Gentile direttore,
il tema del consenso informato mi ha sempre fatto pensare al mare. Una vastità, di cui spesso ammiriamo, rapiti, l’orizzonte (il SENSO), stando però comodamente sulla spiaggia (l’INFORMATO). Lì ci fermiamo, perché è confortevole, siamo nel nostro elemento professionale e ci facciamo CO-involgere il “giusto”, magari il meno possibile. Evitare la fatica, il disagio, è una nota, naturale propensione.
Allora vorrei riflettere proprio sul CON, sull’insieme, che incarna l’ambito della relazione, che, per noi sanitari, non può che essere relazione di cura.
CON-SENSO per dare senso all’agito, esplorando varie facce di questo complesso poliedro, come la dimensione del diritto, che fa da padrone al nostro ragionamento, ma è anche la dimensione più ovvia e nota; come la dimensione deontologica: ricordando il senso del DEÓN, del dovere, ma anche della responsabilità del “tenere insieme” le diverse dimensioni dell’Umano e del Professionale; come la dimensione professionale stessa, che cerca di promuovere la logica della CO-progettazione dei percorsi di cura, con l’unico vero protagonista degli stessi: la Persona Assistita.
CON-SENSO come luogo di senso, momento in cui si realizza la “promessa deontologica”, il “giuramento” del Professionista Sanitario al Cittadino: “io non ti lascerò mai solo!” E allora il CON-SENSO diventa anche luogo di incontro di Persone, che hanno ruoli diversi, ma medesimi obiettivi e, forse alla fine, anche gli stessi dubbi, le stesse paure.
CON-SENSO come patto di alleanza, quella Alleanza Terapeutica tanto cara alla scuola di bioetica patavina e tanto difficile da realizzare, se non siamo capaci anche di destrutturare – che, a volte, conta quanto il costruire – gli anacronismi e le reciproche asimmetrie di ruolo (Persona e Sanitario), che aiutano molto a diffidare l’uno dell’altro.
In questo senso l’alleanza diventa strategia e sinergia, dove, in momenti diversi, l’uno guida l’altro verso il medesimo fine, che non può essere tale, se non è CO-progettato, CON-diviso, COM-preso.
Quante volte parliamo dell’insieme, del CON, senza dargli il giusto SENSO!
La Legge 219/2017 ci aiuta molto in questa bizzarra speculazione, anche se attribuisce alla relazione medico – persona assistita quasi una forma di esclusività giuridica nello specifico ambito, pur citando più volte, forse con poca convinzione, “l’equipe sanitaria” magari nel tentativo di lanciare qualche salvagente alla solitudo professionale del medico, all’horror vacui che si rischia davvero di provare di fronte all’enorme SENSO del CON-SENSO. Merita una sottolineatura il bellissimo comma 8 dell’articolo 1, dove nasce il concetto di “tempo di relazione, come tempo di cura”, che avrà pure un sentore anche “contrattuale” se vogliamo, ma che, guardando tra le righe, racchiude il vero SENSO del CON-SENSO, che gli Infermieri hanno trasformato nel meraviglioso articolo 4 del Codice Deontologico vigente, dove il “tempo di RELAZIONE è tempo di cura”.
Già, ritorna il CON, ritorna la relazione, quella stessa, vexata quaestio, che costituisce anche il SENSO della Professione Infermieristica stessa e che trova proprio nella relazione le basi azotate, che costituiscono i nucleotidi del DNA professionale.
E lì si concretizza il gesto di cura, luogo stesso di cura, di incontro, di alleanza e di senso, che realmente riesce a dare SENSO al CON-SENSO.
E’ vero, “l’informato”, l’evidence based, è certamente più agevole e la firma sul modulo mette tutti in pace.
Ma, senza il CON, non è quello il SENSO.
Luigi Pais dei Mori
Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche - FNOPI