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I soldi non comprano l’abbattimento delle liste di attesa

di Claudio Maria Maffei

18 OTT -

Gentile direttore,
la campagna per l’abbattimento delle liste di attesa sono spesso per la politica una campagna destinata a sicuro insuccesso. Chi entra in politica senza sapere niente di sanità e si trova per caso a governarla (questo è ad esempio il caso della Presidente Meloni) trova subito nelle liste di attesa un bersaglio cui dare enfasi nella convinzione (peraltro giustificata) che sia un tema su cui ci si gioca buona parte dei consensi, che sono la cosa cui gran parte della politica attribuisce più importanza.

E così il mantra della coalizione di governo secondo cui non è vero che nella manovra non ci sono risorse per la sanità si è trasformato nella affermazione fatta dalla Presidente Meloni secondo cui, come abbiamo letto due giorni fa qui su Qs, “Sulla sanità ci sono 3 mld in più rispetto a quanto previsto e sono tutti destinati ad una priorità: l’abbattimento delle liste d’attesa ed è una priorità che intendiamo perseguire con due misure: rinnovo del contratto comparto (2,3 mld) e detassazione straordinari e dei premi risultato legati all’obiettivo per abbattere liste d’attesa”.

Pierino Di Silverio, come rappresentante autorevole della Anaao Assomed, ha subito commentato questa affermazione da un punto di vista sindacale ricordando come lasci perplessi il fatto che “per accorciare i tempi di attesa, la cui lunghezza ha cause strutturali, si pensa di chiedere più ore a un personale stremato da una carenza di organico drammatica e un peggioramento senza precedenti delle condizioni lavorative”. Altrettante se non maggiori perplessità nascono quando si valutano le affermazioni della Presidente e della maggioranza sulle liste di attesa da un punto di vista tecnico.

Provo allora a fare qualche considerazione anche io sul fenomeno delle liste di attesa, avendo ricordato subito che si tratta di un tema che affligge tutto il Servizio Sanitario Nazionale, ma che si presenta con caratteristiche molto diverse tra le varie Regioni e Province, come si ricava facilmente dal Portale Statistico dell’Agenas che alle liste di attesa dedica diverse elaborazioni sia su quelle ambulatoriali che su quelle relative agli interventi chirurgici. Anticipo subito che questo breve intervento ha come unico obiettivo quello di richiamare l’attenzione sulla necessità di non ridurre il problema delle liste di attesa a un mero problema economico e di volumi di produzione.

Innanzitutto forse varrebbe la pena quando si parla di tempi di attesa di specificare della attesa “di che cosa” si parla. Di solito la si fa coincidere con quelli delle prestazioni ambulatoriali, ma ci sono anche quelli per i ricoveri specie di area chirurgica e soprattutto ci sono quelli mai presi in considerazione delle prestazioni residenziali che influiscono nella vita delle famiglie non meno degli altri. Già nel 2012 qui su Qs la CGIL aveva segnalato che “I tempi di attesa per l’accesso presso una struttura residenziale o semiresidenziali sono lunghi. Per quelle rivolte agli utenti non autosufficienti questi possono raggiungere di media anche dai 90 ai 180 giorni. Solo nel Lazio le liste di attesa arrivano fino ad 11 mesi.” La situazione nel frattempo è probabilmente peggiorata, ma il fenomeno non è monitorato il che non lo rende meno pesante per le famiglie.

Una seconda considerazione riguarda la carenza di informazioni disponibili per il cittadino e quindi anche per i decisori sulla effettiva durata delle liste di attesa a livello regionale e di singola Azienda/area. Qui si sconta la grande disomogeneità nei sistemi di reporting regionali sulle liste di attesa. Se la Regione Emilia-Romagna ha un sito dedicato a tempi di attesa per le prestazioni ambulatoriali, nella Regione Marche non esiste nulla di simile. Purtroppo le stesse elaborazioni dell’Agenas sono tardive e sono afflitte da importanti problemi di comparabilità dei dati a causa della diversa qualità dei flussi regionali. Stupisce come un problema così coperto dalle intenzioni e dalle promesse come quello delle liste di attesa sia così scoperto come dati ed analisi.

Una terza considerazione riguarda il rapporto tra scelte programmatorie e liste di attesa. Un sistema dell’offerta tendenzialmente sbilanciato verso una dispersione delle strutture ospedaliere ha come suo inevitabile effetto come quello di disperdere anche le risorse umane impegnandone una grande quantità nei sistemi ospedalieri di continuità assistenziale che riducono in modo consistente quelle disponibili per la attività programmata sia ambulatoriale che chirurgica. Non è certo un caso che le Marche che hanno una rete ospedaliera ridondante che eccede di molto i parametri del DM 70 si ritrovi con gravi problemi di liste di attesa per le prestazioni programmate in area cardiologica (dalle visite ed ECG fino alle coronarografie e angioplastiche) nonostante le 14 Cardiologie, le 12 UTIC e le 5 emodinamiche (in predicato di diventare sei) in una Regione di un milione e mezzo di abitanti.

Una quarta considerazione riguarda il rapporto tra modelli organizzativi nel territorio e in ospedale e tempi di attesa. Per quanto riguarda il territorio l’enorme appesantimento burocratico del lavoro dei medici di medicina generale ne riduce drammaticamente il “tempo clinico” il che inevitabilmente si traduce nel rischio dell’eccessivo ricorso al livello specialistico . Ha scritto benissimo qualche mese fa qui su Qs Ornella Mancin "E’ tempo di invertire la rotta: la medicina del territorio ha bisogno di essere sgravata della burocrazia e di essere meno amministrata; il medico di famiglia deve per poter dedicare il massimo del proprio tempo e delle proprie competenze alla cura delle persone, alla visita medica, al ragionamento clinico, alla diagnosi e alla terapia e deve poter farlo in scienza e coscienza”.

Le novità introdotte dal Pnrr dovrebbero contribuire a portare a questa inversione di rotta, ma anche qui non basteranno i soldi perché oltre ai muri (Case della Comunità) e al personale (Infermieri di famiglia o di comunità) bisognerà intervenire sui fattori culturali (il lavoro interprofessionale ad esempio) e quindi organizzativi. Ma lo stesso vale anche per il livello specialistico che dovrebbe puntare molto più sulla presa in carico multispecialistica che non sulla produzione spinta di singole prestazioni frammentate.

Una quinta e ultima considerazione (mi e vi risparmio le molte altre considerazioni possibili) riguarda il rapporto tra attività specialistica privata e liste di attesa. Più le liste di attesa si allungano e più cresce il ricorso al privato, ma questo ricorso tende ad allungare ulteriormente le liste di attesa perché per sua natura la prestazione erogata in regime privato tende a favorire la moltiplicazione delle prestazioni per due motivi: la tendenza a favorire la fidelizzazione di quello che è di fatto un cliente e la deresponsabilizzazione che la prescrizione comporta tanto è il medico di medicina generale a farla.

Insomma, anche quando si parla di liste di attesa non è coi soldi si faccia tutto. Se poi sono pochi…

Claudio Maria Maffei

Coordinatore Tavolo Salute Pd Marche



18 ottobre 2023
© Riproduzione riservata

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