono esempi concreti di attenzione agli esiti, ai risultati che i cittadini chiedono in termini di qualità e sicurezza dell'assistenza e delle cure, al benessere e al coinvolgimento del personale infermieristico. Un simile approccio consentirebbe di avere personale più motivato e responsabilizzato.

Per ottenere ciò, è necessaria davvero una co-evoluzione. Occorre superare le rigidità professionali, anche da parte di alcuni leader istituzionali, aziendali e sindacali, e rendere anche i confini dell'agire professionale più flessibili, soprattutto nell'ambito delle competenze avanzate.

Ai cittadini interessa la salute per tutti, essere protetti e assistiti tempestivamente nelle emergenze e vivere in comunità sane. Che questo sia garantito anche da infermieri di pratica avanzata e non da medici – assicurando la medesima qualità e sicurezza – non dovrebbe essere un elemento dirimente. Pensiamo, ad esempio, alla possibilità che un infermiere possa gestire in autonomia l'ammissione e la dimissione da una struttura sanitaria, assistere un paziente durante un'emergenza utilizzando tutti i farmaci e i presidi a disposizione, gestire l'assistenza sanitaria primaria e le cronicità. Che un infermiere specialista, adeguatamente formato, possa intervenire su aspetti farmacologici e un infermiere con competenza avanzate prescriva farmaci per assistere i cittadini, non dovrebbe far paura o essere ostacolato. In Spagna la prescrizione infermieristica è dominio anche infermieristico fin dalla Laurea abilitante.

La resistenza al cambiamento da parte dei medici e di alcune frange della professione infermieristica è anacronistica. Tutti si dichiarano favorevoli a un approccio collaborativo e multidisciplinare, ma quando si tratta di passare ai fatti si tira il freno a mano. Si continua a parlare di carenza di medici, quando a essere drammaticamente carenti sono gli infermieri. Si continua a formare lo stesso numero di infermieri e medici senza che ci siano prove a supporto di questa scelta, con il rischio di ritrovarsi con una pletora di medici e le ovvie ripercussioni in ambito accademico. Si continuano a proporre o presentare proposte di nebulosi e altamente differenziati percorsi formativi regionali e/o accademici di secondo livello, nei fatti ben poco utili agli infermieri e alle esigenze dei cittadini.

Continuare su questa strada significa sminuire la professionalità di tanti professionisti sanitari, prendere in giro i professionisti, privare il sistema di risorse preziose e qualificate e contribuire al depauperamento dell'assistenza sanitaria.

Per invertire la rotta, è necessario evolvere individualmente e collettivamente. Una riflessione sulla staticità dovuta anche alle “alleanze” ordinistiche, con una revisione della Legge 3/2018, sulla base delle lezioni apprese in questi anni, potrebbe essere per converso molto utile.

Tornando agli incarichi di funzione, non vanno visti come una mera questione economica e contrattuale, ma come un modo per valorizzare le competenze del personale e garantire un'assistenza migliore.

È vero che l'applicazione degli incarichi di funzione è stata significativamente disomogenea e che in molti casi si è assistito a una anomala proliferazione di incarichi organizzativi a scapito di quelli clinico-professionali, anche a causa di una certa staticità nelle organizzazioni aziendali, di alcune rappresentanze sindacali locali e della importante carenza di risorse. Tuttavia, questa situazione può essere vista, per dirla con Proia, anche come una sfida da affrontare attraverso una migliore pianificazione e gestione delle risorse umane, e non solo come una mera contrapposizione tra interessi e diritti.

In questo contesto, è fondamentale che i sindacati, le direzioni delle professioni sanitarie e aziendali, e tutte le organizzazioni professionali si adoperino per migliorare e far evolvere, anche con le opportune modifiche, il sistema degli incarichi di funzione, garantendone un'applicazione corretta e trasparente, al fine di evitare disparità e promuovere una cultura del merito e dell'eccellenza.

È tempo che alcuni decisori istituzionali e rappresentanti delle professioni si sveglino dal loro torpore e riconoscano che, per perseguire l'eccellenza e il cambiamento in sanità, è necessario superare gli atteggiamenti monopolistici. È necessario un ampio coinvolgimento e un dibattito aperto tra ordini, sindacati e società scientifiche, tenendo in considerazione il parere dei cittadini.

L'ostinazione nel mantenere lo status quo nelle relazioni professionali non è solo anacronistica, ma anche pericolosamente miope.

Chi non lo comprende è destinato a rimanere indietro, trascinando con sé un sistema che ha bisogno di innovazione e flessibilità.

In conclusione, esorto tutti coloro che si aggrappano a visioni antiquate, in particolare coloro che occupano posizioni di rappresentanza da lungo tempo, a essere inclusivi e a non arroccarsi a difesa di privilegi.

Il futuro appartiene a chi sa evolvere, a chi ha il coraggio di abbracciare il cambiamento e a chi agisce concretamente per il bene delle professioni e dei cittadini. La domanda è: quanti sono davvero disposti a farlo?

Walter De Caro

Presidente Nazionale CNAI
Executive Board EFNNMA



29 luglio 2024
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