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I decreti attuativi della legge Gelli: quale impatto per le strutture sanitarie e le direzioni strategiche?

di Tiziana Frittelli

19 MAR -

Gentile direttore,
la legge 24/2017 e i suoi stralci precedenti (articolo 1 commi 522, 523, 538, 539 legge 208/2015 aventi ad oggetto la prevenzione e gestione del rischio sanitario) e successivi (legge 219/2017 sul consenso informato) hanno profondamente innovato la cultura della sicurezza delle cure e costituito un sistema, quello della sanità responsabile, tra i più avanzati dei Paesi occidentali. Certamente, dopo 7 anni dalla promulgazione della legge, che, peraltro, ha avuto una applicazione limitata relativamente alla tematica assicurativa, per il ritardo con il quale sono stati emanati i decreti attuativi di cui all’articolo 10 comma 6, si sono avviati dibattiti sull’opportunità di revisione di alcuni punti, in una materia molto sensibile dal punto di vista sociale, viste le implicazioni sulla tutela del diritto alla salute e sulla serenità dei professionisti sanitari che quel diritto sono chiamati a declinare. Sta per concludere i lavori la Commissione Nordio, presieduta dal dott. Adelchi D’Ippolito, che con grande serietà ed impegno ha svolto il mandato di analizzare l’attuale quadro normativo e giurisprudenziale, in cui si iscrive la responsabilità colposa sanitaria, per discuterne limiti e criticità e proporre un dibattito in materia di possibili prospettive di riforma.


Il lavoro svolto rimarrà poi a servizio di futuri interventi legislativi per la risoluzione delle criticità in materia (tra le altre, il perimetro della responsabilità penale dei professionisti; la numerosità delle denunce penali in relazione agli effettivi rinvii a giudizio; il sistema delle linee guida scriminanti; gli strumenti deflattivi del contenzioso; la terzietà dei consulenti tecnici). L’augurio è anche che venga riattivato il Tavolo tecnico istituito dal Ministero della salute dedicato all’approfondimento delle questioni relative al danno alla persona “non patrimoniale” e alla relativa valutazione, con particolare riferimento alla lesione della salute quale interesse costituzionalmente protetto, nella necessità di ricomprendere in un unico ambito tutte le componenti del danno alla persona di interesse non patrimoniale, nel rispetto dei principi di unitarietà e di integralità dello stesso. In Italia il danno non patrimoniale da responsabilità sanitaria è il più alto in Europa, pari a oltre 10 volte quello francese e 15 quello tedesco. La grave denatalità italiana, maglia nera nel mondo, e la situazione demografica e sociale del Paese (dal 2022 sino al 2026 il Def 2023 prevede 64 mld di incremento per la spesa pensionistica e 21 mld di incremento di interessi sul debito pubblico, il cui ammontare necessariamente restringe la possibilità di futuri massivi interventi incrementali nel settore sanitario e sociale) mettono a grave rischio la sostenibilità del SSN. Vale la pena, pertanto, di approfondire la sostenibilità dell’entità dei risarcimenti da responsabilità sanitaria, in un sistema che vuole continuare ad essere universalistico, e valutare l’opportunità di introdurre meccanismi indennitari no fault.

La Corte dei Conti, in audizione sul disegno di legge “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2024 e bilancio pluriennale per il triennio 2024-2026” ha sottolineato, a tale proposito che , nonostante l’aumento previsto dal ddl di bilancio, il fabbisogno sanitario a cui concorre lo Stato si conferma in rapporto al prodotto in graduale ma netta flessione. I nuovi fondi sono destinati al rinnovo dei contratti del personale….Risultano pertanto pressochè nulli i margini disponibili per adeguare la spesa ai fabbisogni crescenti, legati innanzi tutto alla crescita dei prezzi delle altre voci di costo del settore…(acquisti di beni +7,5; specialistica +5,2; servizi appaltati +5,6)…Si tratta di una condizione che richiederà scelte gestionali non facili in termini di allocazione delle risorse tra i diversi obiettivi e un attento esame della qualità della spesa…

La questione della allocazione delle risorse riguarda anche gli interventi finanziari finalizzati a mitigare i rischi e promuovere una cultura della sicurezza delle cure, che certamente non può essere perseguita isorisorse, come stabilito dall’articolo 18 della legge 24 e dall’articolo 19 del decreto attuativo dell’articolo 10 comma 6 della legge 24 (clausola di invarianza finanziaria). Peraltro, la gestione del rischio non può certo essere confinata all’area clinica, implicando la necessità di un focus su tutti i processi organizzativi. L’art.1 della legge 24 stabilisce che la sicurezza delle cure si realizza anche mediante l'insieme di tutte le attività finalizzate alla prevenzione e alla gestione del rischio connesso all'erogazione di prestazioni sanitarie e l'utilizzo appropriato delle risorse strutturali, tecnologiche e organizzative. Il Global Patient Safety Action Plan 2021 -2030 dell’Oms ha invitato ogni stato membro ad attuare best practice che riguardano tutti gli aspetti di gestione del rischio, quale processo trasversale a tutte le attività aziendali. Occorre rivedere le linee guida di gestione del rischio in un’ottica di Enterprice risk management (un primo esempio è il progetto di Regione Lombardia), che includa tutti i rischi organizzativi (sicurezza delle cure, sicurezza sul lavoro, privacy, cybersecurity, anticorruzione, ecc.) Occorre, inoltre, approfondire i rischi emergenti e l’impatto sulle organizzazioni sanitarie e socio sanitarie derivanti anche dallo sviluppo del PNRR (si pensi, tra l’altro, alla sanità digitale e all’intelligenza artificiale) e della sanità territoriale, ambito tutto da esplorare e costruire.

Tutto questo ha una importante ricaduta in termini di Responsabilità delle Direzioni Strategiche. Basti pensare a Cass. pen., sez.,IV, 6 ottobre 2005 — 13 gennaio 2006, n. 1147, secondo cui, ai fini dell’esonero da responsabilità, il Direttore generale (nella specie condannato per omicidio colposo per la morte di un paziente deceduto a causa di un black out dovuto alla inadeguatezza dell’impianto elettrico) non può invocare, a fronte di interventi di assoluta urgenza, le ristrettezze di bilancio e limitarsi a chiedere blandamente lo stanziamento di fondi ministeriali, ma deve ricorrere a delibere di spesa interna per sanare le situazioni deficitarie che sia necessario ed indifferibile fronteggiare.

Mi permetto di osservare come chi ha deciso non abbia esperienza dei costi del rifacimento dell’impianto elettrico di un ospedale o dell’applicazione di una normativa antincendio o di qualunque intervento strutturale e tecnologico di grossa portata, necessario a garantire la sicurezza delle cure. Appare iniquo scaricare su un solo soggetto, il direttore generale, le contraddizioni di un sistema per anni fortemente definanziato e con meccanismi di selezione e valutazione della filiera gestionale del middle management non sempre adeguati alle complessità da gestire. Ad esempio, per attenerci al caso di specie (il direttore generale condannato aveva eccepito che nessuno gli avesse manifestato le criticità di quell’impianto) per rimuovere un Direttore tecnico di un ufficio lavori, secondo le vigenti regole dei CCNNL ( regole valevoli sia per la dirigenza professionale, tecnica, amministrava che sanitaria) occorrono due valutazioni negative ovvero, con i tempi del ciclo della performance, un periodo superiore allo stesso mandato del direttore generale, di regola triennale. Parimenti, nel mondo pubblico, mancano meccanismi premiali efficaci.

In ambito privatistico, la responsabilità degli organi apicali si commisura al principio di adeguatezza, con riferimento all’articolo art. 2381, comma 3, c.c.: «Il consiglio di amministrazione determina il contenuto, i limiti e le eventuali modalità di esercizio della delega; può sempre impartire direttive agli organi delegati e avocare a sé operazioni rientranti nella delega. Sulla base delle informazioni ricevute valuta l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società; quando elaborati, esamina i piani strategici, industriali e finanziari della società; valuta, sulla base della relazione degli organi delegati, il generale andamento della gestione».

Se volessimo trasferire il principio di adeguatezza al settore sanitario, come fa autorevole dottrina, lo stesso deve essere declinato attraverso l’adozione delle “misure organizzative e finanziarie” indicate dalla legge e ritenute necessarie per garantire la piena tutela dei diritti del paziente. Tra i rischi che la direzione strategica di una struttura struttura sanitaria deve “governare” assumono rilievo, anzitutto, quelli relativi alla sicurezza delle cure, e dunque alla corretta erogazione delle prestazioni: la gestione di tale aspetto dovrebbe quindi comprendere tutte le attività che sono finalizzate alla prevenzione degli eventi avversi, attraverso la predisposizione di un “sistema”, di una organizzazione che, nell’ottica enfatizzata dall’art. 1 della l. n. 24/2017, comprende ed annovera una serie di funzioni, declinazioni operative, livelli di controllo e attività di formazione, per come specificati sia dall’art. 1, commi 522 e 539, l. n. 208/2015 (valutazione dei dati del Programma Nazionale Esiti anche ai fini di scelte gestionali, attivazione percorsi di audit, rilevazione dei percorsi di inappropriatezza dei percorsi diagnostici e terapeutici, formazione continua, gestione del contenzioso) sia dal recente decreto attuativo 15 dicembre 2023, n. 232 “Regolamento recante la determinazione dei requisiti minimi delle polizze assicurative per le strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private e per gli esercenti le professioni sanitarie, i requisiti minimi di garanzia e le condizioni generali di operatività delle altre analoghe misure”.

Tale decreto è destinato ad avere un impatto rilevante nella gestione del rischio e del contenzioso da parte delle strutture sanitarie. Lo stesso regolamenta i requisiti minimi di garanzia delle polizze assicurative di cui ai commi 1, 2 e 3 dell'articolo 10 della Legge, i requisiti minimi di garanzia e le condizioni generali di operatività delle altre analoghe misure, le regole per il trasferimento del rischio nel caso di subentro contrattuale di un'impresa di assicurazione, la previsione di un fondo rischi e di un fondo costituito dalla messa a riserva per competenza dei risarcimenti relativi ai sinistri denunciati per la quota di autoritenzione ( franchigia/Sir nel caso di aziende assicurate).

Gli obblighi previsti dal decreto per le strutture riguardano , in primis, i massimali minimi di garanzia delle polizze assicurative, a seconda delle classi di rischio; a prescindere da come reagirà il mondo assicurativo, probabilmente, moltissime strutture continueranno nel sistema misto, nella duplice forma della franchigia e della Sir, ovvero nel sistema di totale autoritenzione, essendo particolarmente oneroso per le strutture che per anni non sono state assicurate ritornare al sistema dei premi assicurativi. Il Decreto prevede che la scelta di operare mediante assunzione diretta del rischio debba risultare da apposita delibera approvata dai vertici delle strutture sanitarie. Parimenti vanno evidenziate le modalità di funzionamento per la gestione dei processi di acquisto dei servizi assicurativi e le motivazioni sottese.

Dal 2010 al 2020 il numero delle strutture pubbliche assicurate passa da 1426 a 535. Le cause che inibiscono la scelta assicurativa per l’azienda e’ rappresentato dall’incremento dei premi assicurativi; dalla difficoltà di reperire polizze sul mercato; dal maggiore controllo diretto sul contenzioso stragiudiziale e giudiziale; per il mondo sociosanitario, pesa l’assenza storica di sinistrosità, con difficoltà ad individuare altri parametri per le coperture. L’utilizzo dell’opzione dell’autoritenzione e’ in forte crescita. Secondo i dati IVASS, tra il 2014 e il 2020 il valore degli accantonamenti è stato sempre superiore a quello dei premi e il rapporto tra le due grandezze è passato nel periodo considerato dal 138,8% al 198,2%. Il premio puro si incrementa del 35% per le strutture sanitarie pubbliche rispetto al 2017.

Conformemente a quanto previsto dalla legge 24, alle strutture sanitarie è fatto obbligo di ottemperare ai doveri di pubblicità e trasparenza. Infatti, il Decreto prevede che “le strutture rendano disponibili, mediante pubblicazione sul proprio sito internet, i dati relativi a tutti i risarcimenti liquidati nell'ultimo quinquennio, relativi a lesioni personali, decessi, violazioni della disciplina in materia di trattamento dei dati personali, violazioni del consenso legati all'esercizio dell’attività di prevenzione, diagnosi, cura, assistenza e riabilitazione, ricerca scientifica, formazione e ogni altra attività connessa all'esercizio di una professione sanitaria, verificati nell'ambito dell'esercizio delle attività della funzione di risk management”. Tale obbligo di pubblicità, peraltro, non dà tempestiva contezza della gestione del rischio all’interno della struttura, intuibile ratio della norma medesima, almeno per quanto concerne i risarcimenti liquidati, in quanto, per la lunghezza dei giudizi e i tempi delle eventuali transazioni, di prassi gli stessi si riferiscono ad eventi molto risalenti. Quanto alla mediazione e ADR (Alternative Dispute Resolution), il decimo rapporto di valutazione della Commissione europea per l’efficienza della giustizia del Consiglio d’Europa (CEPEJ) 2022 indica che le mediazioni avviate in Italia sono state 60.110, ma un accordo è stato raggiunto dalle parti solamente in circa 15.013 casi. L’efficacia degli strumenti di ADR e con esse la mediazione, anche in presenza di livelli elevati di autogestione finanziaria del rischio nelle aziende sanitarie (per quanto manchi un dato statistico di riferimento nazionale esaustivo) si allinea in sanità con quanto esposto dalla Corte di Cassazione nella relazione annuale 2022 sul tema dell’ADR generale, ovvero nessuno o un limitato effetto deflattivo di costi e procedimenti. Questi due elementi impattano anche sugli aspetti di assunzione del rischio da parte del mercato assicurativo, riducendo l’opportunità per le Aziende Sanitarie di aderire a coperture assicurative sulla RCTO più ampie e tutelanti, dato l’andamento economico del contenzioso. A questo aggiungasi il costo fiscale dei premi assicurativi, superiore al 22 per cento, anch’essi tra i piu’ alti in Europa (il doppio del regno Unito e due volte e mezzo quello della Francia).

L’autoritenzione deve essere assicurata dalla costituzione di due fondi: il Fondo Rischi, che opera a copertura dei rischi individuabili al termine dell'esercizio e che possono dar luogo a richieste di risarcimento a carico della struttura, per il quale l'importo accantonato deve tener conto della tipologia e della quantità delle prestazioni erogate e delle dimensioni della struttura; il Fondo riserva sinistri è costituito come messa a riserva per competenza dei risarcimenti relativi a sinistri denunciati e comprende l'ammontare complessivo delle somme necessarie per far fronte alle richieste di risarcimento presentate nel corso dell'esercizio o nel corso di quelli precedenti, relative a sinistri denunciati e non ancora pagati e relative spese di liquidazione.

Nel processo di confronto in questi ultimi anni sul testo del decreto, il punto di maggiore contrapposizione tra il comparto sanitario e quello assicurativo ha riguardato, in particolare, la disciplina inerente il processo di stima dei suddetti fondi e il correlato complessivo sistema di controlli su tali riserve.

Al riguardo, secondo la rappresentanza del comparto assicurativo, l’attuale sistema di “riservazione” e correlati vincoli di indisponibilità e di controllo, tipici dell’impresa assicurativa, avrebbero dovuto essere “traslati” sul sistema di accantonamento vincolato operato dal comparto sanità in tema di “garanzia” di solvibilità del risarcimento.

In realtà, l’ “analogia” predicata dalla normativa di legge non deve intendersi in termini di “meccanica estensione alle aziende sanitarie degli stessi istituti normo-economici tipici della speciale categoria di impresa assicuratrice” (valutazioni patrimoniali, gestione finanziaria di portafoglio, principi contabili, limiti e vincoli delle riserve, etc.), bensì in termini di analogo “risultato” quanto ad omologa capacità di gestire in modo solvibilmente efficace il rischio per l’utente dell’azienda eventualmente danneggiato.
La stessa definizione attuativa del “fondo rischi” , così come adottata nell’articolo 10, esprime una logica ordinaria di principi, così come esplicitati dalle corrispondenti regole emanate dall’Organismo Italiano di Contabilità (OIC 31). Al riguardo, il punto 5 dell’Organismo Italiano di Contabilità (OIC) 31, che regola il suddetto “fondo rischi” ai sensi del Codice civile, prevede quanto segue: “I fondi per rischi rappresentano passività di natura determinata ed esistenza probabile i cui valori sono stimati. Si tratta, quindi, di passività potenziali connesse a situazioni già esistenti alla data di bilancio, ma caratterizzate da uno stato d’incertezza il cui esito dipende dal verificarsi o meno di uno o più eventi in futuro”. Questo vuol dire che il sinistro - da valorizzare tramite accantonamento nel fondo rischi - deve esistere e deve afferire al periodo di esercizio, contrariamente a quanto sotteso alla logica della definizione dei premi assicurativi in cui i rischi afferiscono a modelli matematico-attuariali su portafoglio di comunità e prescindono dalla preesistenza del sinistro. Tale passività, solo al momento della sua “eventuale” manifestazione (tramite denuncia), sarà debitamente appostata nel distinto “fondo di messa a riserva”.
Il decreto ha anche tenuto conto della esigenza di prefigurare uno strutturato collegamento tra i due citati fondi, nel senso di favorire una sorta di “trasmigrazione” da “fondo rischi” (che comunque viene alimentato tramite accantonamenti annuali in relazione ai sinistri comunque rilevati in quell’anno) a “fondo messa a riserva” per la parte dell’accantonamento di detto “fondo rischi” corrispondente agli eventi in esso tracciati e successivamente denunciati. Quanto sopra al fine di evitare una duplicazione degli importi per uno stesso evento, prima raccolto nel fondo rischi e poi denunciato.

La congruità degli accantonamenti dei due fondi deve essere certificata da un revisore legale ovvero dal Collegio sindacale. Il lavoro da fare sarà notevole, per la raccolta e la valutazione dei dati storici, propedeutici alla costituzione dei fondi, soprattutto per le aziende in autoritenzione da molto tempo; trattasi di tematica molto delicata che comporta alti livelli di responsabilità della direzione strategica.
Il decreto in esame, al comma 2 dell’articolo 13, ha opportunamente limitato il vincolo di impignorabilità di cui all’articolo 1, commi 5 e 5-bis, del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 9, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 marzo 1993, n. 67, esclusivamente alle somme dovute “…. in quanto definitivamente stabilite in sede giudiziale o stragiudiziale a titolo di risarcimento del danno”, evitando pertanto di “traslare” nell’ambito delle regole di bilancio delle aziende sanitarie logiche e vincoli delle speciali procedure di “riservazione” tipiche delle imprese assicurative. Del resto, la estensione del vincolo di impignorabilità dei fondi non sarebbe risultata condivisibile anche a fronte delle previsioni di cui all’articolo 10 comma 6, così come strutturate in combinato disposto con le previsioni normative di cui al citato articolo 1, commi 5 e 5-bis del Decreto legge 18 gennaio 1993, n. 9, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 marzo 1993, n. 67, successivamente modificato/integrato dalla Sentenza della Corte Costituzionale n. 285/1995 e dai successivi interventi legislativi (da ultimo: comma 8 dell'art. 35, D.L. 24 aprile 2014, n. 66). Tali disposizioni, infatti, anche in conformità alla complessiva ratio della citata Sentenza della Corte Costituzionale n. 285/1995 prevedono che l’ambito di detta impignorabilità sia rivolto a specifiche, determinate e, soprattutto, attuali voci di spesa, correlate, nella fattispecie regolata dal citato D.L. 9/1993 e ss.mm.ii., allo specifico interesse collettivo alla “tutela della salute”, superiore, in termini di bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti, a quello della par condicio creditorum.
Molto opportuno l’inserimento della previsione di una fase “transitoria” per la messa a regime, da parte delle strutture sanitarie e socio sanitarie pubbliche e private, del “fondo rischi” da affiancare al “fondo di messa a riserva”, allo scopo di evitare, nel breve periodo, un impatto notevole sui bilanci delle strutture sanitarie (tale periodo di adeguamento è stato previsto per durata di 24 mesi, ex comma 4 dell’articolo 18).

La risposta del mercato assicurativo dipenderà anche dalla risoluzione di alcune problematiche operative, come quello relativo alla necessaria cooperazione tra struttura e compagnia assicurativa nella gestione dei sinistri e nella formulazione al danneggiato dell’offerta risarcitoria prevista dall’art. 8 della legge 24/2017. Il decreto attuativo (art. 15) impone la stipula di appositi protocolli di gestione, ancora più essenziale quando la copertura assicurativa preveda una compartecipazione al rischio da parte dell’azienda sanitaria.

A presidio della correttezza degli accantonamenti e, soprattutto, della miglior gestione del contenzioso è previsto l’obbligatorio sostegno di professionalità qualificate ed integrate (interne o esterne alla struttura).

La struttura deve istituire al proprio interno la funzione di valutazione dei sinistri in grado di valutare sul piano medico-legale, nonché' clinico e giuridico, la pertinenza e la fondatezza delle richieste indirizzate alla struttura. Tale funzione dovrà fornire, ai sensi dell’articolo 16 del decreto, il necessario supporto ai fini della determinazione di corrette e congrue poste da inserire in bilancio relativamente ai fondi di cui agli articol 10 e 11 del decreto. Del tutto inattuabile la previsione, dello stesso articolo 16, che tale struttura debba essere costituita senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

Ai fini di una efficace promozione della cultura della sicurezza delle cure, sarà fondamentale che quanto emerge dalle valutazioni della struttura costituisca la base per eventuali interventi correttivi dei processi che hanno generato il sinistro, da proporre alla direzione strategica. Con questa ratio, il comma 4 dell’articolo 17 del decreto stabilisce che la struttura predisponga una relazione annuale sull’adeguatezza ed efficacia dei processi di valutazione dei rischi, sul raffronto tra le valutazioni effettuate e i risultati emersi, nonché sulle criticità riscontrate, proponendo i necessari interventi migliorativi.

Le competenze minime obbligatorie, interne o esterne, che la struttura deve garantire, sono:

a) medicina legale;
b) perito («loss adjuster»);
c) avvocato o altra figura professionale, con competenze giuridico legali, dell'ufficio aziendale incaricato della gestione dei sinistri;
d) gestione del rischio («risk management»).

Trattasi di un organismo centrale nella gestione del rischio, del contenzioso, della prevenzione che parte dall’analisi dei danni prodotti. Sarà necessario un grande impegno delle direzioni strategiche e delle Regioni che, attraverso indicazioni operative, dovranno mettere a terra quanto previsto dal decreto.


Tiziana Frittelli



19 marzo 2024
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