Gentile Direttore,
ho letto con vivo interesse l’articolo di Quotidiano Sanità che riportava i risultati dello studio del progetto Mnesys.
Questo studio, sottolineando il ruolo di alcuni fattori comuni biologici nella genesi delle patologie psichiche ed in quelle fisiche, conferma che i pazienti psichiatrici hanno una mortalità per tumore fino all’86% superiore rispetto alla popolazione generale e suggerisce la necessità di un precoce intervento in ambito psichiatrico.
Al di là dei tanti elementi di tipo biologistico che il lavoro suggerisce, credo sia opportuno soffermarsi sulle ricadute più generali di tali dati, con le relative riflessioni sulla organizzazione della psichiatria e la sua collocazione nel nostro SSN.
La prima è che si conferma ancora una volta come la condizione mentale delle persone non sia un umanistico corollario del benessere fisico, ma qualcosa che a questo è strettamente intrecciato. Questa verità, per tanti versi banale, è costantemente dimenticata da una organizzazione della salute che privilegia in modo sistematico le patologie organiche, a livello di organizzazione, risorse e perfino indicatori di funzionalità, utilizzando la integrazione mente corpo solo come fosse un vezzo culturale o uno slogan per romantici.
La seconda riflessione è che bisogna avere chiaro che di malattia mentale si muore, direttamente o indirettamente, in maniera analoga alle tante patologie fisiche, solo più evidenti per la miope lettura di legislatori ed amministratori. La malattia mentale non è “solo” una questione di comportamenti e di qualità della vita, non è un vezzo aggiunto ad un SSN che deve occuparsi di cose serie, ma qualcosa che ha direttamente ed indirettamente a che fare con la vita e la morte delle persone, aspetti che non sono esclusivo appannaggio delle più rispettate oncologie e cardiologie.
Il terzo aspetto è che sono passati 13 anni da quando Graham Thornicroft, in un editoriale del British Journal of Psychiatry, parlava dello scandalo della mortalità prematura nei pazienti affetti da malattia mentale, con una minore aspettativa di vita nei maschi di 20-25 anni, ed un po’ minore nelle femmine. Un gap che negli anni, è bene sottolinearlo, non è ancora significativamente diminuito.
Thornicroft metteva già allora in luce i rischi per le patologie oncologiche, per quelle cardiovascolari, per quelle metaboliche. E non si trattava purtroppo di una novità, dato che basta leggere il Des Maladies Mentales di Esquirol del 1838, per trovare problemi analoghi (fatte le adeguate comparazioni nosologiche) nell’epoca prefarmacologica della psichiatria francese del 1800.
Thornicroft però mette in luce un aspetto di “scandalo” su cui vale la pena riflettere, che non ha avuto ancora in Italia la rilevanza che merita, e che è legato alla scarsa attenzione al problema ed al clamoroso minore accesso dei pazienti psichiatrici alla diagnosi e soprattutto alla cura delle patologie internistiche. In questo hanno un ruolo centrale gli aspetti di stigma, che trasformano ogni problema di un cittadino che abbia un sintomo psichiatrico, o abbia varcato in un qualche momento della sua vita le soglie di un Centro di Salute Mentale, in questioni esclusivamente psichiatriche o di cui comunque deve occuparsi in forma esclusiva la psichiatria. Chiunque abbia lavorato in psichiatria conosce bene la riluttanza dei colleghi internisti a ricoverare situazioni organiche in cui sia presente una comorbilità psichiatrica o semplici conseguenze comportamentali, con estenuanti discussioni sulla sede di degenza più appropriata.
Nel Veneto era perfino comparsa la indicazione, nel Piano Socio Sanitario, di accesso diretto alla consulenza presso il reparto di psichiatria, senza quindi alcuna preliminare valutazione internistica al Pronto Soccorso, per il paziente che arriva in ospedale con una richiesta psichiatrica. E che dire dei tentativi di emarginare i Servizi Psichiatrici ospedalieri in collocazioni che non garantiscono adeguato supporto diagnostico e terapeutico per quanto riguarda le patologie mediche o chirurgiche? Anche lo stesso ruolo del MMG si è progressivamente perso, con una delega allo specialista psichiatra che finisce per cancellare
Peraltro, in maniera speculare, emerge a volte una difficoltà degli psichiatri a prendere atto che i loro pazienti hanno corpi che possono ammalarsi e che vanno tutelati, oscillando fra un disinteresse etereo, che considera il visitare i pazienti un inquinamento del setting o un distorto atteggiamento medicalizzato, ad un prendersi cura da istituzione totale, dove è la psichiatria a gestire patologie e terapie che richiedono altri luoghi ed altre competenze.
Ed ancora una volta emerge la complessità dei tanti aspetti della salute mentale, a sottolinearci come, al di là degli aspetti biologici, il destino delle persone risenta degli aspetti sociali e culturali e di come questi prendano forma nella organizzazione dei servizi e nelle norme che li disciplinano.
Andrea Angelozzi
Thornicroft G. (2011). Physical health disparities and mental illness: the scandal of premature mortality. British Journal of Psychiatry, 199, 6:441-2.