Gentile Direttore,
dobbiamo sicuramente dire grazie al prof. Cavicchi se finalmente è iniziata un po’ di discussione sulle sorti del medico di famiglia ormai agonizzante nell’indifferenza assoluta. Per lo meno ora sappiamo che lo SNAMI non ci sta a questo medico dimezzato (Qs 1 giugno) e lo SMI (Qs 6 giugno) pur mostrandosi disponibile, richiede tutele chiare e un meccanismo di compenso diversificato per le due modalità di lavoro (convenzionato e parasubordinato).
La Fimmg continua per lo più a tacere anche se dalla bocca della Fimmg del Veneto troviamo riproposti i microteam, le medicine di gruppo integrate e le case di comunità. Nessuna chiarezza su come verrà distribuita la presenza del mmg in questi 3 livelli e con quali tutele, segno abbastanza evidente di un annaspare nel vuoto senza una progettualità se non aver conseguito l’obiettivo del mantenimento della convenzione.
Il prof. Cavicchi nel suo ultimo intervento (Qs 6 giugno) mette in chiaro che la situazione attuale è frutto di una miopia di chi ha governato la professione negli ultimi anni e soprattutto ribadisce che “le responsabilità politiche più grosse riguardano la Fimmg come sindacato maggioritario” che si è trincerato dietro al mantenimento di uno status quo pensando che nessuno sarebbe arrivato a presentare il conto, anzi aggiungo io, sempre più convinta che la disponibilità dimostrata durante la pandemia a occuparci di cose che non ci competevano (tamponi, tracciamenti, green pass, etc.) ci avrebbe garantito un occhio di riguardo da parte della politica. La Fimmg ha evidentemente sbagliato i conti e oggi ci troviamo con un pugno di lenticchie.
Nell’insieme tuttavia le risposte sindacali appaiono piuttosto deboli se non inconsistenti. Di fronte a quella che Cavicchi bolla senza mezzi termini come “controriforma” che sta “cambiando in peggio la nostra sanità pubblica” e che sta riducendo il “ruolo e la funzione del mmg al minimo, revocando le sue storiche funzioni pubbliche e creando le condizioni favorevoli per sostituire, di fatto, la convenzione con le “assicurazioni”, con “ prestazioni d’opera” usando “precariato a basso costo”, si dovrebbe avere il coraggio di alzare la voce magari proclamando uno sciopero ad oltranza. Si reggerebbe la sanità senza i medici di famiglia? Proviamo a vedere: chiudiamo gli studi a tempo indeterminato!
Indire uno sciopero ad oltranza in questo momento potrebbe passare per un modo populista di affrontare il problema e vorrei pertanto che la proposta fosse intesa come una iperbole e cioè come espressione di una situazione sempre più esasperata.
Se è vero come ha scritto Belleri (QS 1 giugno) che il “medico dimezzato” che ci ha spiegato Cavicchi è frutto di un compromesso che vede coinvolta la Fimmg fino al collo, allora, è chiaro che sarebbe impensabile fare uno sciopero ad oltranza contro la Fimmg.
La cosa più sensata sarebbe discutere con la Fimmg e cercare di definire tutti insieme una “soluzione” sulla base di un interesse superiore.
A mio avviso oggi tutti sindacati, pur esprimono posizioni diametralmente opposte, dovrebbero avere il senso di responsabilità per riunificarsi e adoperarsi nei confronti della politica al fine di ottenere una moratoria dell’iter politico che sta seguendo il Dm 71, per darci il tempo di discutere al nostro interno, ammesso che si abbia la voglia e la volontà di discutere tra di noi (della qual cosa mi permetto di dubitare!).
La Fimmg non dovrebbe avere problemi a dire ai suoi interlocutori che la proposta di Dm 71 ha sollevato nella categoria forti perplessità e forti opposizioni e che sarebbe saggio un supplemento di riflessione. Si sta decidendo il destino di una categoria di oltre 40.000 medici per cui non mi pare esagerato chiedere prima di decidere di organizzare almeno uno straccio di consultazione.
So che non è facile ma so anche, per il bene della categoria, che questa discussione ci serve come l’aria. Mai come ora i sindacati devono dimostrare di contare e di muoversi a favore della professione, recuperando quel gap sempre più evidente tra iscritti e dirigenza coinvolgendo la base nella discussione delle sorti della medicina di famiglia. Una “riforma” di queste proporzioni non può passare sopra le teste dei diretti interessati pena il dichiarato fallimento dell’azione sindacale.
Lo dobbiamo non solo per salvare il valore e il ruolo del medico di famiglia ma anche per bloccare questa deriva verso il privato come ben sottolinea Cavicchi. Il territorio sarà presto terra di conquista delle assicurazioni, delle cooperative e quant’altro in grado di fornire con un precariato a basso costo pacchetti di prestazioni senza magari qualcuno che possa farsi carico del paziente nel suo insieme.
Persino papa Francesco ci esorta a non perdere questa “ricchezza” che è la sanità pubblica, eppure nulla stiamo facendo per invertire la rotta.
Ornella Mancin