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È tempo di smettere di mettere toppe: per il Ssn è ora di un vestito nuovo

di Ornella Mancin

05 LUG -

Gentile direttore,
il prof Cavicchi ha lanciato dalle pagine di questo giornale un “appello alla ragione” per salvare il Ssn e l’art. 32 della Costituzione; quasi contestualmente il prof Scillieri (Qs 2 luglio) afferma che questa visione allarmistica sulla tenuta del SSN è esagerata (“trovo esagerati questi allarmi”).

Da cosa deriva questa visione diversa e quale si avvicina di più alla realtà?

Non ho le competenze necessarie per dirimere la questione ma dal mio limitato osservatorio di medico di famiglia il mio sentire si avvicina sicuramente a quello del prof. Cavicchi. Ogni giorno mi trovo di fronte a pazienti con necessità di esami o visite specialistiche che riescono ad essere evasi solo nel privato almeno di non attendere i tempi biblici della sanità pubblica.

Del resto secondo i dati del rapporto Bes 2024 sono circa 4,5 milioni gli italiani che rinunciano alle visite specialistiche o agli accertamenti diagnostici per problemi economici, di liste di attesa o di difficoltà di accesso (circa il 7,6% percentuale in crescita rispetto al 7% del 2022 e al 6,3 % del 2019).

La possibilità poi che Il decreto ministeriale sulle liste di attesa risolva almeno in parte il problema mi sembra aleatoria, soprattutto se la soluzione sta nel far lavorare i medici nei week-end (quali medici: i soliti medici che già non reggono più i ritmi ospedalieri attuali o medici esterni forniti da cooperative, le stesse che il ministro ha censurato?).

Da osservatrice mi sembra che troppo spesso le scelte politiche in sanità siano “toppe” messe su un vestito vecchio con scarsa possibilità di dare i risultati sperati e ormai di toppa in toppa il vestito si è logorato al punto tale che a breve rischiamo di restare “nudi”.

Il professor Scilleri afferma che non è una questione di soldi ( “se al posto di 140 miliardi ce ne fossero 160 pensare che le cose potrebbero andare meglio è utopico”), e in parte può essere vero ma di certo se i medici fossero pagati meglio magari molti colleghi si fermerebbero in Italia anziché migrare all’estero (131 mila medici hanno scelto di lavorare all’estero negli ultimi 20 anni Qs 7 marzo)

Dice Scilleri che” il problema non sono i soldi ma la managerialità, l’organizzazione e il controllo di gestioni tematiche“ tutte cose nelle quali ”il nostro Paese è molto debole”. Non ne sono così sicura.

Vivo in una regione, il Veneto, dove a fronte di una gestione manageriale virtuosa e dei controlli gestionali persino ossessivi, la sanità presenta chiari segni di sofferenza. Del resto, se ogni anno lo scopo è ridurre la spesa farmaceutica e il numero di prestazioni più dell’anno precedente in nome di una presunta “appropriatezza”, si rischia di avere una sanità che ha come obiettivo principale non la cura dei cittadini ma il contenimento della spesa. Quindi no, non basta avere dei bravi manager e una ottima capacità organizzativa ci vogliono buone idee, volontà di riformare e soldi da investire perché checche se ne dica non esistono riforme a costo zero.

Con maggiore disponibilità finanziaria si potrebbe investire per attuare veramente il DM 77 ,mettendo risorse sul personale e non solo sui muri, dando fiato alla tanto vituperata sanità territoriale, quella che Scilleri definisce inefficiente, e che sta sprofondando sotto il peso di una burocrazia ottusa , che sottrae tempo e risorse al lavoro del medico .Con più soldi magari si potrebbe avere qualche posto letto anche per quei malati cronici che non possono essere seguiti a casa e che hanno bisogno di una assistenza sanitaria adeguata; si potrebbe sperare in qualche risorsa in più per la prevenzione ; magari si potrebbe investire di più sugli stili di vita , si potrebbe tornare alla medicina scolastica, si potrebbero tenere aperti i consultori, dare soldi ai Centri di Igiene mentale oggi in forte sofferenza.

Se non bastasse il professor Scilleri afferma che anche dietro al grande numero di accessi ai DEA “il difetto principale è l’incapacità di gestione, non certo la mancanza di fondi”.

Certo il professor Scilleri deve avere una grande fede sulle capacità dei manager di risolvere i problemi della sanità, ma dal momento che il problema degli accessi al Ps permane temo che di questi manager miracolosi al momento ce ne siano davvero pochi.

Stiamo perdendo la sanità pubblica e non sembra esserci una reale volontà di impedirlo; certo non mancano solo i soldi: manca un pensiero di riforma complessiva, manca la volontà e la determinazione per un cambiamento strutturale: si preferisce agire con interventi tampone che cercano di far fronte alle emergenze del momento.

Ha ragione quindi il prof Cavicchi a lanciare un ennesimo “appello alla ragione” rivolto sia ai politici di dx che di sx, per salvare il salvabile. “Salvare l’art 32 o la sanità pubblica è come salvare una civiltà un patrimonio del paese” per cui bisogna mettere da parte le differenze ideologiche e lavorare insieme per una soluzione comune.

Temo però che ancora una volta l’appello sia destinato a cadere nel vuoto.

Stiamo perdendo il diritto alle cure e dal mio osservatorio questo è molto evidente. Le persone più fragili, quelle meno abbienti che non possono permettersi la sanità privata o che non godono di polizze integrative stanno rinunciando a curarsi.

Non sarà solo questione di soldi (anche se di sicuro sono necessari) ma di certo sembra mancare la volontà politica di mettere mano ad una riforma strutturale del SSN che ormai ha più di 40 anni, una riforma che tenga fede all’art.32 ma che colga le istanze di un mondo che è fortemente cambiato.

È tempo di smettere di mettere toppe: è ora di un vestito nuovo.

Ornella Mancin



05 luglio 2024
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