Gentile direttore,
agisce come un “hacker istituzionale” il Ministro Calderoli con il suo disegno di legge sulla Autonomia Differenziata. Questo rappresenta di fatto una specie di Malware, un programma in grado di sfruttare un punto debole del sistema per produrre danni.
Nel nostro caso il punto debole è l’Art. 116 comma 3 della Costituzione (introdotto dalla disastrosa riforma del Titolo V del 2001 e non dai Padri Costituenti) e i danni che questa legge potrebbe determinare sarebbero enormi per il sistema istituzionale e anche per i principi fondamentali della Costituzione stessa.
Già il percorso è subdolo: si cerca di approvare questa profonda riforma attraverso una legge ordinaria “rafforzata” e non con una legge costituzionale (Art. 138 Cost.), come il peso della materia richiederebbe. E ciò in pratica taglia fuori il Parlamento, e quindi i cittadini da un approfondito confronto, riduce la procedura ad un patto stabilito dal Ministero degli Affari regionali e regione interessata, la protegge dal referendum abrogativo, e la rende di fatto irreversibile perché un suo cambiamento richiederebbe un nuovo patto che la regione dovrebbe accettare.
Questa proposta “Frantuma-Italia”, rigurgito della vecchia anima secessionista della Lega, andrebbe a costituire 21 “Principati” diversi e variegati con la impossibilità di qualunque riequilibrio centrale.
Con questa legge, infatti, le Regioni potrebbero chiedere la competenza esclusiva su ben 23 materie, ma ogni Regione potrebbe chiederne quante ne vuole senza alcun limite o presupposto. Un guazzabuglio impossibile da governare e con uno Stato centrale marginalizzato, impotente e oggettivamente privo di ogni carattere unitario.
Come potrebbe lo Stato riequilibrare le diverse regioni se la riforma “Frantuma-Italia” prevede l’invarianza della spesa e lo Stato non avrebbe più i poteri e le risorse?
Anche i famigerati LEP (livelli essenziali delle prestazioni) che attendono la definizione da 20 anni, e che se non approvati sarebbero “provvisoriamente” surrogati dalla spesa storica, servirebbero a cristallizzare le differenze. Le Regioni più povere, se andasse bene, si dovrebbero accontentare della “minima sindacale” dei livelli essenziali. Si accentuerebbe così l’attuale squilibrio tra nord e sud.
Ma sarebbe grave anche per le piccole regioni del centro Italia che non avrebbero alcuna possibilità con le proprie risorse di mantenere l’attuale livello di servizi. Si pensi all’Umbria con i suoi 800.000 abitanti in che crisi esistenziale potrebbe precipitare. Eppure non se ne parla, c’è scarsa sensibilità nelle istituzioni e nelle forze politiche.
Inoltre, si accentuerebbe lo spopolamento di alcune regioni, Umbria compresa, per cui i cittadini tenderebbero a spostarsi nelle regioni più ricche del nord dove ci sarebbero maggiori opportunità e migliori servizi. Altro che diritti, uguaglianza dei cittadini e unità della nazione.
Problemi si concretizzerebbero in tutti i settori coinvolti nelle 23 possibili deleghe, ma per la sanità sarebbe una catastrofe annunciata.
Già oggi con la legislazione concorrente, e con i LEA (livelli essenziali di assistenza) già definiti, lo Stato centrale non è riuscito ad evitare l’aggravarsi delle diseguaglianze tra i cittadini delle diverse regioni nella fruizione del diritto alla tutela della salute. Come potrà farlo se si accentua la disgregazione con le autonomie differenziate?
Purtroppo, l’esperienza della pandemia non ha insegnato niente.
Il risultato in sanità sarebbe una diversa capacità di spesa e quindi di offerta. Sarebbe diversa l’organizzazione dei servizi sanitari ospedalieri e territoriali, diversi percorsi formativi, titoli professionali, e diversi i contratti, diversi gli stipendi. Autonomo l’uso dei fondi integrativi. Sarebbero disomogenei perfino i farmaci, nella differente valutazione delle equivalenze
Regioni più ricche potrebbero permettersi per i loro cittadini farmaci più costosi ed efficaci, strumentazioni più evolute, servizi più completi.
Insomma, si tratterebbe del definitivo superamento del SSN universale, equo e solidale, e la fine del principio di uguaglianza dei cittadini.
Per questo tipo di riforme è necessaria almeno una vera riforma costituzionale, con i suoi percorsi di garanzia. Così da ridefinire nuovi assetti istituzionali, coerenti con i principi costituzionali, e con livelli di autonomia omogenei, compatibili con l’unitarietà dello Stato e il mantenimento dell’uguaglianza dei diritti dei cittadini in qualunque territorio del paese vivano.
Nicola Preiti