Gentile Direttore,
qualche giorno or sono ho posto su Quotidiano Sanità il problema del silenzio sulla massiccia delega ai privati nell’ambito della salute mentale. Un’altra questione di cui non si parla è il problema del ricovero dei minori con problemi psichiatrici. Nonostante numerosi documenti, linee di indirizzo e protocolli vari sottolineino la necessità di una particolare attenzione da dedicare agli esordi psichiatrici in età infantile, quest’ambito rimane di fatto un’area con ampi aspetti grigi. A fronte di un incremento delle problematiche, ampiamente indicate già in epoca pre-Covid, molto poco è stato fatto in generale ed anche in tema di degenza.
Il problema della carenza di posti di NPI e la difficoltà nel ricoverare tante situazioni in Pediatria è stato risolto in sede di Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome nel 2019 (Rep. Atti n.70/CU del 25 luglio 2019) suggerendo la possibilità di ricoverare negli SPDC degli adulti ”“purché a fronte della presenza di specifiche condizioni strutturali e organizzative aggiuntive”.
Il documento chiariva in una nota quali siano queste condizioni, rimandando a due documenti peraltro di difficile reperibilità, di cui uno prodotto dalla Regione Lombardia che esplicita la possibilità del ricovero in SPDC solo per minori over 16 anni; ed un altro della Regione Toscana che specifica che le condizioni strutturali ed organizzative aggiuntive sono "spazi e personale specificamente dedicati” che fra l’altro vengono individuati solo in taluni SPDC esplicitamente citati nel documento.
Di fatto il documento della Conferenza viene invece considerato un’autorizzazione più generale al ricovero dei minori di qualunque età, una volta che non vi siano posti NPIA disponibili e le Pediatrie non possano accogliere i pazienti, descrivendo in modo molto meno selettive le condizioni aggiuntive. Per quanto riguarda il Veneto poi i reparti di NPI sono in previsione dal 2012, ma di fatto mai attuati con la eccezione di 6 posti, soprattutto per patologie neurologiche, ubicati a Padova e Verona.
Se ricorriamo ai dati del Veneto, in regola con le necessarie indicazioni documentali, quello che emerge è però un intervento sostanzialmente indifferenziato rispetto alle diagnosi e comunque attestato su livelli minimalisti, con una vistosa assenza di interventi a carattere psicoterapico (presente solo nel 66% dei disturbi di personalità e dal 21% al 25% nelle altre diagnosi) e con una media che, con la eccezione dei DCA, oscilla fra 3,2 e 4,6 interventi all’anno per paziente. Le stesse visite psichiatriche non sono presenti in tutta la utenza degli esordi e comunque, con la eccezione dei disturbi affettivi e dei disturbi di alimentari oscillano fra 2,9 e 4,2 in un anno per paziente all’esordio. Inevitabile porsi dubbi sulla possibilità di attuare quella particolare attenzione indicata dai documenti di indirizzo.
Quello che soprattutto emerge, come sfondo per i problemi nella Salute Mentale (ma forse non solo per questi) è la frequente esistenza di documenti di programmazione e linee di indirizzo a carattere nazionale e regionale che sembrano seguire un percorso comune: una ampia introduzione teorica, che richiama la importanza del problema e la sua ingravescenza (talvolta senza tuttavia portare dati), una cornice teorica ispirata ai migliori principi della psichiatria di comunità nello spirito della riforma, cui seguono però indicazioni ampiamente slegate da una effettiva realizzabilità, non indicando le risorse necessarie e dove attingerle, rimandandole talvolta ad un qualche futuro o suggerendo quasi sempre la importanza della invarianza della spesa. In genere questi documenti si concludono con le indicazioni per verificare lo stato di attuazione che però non vengono seguite, o i cui dati non vengono comunque resi pubblici.
Esiste cioè un completo scollamento fra i modelli indicati e le effettive prassi attuate ed attuabili che alla fine lascia i servizi in un pura sopravvivenza del quotidiano.
Credo che sia un aspetto che richieda una riflessione.
Andrea Angelozzi
Psichiatra