Gentile direttore,
“I sogni son desideri“, e allora quest’anno permettiamoci di mandare in onda, con l’oramai consueto “festival della disuguaglianza”, anche una improbabile, sicuramente distopica, cronaca da Marte. In fondo, sognare non costa niente.
8 Marzo 2024. Le donne sono contente, finalmente ascoltate, ben retribuite, libere e soprattutto sicure: nella vita quotidiana, nelle loro case e nei luoghi di lavoro. Le donne che lavorano in sanità poi, dopo le innumerevoli prove superate con lode durante la pandemia, e a costo della salute psicofisica, sono state premiate, come e più dei colleghi.
Oggi godono come non mai di stima e rispetto, il loro ruolo nel SSN considerato value based, i bisogni di conciliazione soddisfatti mediante provvedimenti che spalmano su tutta la società la (scelta di) maternità e premiano la loro attitudine alla cura, non solo dei pazienti ma in special modo dei “non autosufficienti”: dai neonati agli anziani. Addirittura, per implementare il loro indiscusso protagonismo è stata prevista una corsia preferenziale, in un PNRR ad hoc, per un innovativo progetto: una Sanità a Misura di Donne (e quindi di tutti). Un programma rivoluzionario, che tra l’altro, oltre a non gravare sulla già provata economia, semplicemente si prefigge di usare i fondi del PNRR nel modo più vicino alla cittadinanza.
Il primo e più serio provvedimento è inserito nel cosiddetto “Intervento Trasparenza”. Esso consiste nel divieto, per rispetto ai cittadini e ai lavoratori, che si parli ancora con superficialità di investimenti e/o difesa del SSN. Un provvedimento eticamente coerente, anche perché oramai, per lunghi anni, tutti hanno vissuto di persona una privatizzazione avanzata, e non ha più senso che pazienti e curanti vengano presi in giro. La successiva tappa dovrebbe prevedere la presentazione del nuovo assetto che si vuol dare al Sistema, più complessa perché non si può improvvisare una alternativa efficace quanto quella della sanità pubblica e universalistica. Ma bisogna essere ottimisti, e le donne lo sono.
Nel frattempo, le mediche e dirigenti sanitarie ringraziano quanti le ammirano tanto da vederle tutte, già da domani mattina, nella posizione di leader in sanità: siamo onorate, ma in quale sanità, nella pubblica in vendita o nella privata incoming? Perché riguardo alla prima, ora che siamo in tante, viene il sospetto che ci si voglia dentro per corresponsabilizzarci nell’operazione “dismissione”: è già capitato alle dirigenti nelle grandi aziende, ce lo hanno spiegato loro. Sulla seconda (la sanità privata) siamo un po’ meno preparate, abbiamo sempre e solo lavorato nel SSN. Comunque, è un buon segno, ed eccoci qua fiduciose nella prateria di apicalità che ci si prospetta davanti: stavamo già per dimenticare quante volte siamo arrivate seconde nei concorsi per strutture complesse. E a guardare “quelle che ce l’hanno fatta”, a occhio non sembra sia un buon momento per la valorizzazione professionale, perché la narrazione che circola fa pensare a un esercizio di razionalizzazione di risorse umane e del tempo di cura, più che a riconoscimenti al tanto declamato merito delle donne.
Il nostro sogno-desiderio, che non deve mai mancare nella giornata internazionale della donna, volge al termine, ma prima che svanisca vorremmo ribadire che siamo contente di essere ancora in (discreta) salute, e vive, mentre tante nostre colleghe non lo sono più. Una strana congiuntura, tutta italiana, ha scatenato negli ospedali, o nei suoi pressi, come nei videogiochi, una aggressività reale, ma verso bersagli sbagliati. E senza motivo, cioè senza che nessuno, tra aggredito e aggressore, abbia colpa: una violenza con esiti troppo spesso letali, scatenata da responsabili terzi, che sono al sicuro, lontani dal ring. Una aggressività che è lievitata in luoghi che dovevano essere sacri, destinati all’accoglienza di chi soffre, e che invece sono diventati spazi disumani simili a quelli degli animali da allevamento, con percorsi degradanti per chi aspetta anche giorni, e soprattutto per chi ci lavora.
8 Marzo 2024. Ritorno alla realtà. Le operaie tessili del 1911 sono le mediche e dirigenti sanitarie di oggi, alle fabbriche si sono alternati gli ospedali in cui curiamo e viviamo. Nel mezzo, un secolo di grandi conquiste sociali, non gratuite, non regalate né acquisite per sempre, anzi. Ora come allora, c’è ancora più bisogno di sindacato. E della sua grande lezione di solidarietà, ancor più tra donne. Come mediche e dirigenti sanitarie, in considerazione della storia che ci ha portate fin qui, si può ancora essere ottimiste, dopotutto.
Sandra Morano