Gentile Direttore,
in un precedente intervento ho rievocato le inchieste giornalistiche che nel biennio 2020-2021 hanno minato l’immagine pubblica della MG, come aveva previsto a suo tempo Antonio Panti sul QS: “da eroi a capri espiatori il passo è più breve di quanto sembri e gli amministratori del servizio sanitario, dopo aver lasciato i medici di famiglia senza protezioni e supporti, scoprono ora le gravi carenze del territorio”.
La principale “imputazione”, vale a dire il perseguimento di interessi corporativi libero-professionali a scapito di quelli pubblici, ha un evidente sapore di censura moralistica dei privilegi egoistici di cui godrebbe la categoria; per focalizzare la differenza tra lo status di convenzionato e l’ideal-tipo del libero professionale “puro” si può prendere come modello un nuovo profilo lavorativo: il cosiddetto “gettonista”. Si tratta per lo più di un ex dipendente dal SSN, che per conto di una cooperativa presta la propria attività su base oraria secondo le ferree leggi del mercato, essendo “assoldato” per colmare il gap tra domanda di prestazioni e carenza di personale nelle strutture pubbliche. Il gettonista percepisce compensi per turno nell’ordine di 1/5 della “busta paga” mensile di un MMG o di un dipendente. Eppure stranamente nessuno si scandalizza e addita alla riprovazione pubblica questa nuova categoria di libero-professionisti.
L’accusa moralistica non poteva che sfociare in una soluzione di matrice punitiva per l’annoso problema dei “medici di base” inefficienti e individualisti: il passaggio alla dipendenza per “mettere in riga” una categoria riottosa alle regole, il cui profilo residuale è stato tracciato nel 2019 dal ministro Giorgetti con l’ormai famosa domanda retorica: “chi va più dal medico di base?”. Ma c’è di più: l’arruolamento dei libero-professionisti nei ranghi del personale dipendente, gerarchicamente subordinato ai superiori, rientra in un frame culturale e semantico di tipo militare, ad esempio a base di ordini di servizio. Come afferma Lippi le amministrazioni pubbliche “non possiedono un loro sistema simbolico di riferimento per giustificare il cambiamento” e quindi, a causa di un deficit di legittimazione culturale da applicare a se stesse, ricorrono a sistemi di valori mutuati da altri contesti culturali. Una delle possibili opzioni è appunto il modello dell’organizzazione e dell’etica militare in alternativa, ad esempio, alla dottrina imprenditoriale della concorrenza mercantile e dell’aziendalizzazione statale o il riferimento all’etica volontaristica e solidale delle organizzazioni religiose.
Un profilo professionale così appetibile non poteva che attirare schiere di pretendenti per colmare i vuoti di organico dovuti all’ondata di pensionamenti in atto, che ha lasciato centinaia di migliaia di cittadini senza assistenza sanitaria e provocato proteste locali. Invece, soprattutto nelle regioni del nord, è emersa un’altra stranezza: i bandi per coprire le zone carenti hanno registrato scarse adesioni e la crisi organizzativa dell’assistenza primaria si è ulteriormente aggravata. Resta da capire ad esempio come sia possibile che, a dispetto di invidiabili condizioni economiche e normative, all’ATS di Milano siano arrivate solo 48 domande al bando per reclutare 424 generalisti, come era già accaduto in primavera. Secondo i sindacati "Il problema è che il nostro lavoro non vuole più farlo nessuno", il che è perlomeno curioso con i lauti compensi, la mancanza di concorrenza e i privilegi corporativi descritti dai critici della (presunta) libera-professione.
Ciononostante dal 2023 sul territorio è tornata la normalità dopo il declino della pandemia, peraltro con il rebound della domanda rimasta in sospeso e con un aumento generalizzato dei massimali per colmare i vuoti dei pensionamenti, mentre ben altre priorità e problemi assillano la sanità pubblica: le abnormi liste d’attesa per accertamenti e visite, effetto ritardato del blocco delle prestazioni nel biennio 2020-20211, e la sempre più acuta crisi del PS, di cui non si intravvede una via d’uscita. Così la narrazione giornalista a corto di argomentazioni e alla ricerca del colpevole per il sovraffollamento del PS ha rivolto un nuovo capo d’accusa al generalista, a dispetto delle evidenze circa la “paralisi” della filiera dell’emergenza ospedaliera, dovuta al ben noto fenomeno del boarding descritto da un decennio dal SIMEU.
Ben altra è la strada da imboccare per il cambiamento organizzativo: le riforme sono il frutto di interventi condivisi e di articolate strategie di lungo periodo, prima di tutto formative. Tre sono i passi per mettere in atto un progetto riformatore non velleitario
Saranno i tempi lunghi della specializzazione a colmare il gap ultradecennale della MG italiana rispetto a quella continentale; serve ascolto per promuovere fiducia e non propensioni punitive perché, secondo Crozier, “non si può comprendere una situazione se non analizzando ciò che dicono le persone che la vivono”; “mettendosi al loro posto si coglie la razionalità del loro comportamento” perché solo con l’ascolto profondo “si può conoscere il reale funzionamento di un sistema di interrelazioni umane”.
Giuseppe Belleri