Gentile direttore,
sono trascorsi quasi 10 anni dall’appello (1) rivolto ai pediatri italiani e alle loro multivariegate sigle ad attivarsi per intraprendere azioni concrete per proteggere l’allattamento dal marketing delle formule artificiali, architettato dalle industrie per aumentare i profitti e minare l’allattamento, riconosciuta priorità nell’ambito della salute pubblica.
Chiedevamo un impegno comune per sostenere una campagna mediatica per fare pressione per adeguare la legislazione italiana (D.L. 9/2009 n. 82) al Codice Internazionale OMS sulla commercializzazione dei sostituti del latte materno. Nessuna sigla ha mai risposto all’appello; anzi, a dire il vero, nel corso di questi anni alcune di loro hanno progettato iniziative che riguardano l’allattamento, escludendo del tutto la “protezione” tra gli obiettivi da perseguire; il più recente esempio è il “Progetto inter-societario Policy Aziendale sull’Allattamento (PAA)” (2), a tratti in franco contrasto con le strategie OMS/UNICEF e con il Codice Internazionale. Progetti di questo genere, infatti, non tengono minimamente conto delle incontrovertibili evidenze scientifiche che confermano che la sola adozione di una politica per la promozione dell’allattamento non ne fa aumentare i tassi; che i rapporti con l’industria contribuiscono, invece, a ridurli e che la valutazione delle competenze raggiunte dagli operatori, per essere tale, dev’essere esterna, con dati raccolti secondo gli standard internazionali.
C’è una grande differenza, sull’esito finale, se non si applicano misure di protezione; se, per esempio, nella lotta al fumo di sigaretta si fosse investito solo nella promozione (educando a non fumare in scuole, ambulatori, media, messaggi sulle confezioni…) e non si fosse legiferato contro il fumo (con divieti assoluti in tutti i locali chiusi, con la proibizione della pubblicità diretta e indiretta…), certamente oggi avremmo ben altri risultati in termini di salvaguardia della salute pubblica.
In questa cornice, per certi versi desolante, l’8 febbraio irrompe la Lancet Breastfeeding Series 2023 (3) che è da considerare un vero e proprio manifesto politico e che, speriamo, possa contribuire a innescare quantomeno un dibattito tra coloro che finora hanno mostrato poco interesse, se non addirittura avversione, nei confronti della protezione dell’allattamento dalle pratiche di marketing scorrette.
Un commento esteso agli articoli sarà pubblicato sulle pagine elettroniche di Quaderni acp a cura del Gruppo nutrizione dell’ACP; in estrema sintesi il primo articolo (4) del Lancet ha l’obiettivo di analizzare le strategie di marketing diretto a genitori e operatori sanitari: tra le principali c’è quella di far passare per anormali condizioni del neonato e della madre che sono invece assolutamente fisiologiche e indurre a credere che la soluzione a questi falsi problemi sia la formula artificiale. Il secondo (5) analizza in dettaglio le strategie di marketing dell’industria dei sostituti del latte materno, facendo riferimento a due rapporti pubblicati dall’OMS nel 2022 (6, 7); vengono riportate le tendenze rispetto a vendite, consumi e profitti. Le vendite sono aumentate di 37 volte dal 1978 al 2019 (da 1.5 miliardi di dollari a 55.6 miliardi); il mercato è controllato al 60% da sei multinazionali (Abbott, USA; Danone, Francia; Feihe, Cina; Freisland Campina, Olanda; Nestlé, Svizzera; Reckitt Benckiser, Gran Bretagna); le stime del marketing rispetto alle vendite variano dall’1% al 33%.
Gli autori sottolineano che gli operatori sanitari sono un target privilegiato del marketing, con finanziamenti per ricerche di qualità discutibile, sostegno allo sviluppo di linee guida e sponsorizzazioni di congressi e altre attività educative. Il terzo articolo (8) analizza l’aspetto politico dell’intera vicenda, addentrandosi nei legami che l’industria ha creato a tutti i livelli decisionali per fare i propri interessi e, alla fine, penalizzando la salute, l’ambiente e l’economia globale. Le alleanze sono da un lato quelle con le multinazionali del marketing e delle pubbliche relazioni, dall’altro quelle con l’industria lattiera e degli altri prodotti necessari a fabbricare la formula. Questi legami servono a rafforzare e a rendere più efficaci le attività di lobby sia a livello nazionale e sovranazionale (Commissione e Parlamento Europei, per esempio).
Tutto nero, dunque? Ci dobbiamo rassegnare? Assolutamente no! Ci sono, per fortuna, esempi, neppure troppo rari, di amministratori e operatori sanitari che hanno deciso con consapevolezza di intraprendere percorsi virtuosi, applicando protocolli basati su pratiche validate dalla letteratura scientifica, e ampiamente applicati in molti parti del mondo. L’articolo di Anna Pedrotti et al. (pubblicato a pag. ……) fornisce a tutti gli operatori sanitari e agli amministratori un chiaro esempio di una risposta possibile ed efficace per proteggere, promuovere e sostenere l’allattamento e la genitorialità attraverso la puntuale applicazione dell’Iniziativa Baby Friendly Hospital (BFHI) e Baby Friendly Community (BFCI) promossa dall’OMS e dall’UNICEF dal 1991.
Gli autori riconoscono nella BFI una “cornice di riferimento per scardinare ostacoli e reticenze, migliorare le pratiche assistenziali, adottare linguaggio e competenze comuni, più rispondenti ai diritti, bisogni e competenze dei genitori e dei bambini”. E’ ovvio che tutto questo non basta; come viene sottolineato negli articoli del Lancet bisogna rivedere le politiche e le leggi sull’alimentazione infantile, pensare al controllo o alla proibizione del marketing e ai conseguenti conflitti di interessi, al rispetto dei diritti fondamentali di donne, genitori e bambini, al rafforzamento dei sistemi sanitari (con politiche fiscali progressive) nel settore materno infantile e al riconoscimento del lavoro di cura delle madri.
A proposito di quest’ultimo aspetto, se debitamente calcolato, costituirebbe una grande percentuale del PIL globale, probabilmente tra il 20% e il 40%. Si può fare una stima anche della percentuale di PIL attribuibile all’allattamento. Nei paesi a reddito medio e basso, per i bambini fino a due anni di età si stima una produzione di latte materno di circa 23.3 miliardi di litri; se tutte le mamme allattassero come raccomandato dall’OMS, questo volume aumenterebbe del 40%. Ciò equivale, applicando il costo medio attribuito a un litro di latte materno dalle banche del latte umano, a 3.6 trilioni di dollari!
Per finire, occorre pensare a come mobilitare e finanziare alleanze tra gruppi e organizzazioni che si occupano di allattamento, alimentazione, salute delle donne, sistemi sanitari affinché promuovano campagne a favore dell’applicazione delle raccomandazioni efficaci nel produrre salute.
Sergio Conti Nibali, a nome del gruppo nutrizione dell’Acp