Gentile Direttore,
come ogni anno, viene pubblicata la classifica delle migliori Università internazionali ed italiane. Pare, secondo gli esperti del settore, che la migliore facoltà di Medicina sia a Milano di poco inferiore ad Harvard a Cambridge. Ottimo per i laureati che danno lustro e assistenza al parco malati italiano, in termini di ricerca e assistenza clinica, ad essere esclusi dalle meraviglie accademiche sono, come sempre, i medici di base, notoriamente laureati presso il CEPU o l’Università Statale di Calcutta, viste le competenze riconosciute dal SSN a questi peones della medicina. Solo così si spiega la non tanto malcelata diffidenza verso tutta la categoria, infatti, difficilmente la cronaca si occupa dei medici di base con benevolenza o solidarietà.
Tacciati di assenza, malversazione, disorganizzazione, pelandronismo sfacciato e ignoranza da ultimi posti in classifica, con titoli accademici ottenuti come regalie partenopee se non in cambio di pezzi di terreno agricolo coltivato a mais.
Cercando la conferma di tutto ciò, basterà il riscontro di quale peso contrattuale hanno i medici di base con il supporto dei loro validissimi sindacati: il nulla assoluto, né sui tavoli ministeriali, né nelle agitazioni di piazza, dove la gente li guarda con commiserazione e commenta: “Chi? Quei quattro ignorantoni che vengono pagati profumatamente per lavorare tre ore al giorno? E che vogliono, ancora?...” Chiusa la questione, infatti da 40 anni i peones non riescono ad ottenere né un riconoscimento aziendale di ruolo, né le ferie e nemmeno la malattia: ovviamente, lavorando tre ore al giorno, vuoi pure che si ammalino? La materia professionale della medicina territoriale non ha neanche dignità accademica: non esiste una scuola di specializzazione in medicina generale in Italia. Per imparare cosa, il pelandronismo o la ricettazione telematica che fa il computer? Per carità, basta il CEPU o Calcutta.
Siamo seri, la Medicina è ben altra cosa, quella delle cliniche di grido o gli ospedali di eccellenza dove lavorano professionisti seri, talmente bravi che finito il turno di lavoro dispensano autentiche perle di assistenza nei propri ambulatori privati. A pagamento certo, ma quando c’è la salute, perché sindacare su pochi euro senza fattura? Vogliamo prendercela con la medicina privata che tanto aiuto presta ai nostri malati e agli amministratori, soprattutto, che possono coronare il sogno vacanziero tropicale? Visione globale: contenti tutti e smettiamola con il braccino corto.
Ulteriore prova dell’ignoranza imbarazzante dei medici di base è la questione dei piani terapeutici per la prescrizione di farmaci di impegno specialistico. Fino a poco tempo fa i NAO, nuovi anticoagulanti orali e i farmaci per Asma e Bronchite Cronica potevano essere solo trascritti dai peones del territorio, su piano terapeutico dello specialista, come anche i nuovi antidiabetici orali. Questo perché il medico di base, studente di Calcutta, era ammalato quando insegnavano asma, bronchite e diabete e ha dovuto fare ripetizioni a pagamento per gli anticoagulanti orali. Per non parlare della prescrizione di oppioidi, per i quali era necessario un atto notarile in triplice copia da conservare in cassaforte, perché il medico era notoriamente dedito al traffico di stupefacenti. Solo quando i medici specialisti al colmo della nevrosi da burocrazia, hanno gettato la spugna, al ministero hanno pensato di passare la palla ai medici di base che si sono ritrovati sul groppone anche i piani terapeutici.
Laurea ad honorem. Al colmo della benevolenza ministeriale anche la prescrizione telematica dei farmaci in fascia C, eccezion fatta per gli psicofarmaci perché notoriamente il medico di base cambia il pelo ma non il vizio: quello di trafficare in stupefacenti. La brutta fama è dura a morire. A questi peones della sanità che contratto di lavoro vogliamo dargli? Un contratto serio fatto di competenze riconosciute, ruoli riconosciuti, indennità di disagio riconosciute per quelli che esercitano in aperta campagna o nelle contrade dell’Aspromonte? Per carità, siamo seri. Da quando in qua si paga l’ignoranza con moneta contante? Al massimo, benificenza: si accettano offerte.
Dott. Enzo Bozza