Gentile Direttore,
oggi, leggendo una parte della rassegna scientifica che mi giunge regolarmente attraverso il web, ho trovato un articolo che ha destato la mia curiosità. Il titolo dell’articolo è questo: An Elephant in the Room for Clinicians[1]. L’articolo, in verità, è semplicemente l’estratto (e in fondo la presentazione) di un libro pubblicato di recente dallo stesso Autore dell’articolo. Il libro, almeno nel titolo, sembra trattare le proprietà autocurative della mente. Io non l’ho letto, ma ho invece letto l’articolo, che tratta un argomento un po’ diverso, vale a dire i legami che intercorrono fra “spiritualità e medicina”.
Dal modo in cui l’Autore tratta l’argomento, si capisce che, in effetti, un elefante è entrato nello studio dei clinici. Nessuno infatti, specie dopo Freud, può negare che il senso di colpa abbia un peso decisivo nella genesi delle malattie. Io, che sono psichiatra psicoanalista, parlo soprattutto delle malattie mentali. La mia esperienza mi rende però convinto che in futuro si chiarirà come, per l’unità mente-corpo, anche le malattie fisiche risentano pesantemente dell’effetto di sensi di colpa impropri. E’ già il presente della ricerca scientifica a indirizzare i nostri convincimenti scientifici in questa direzione.
La questione della Colpa, centrale in ogni discorso religioso, è egualmente decisiva nella materia psicopatologica, come ci insegna la lezione magistrale di Jaques Lacan: «Gli effetti di cui [la psicologia freudiana] scopriva il senso, li ha arditamente designati con il sentimento che ad essi corrisponde nel vissuto: la colpa»[2]. Negare che le credenze religiose abbiano un peso per lo strutturarsi della mente degli uomini, in un certo momento storico e in un certo luogo, equivarrebbe a negare una evidenza scientifica. E’ sufficiente andare in un qualsiasi Paese dove le credenze religiose assumano delle fattezze integraliste per rendersi conto di come le leggi si pieghino a tali credenze, con la Legge dell’uomo che inevitabilmente (e talora drammaticamente) è costretta a seguire tali ondulazioni.
Sarebbe sciocco e dannoso negare che per talune persone malate, le quali nutrano forti credenze religiose, abbia una importanza fondamentale assecondare tali credenze, con i rituali connessi, al fine della cura. Se la donna africana con profondi disturbi mentali, che rifiuta le indispensabili terapie mediche, accetta di assumerle qualora si consenta a un ministro del culto della sua fede di pregare con lei ai piedi del letto di ospedale, sarebbe criminale non assecondare tale suo desiderio. Ma se il ministro di culto pretendesse di esorcizzare in ospedale quella paziente per “liberarla dalle sue presenze demoniache”, oppure pretendesse di escludere dall’assistenza della paziente ogni operatore che indossasse, per le sue credenze, una collanina con un Crocefisso, il clinico come si dovrebbe comportare?
E’ senza dubbio vero: se si consente a una credenza religiosa di condizionare gli atteggiamenti e le pratiche mediche, l’elefante che ha fatto ingresso nello studio del medico rischierà sicuramente di schiacciarlo.
Un bellissimo libro di Ian McEwan, La ballata di Adam Herry, ci racconta di come le credenze religiose possano distruggere le vite delle persone. Un giudice sottopone coattivamente alle necessarie trasfusioni ematiche un minorenne i cui genitori, Testimoni di Geova, non vogliono far trasfondere. Il libro ci racconta di come la fermezza e la misura di un giudizio (in questo caso legale, ma il ragionamento può e deve estendersi alla medicina) possano opporsi alla distruzione.
Ma ci racconta anche di come un piccolo cedimento (un topo, non un elefante) di quelle indispensabili qualità -fermezza e misura, anche morali oltre che scientifiche- riaprano inevitabilmente la strada verso la morte. Della medicina, oltre che delle persone.
Dr. Mario Iannucci
Esperto di Salute Mentale applicata al Diritto
[1] Scott Brown G., An Elephant in the Room for Clinicians, Medscape Psychiatry, 2 giugno 2022.
https://www.medscape.com/viewarticle/974847?src=WNL_mdpls_220607_mscpedit_psych&uac=390393AX&spon=12&impID=4310932
[2] Lacan J., Introduzione teorica alle funzioni della psicoanalisi in criminologia (1950), in Ecrits, trad. it. Scritti, Einaudi Torino, Vol. I, p. 123. Preferisco tradurre ‘colpa’ piuttosto che, come si è fatto nella citata edizione italiana, ‘colpevolezza’. Il confronto con la colpa, che per taluni avviene senza troppi affanni e che conduce allo strutturarsi di un Io integrato, per altri è invece difficilissimo e subisce intoppi, rinvii, tortuose e inefficaci deviazioni.