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Infermieri. E' il momento di discutere di prassi interprofessionali, non solo di competenze, di incarichi e di prestazioni

di Giuliana Morsiani

26 LUG -

Gentile Direttore,
non so se è un caso, ma mi ha fatto riflettere l’uscita dell’articolo di Proia sulla mancata applicazione del sistema degli incarichi professionali del comparto in stretta vicinanza di quello di Cavicchi sull’appello alla ragione in cui denuncia la commistione tra due valori importanti rappresentati da interessi e diritti, ovvero dalla struttura economica e sovrastruttura sociale. (QS 25 giugno 2024)

Una distinzione quest’ultima di pensatori importanti come Marx e Gramsci che riportata nella nostra quotidianità rende evidente come il tentativo agito dagli incarichi di funzione di “spezzare le catene dell’immobilismo” come nell’articolo di Proia partendo dalle carriere, ovvero dagli interessi, si posiziona a partire dalla struttura economica nell’analisi di Cavicchi. La prospettiva economica è ben legittima, intendiamoci bene, ma non si può negare che è autoreferenziale, degli operatori e dell’organizzazione la cui chiave di governo è quella gestionale con strumenti amministrativo-burocratici.

Per comprendere le problematiche dell’infermieristica è molto interessante e da leggersi con calma, magari prendendo appunti, il lucidissimo quanto disincantato articolo sempre del prof Cavicchi scritto qualche anno fa in occasione del rinnovo del CCNL 2016/2018) (Qs 14 gennaio 2019) con il quale egli ci spiega che il famoso “incarico di funzione”, è stato un maldestro escamotage che ha provato a riproporre sotto mentite spoglie le competenze avanzate proposte senza risultato nel 2015, nel tentativo di far passare a danno della normativa nazionale, una sorta di deregulation da affidare alle regioni. Quindi una vera anticipazione dell’attuale regionalismo differenziato che, come è noto, ha l’ambizione di sottrarre allo Stato, tra le varie attribuzione, quella che riguarda i contratti di lavoro e in particolare la definizione degli stati giuridici delle professioni.

Nello stesso articolo, è spiegata molto bene la natura giuridica dell’incarico di funzione e i pericoli che la nostra professione a causa sua corre dal momento che, alla fine, è assimilabile niente meno che ai contratti di opera, cioè a contratti prevalentemente prestazionali.

Anche di recente nel mio lavoro[1] ho rimarcato con forza l’anacronismo che oggi si ripropone con le prestazioni o, alias, con le competenze.

Ecco cosa scriveva 5 anni fa a questo proposito il prof Cavicchi:

“Restare nella logica delle competenze significa restare dentro una idea di divisione del lavoro che oggi non ha più ragione di esistere quindi sul piano sociale non è un affare né per il malato né per l’operatore. Oggi la storica divisione del lavoro di stampo tayloristico va ripensata ma per farlo bisogna andare oltre la vecchia cultura mutualistica delle prestazioni. Competenze e prestazioni sono praticamente la stessa cosa. Se si resta nella cultura della prestazione la divisione del lavoro non si cambia. La prestazione si basa sulla possibilità di dividere il malato in tante monadi. Ma oggi il malato di essere ridotto ad una monade non ne vuole sapere”

Quella del sistema degli incarichi che Proia ci ripropone è una modalità di spingere avanti l’evoluzione professionale attraverso la struttura economica-normativa nella cui necessità, porta a risultati parziali. L’esempio concreto lo vediamo tutt’oggi nelle modalità assistenziali prevalentemente prestazionali e tecnicistiche nonostante il decreto dei profili professionali e la legge 42/’99 di abolizione del mansionario.

Ebbene anche il sistema degli incarichi “non vedendo quell’applicazione a tutti, nessuno escluso” risulta entrare in questo gruppo di norme “a metà”. Tuttavia, una metà è applicata, è vero, ma le scelte che si vedono possono essere classificate in due macrocategorie:

  1. Da una parte pochi incarichi professionali, legati per lo più a tecnicalità (wound care, Picc, infezioni...) equiparabili a funzioni diverse dal profilo di base, con competenze più avanzate, complesse e specialistiche, con qualche Azienda più audace che si spinge a mappare incarichi professionali sul ruolo dell’infermiere di famiglia/comunità.
  2. Dall’altra parte, una pletora di incarichi organizzativi. Troppi, evidenza concreta dell’aberrazione del sistema sanitario, che da organizzazione professionale, secondo Mintzberg[2] in cui la componente maggioritaria dovrebbe essere il nucleo operativo, i clinici per intenderci (medici, infermieri, ostetriche...) viene a snaturarsi in un’organizzazione burocratico-meccanica dove la standardizzazione delle operazioni e delle procedure è la principale modalità di coordinamento, legittimando un’ipertrofia del middle management. Quello che si vede è che i “comandanti” crescono in modo sproporzionale rispetto al nucleo operativo comportando ricadute importanti che compromettono la tenuta del sistema:
  3. Sicuramente il depauperamento delle risorse dedicate alla linea operativa già in difficoltà per la carenza del personale è la conseguenza più evidente.
  4. Non solo, ma il middle management provenendo dallo stesso profilo professionale di chi gestisce e, salendo di grado nel ruolo organizzativo con funzioni gestionale/ di controllo, rischia di mettere in ombra o addirittura perdere la matrice professionale, bloccando di fatto l’evoluzione professionale e creando non pochi problemi di riconoscimento del ruolo.
  5. Lo sviluppo nella strada manageriale non è la finalità del servizio cui si appartiene. La mission specifica della Direzione assistenziale si declina nel governo dei bisogni assistenziali e questi rispondono alla sovrastruttura sociale, là dove risiedono i diritti che legittimano e indirizzano l’agire professionale. D’accordo la complessità organizzativa, ma i cittadini si aspettano risposte diverse. Gli azionisti del SSN, cioè chi ne usufruisce e lo finanzia si aspetta risposte su problemi, condizioni, necessità che per gli infermieri sono stati esistenziali, condizioni del vivere in tema di salute.
  6. Diventa quindi necessaria trovare un’altra strada che vada oltre le vie percorse senza risultato fino ad ora e che cresca di contenuti in coerenza con la matrice professionale (e non solo gestionale) e, a sua volta, offra una legittimità per gli incarichi professionali (e non organizzativi). Una categoria rappresentata dagli esiti assistenziali, per arrivare a misurare, dimostrare, rendere visibile il contributo, il prodotto, il controvalore offerto dall’assistenza infermieristica ai propri azionisti. Un percorso sviluppato nel testo[3] che prende a riferimento gli esiti sensibili alle cure infermieristiche in cui Doran sviluppa una chiara identificazione concettuale degli outcomes a cui l’infermieristica può offrire contributi (mortalità, attività di vita, self care, esiti avversi, gestione dei sintomi, dolore, sofferenza psicologica, soddisfazione del malato, utilizzo dei servizi sanitari).

È questa la vera “ciccia” che risponde alla mission della Direzione assistenziale, quella che legittima il suo senso e che attesta il superamento dell’”esame di maturità” della professione.

Una conquista che deve scoperchiare però una criticità spesso taciuta. Quella del ripensamento complessivo del ruolo dell’infermiere, aggiornandolo alle richieste della post-modernità. Questo implica inevitabilmente il riaggiornare la struttura concettuale e sintattica della disciplina per offrire nuove modalità e nuove prassi. La partenza non può che essere dal rivedere i postulati core da cui interpretare e leggere l’uomo non più paziente, ma esistente, esigente, cittadino, in famiglia e in comunità..., l’ambiente, la salute/malattia e in concetto stesso di assistenza infermieristica. Non solo nuovi significati concettuali, ma a questi vanno aggiunte nuove modalità di ragionamento che dalla rigidità del metodo scientifico si astraggono nella mente dei professionisti per meglio personalizzare l’assistenza nel tentativo di migliorare le condizioni esistenziali e la qualità di vita nel rispetto della singolarità della persona.

A ben vedere quello che si sta profilando non è un compitiere, ma un autore[4] nella cui discrezionalità si viene a ricomporre il ragionamento che conduce alla scelta decisionale.

Il vero salto culturale dell’infermiere nell’essere autore è l’agire in autonomia e responsabilità in cambio di esiti. Sono infatti gli esiti le risposte di salute concordate con i committenti, azionisti, cittadini. E sono gli esiti che imprimono più di tutti una spinta in avanti nel processo di professionalizzazione. Sono questi i parametri che nella loro incontrovertibile utilità diventano leve per una pluralità di ragionamenti:

Una postura mentale che dà vita a relazioni diverse rispetto a quelle che animano la post ausiliarietà; riempie di contenuti innovativi le lauree specialistiche e sancendo modalità di ragionamento che arricchiscono la sequenzialità delle fasi “identifica-pianifica-gestisce e valuta” accompagna nella presa di coscienza che anche il profilo ha segnato il suo tempo.

Insomma, per concludere, sono sempre più convinta che ormai è finito il tempo delle competenze avanzate e degli incarichi di funzione cioè il tempo che Cavicchi chiama degli “escamotage”. Un tempo che di fatto rinuncia a disegnare il futuro della professione con una prospettiva riformatrice, restando ferma ad una definizione giuridica dell’infermiere sostanzialmente invariante. Oggi è arrivato il momento di discutere di prassi interprofessionali, non solo di competenze, di incarichi e di prestazioni per ripensare le relazioni tra noi e gli altri operatori riformando la classica divisione del lavoro. Di andare oltre la legge 42 che è rimasta appesa nell’indeterminazione.

Non io ma le complessità del tempo hanno alzato per la nostra professione l’asticella da saltare. La nostra professione deve decidere se saltare o no cioè se continuare rincorrendo gli incarichi funzionali o andare oltre ridefinendone l’identità e il suo valore sociale quindi la sua retribuzione.

La Fnomceo prima ha dichiarato di voler fare gli stati generali per scrivere la ridefinizione giuridica del medico poi si è tirata indietro ed ha scelto la sua invarianza giuridica, noi cosa vogliamo fare? Ci ritiriamo come la Fnomceo o andiamo avanti?

Non ci manca niente per andare avanti ed è nostro dovere farlo.

Giuliana Morsiani
Infermiera, PhD- Ausl di Modena

Riferimenti

[1] Morsiani G., Agostinelli V. “Caring: dalla visione agli esiti assistenziali. Riformare le prassi dell’infermiere”. CEA, 2024.

[2] Henry Mintzberg “La progettazione dell'organizzazione aziendale.” Il Mulino 1996.

[3] Morsiani G, Agostinelli V. cit.

[4] Cavicchi I. “Questione medica. Come uscire dalla palude” Scaricabile on line https://www.quotidianosanita.it/ebook/questione_medica_ivan_cavicchi.pdf, 2015.

[5] Cavicchi I. “Medici vs cittadini. Un conflitto da risolvere”. Castelvecchi editore, 2024.



26 luglio 2024
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