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Tumore ovarico. Fa tappa al Gemelli la campagna per le pazienti sulla malattia e le cure

Promossa da Fondazione AIOM insieme ad ACTO Onlus, LOTO Onlus, Mai più sole e aBRCAdabra e sponsorizzata in esclusiva da GSK, l’iniziativa è nata per aumentare la conoscenza e la consapevolezza delle donne e delle pazienti sul carcinoma ovarico e sul percorso di cura. Dopo la Sardegna e la Sicilia, fa tappa nel Lazio. Nella regione si stimano ogni anno circa 700 nuovi casi di tumore ovarico e sono almeno 4.000 le donne che convivono con la malattia.

22 GIU - ‘Tumore Ovarico. Manteniamoci informate!‘: arriva a Roma la campagna per rispondere alle domande delle pazienti sulla malattia e le nuove opportunità di cura. Promossa da Fondazione AIOM insieme ad ACTO Onlus, LOTO Onlus, Mai più sole e aBRCAdabra e sponsorizzata in esclusiva da GSK, l’iniziativa è nata per aumentare la conoscenza e la consapevolezza delle donne e delle pazienti sul carcinoma ovarico e sul percorso di cura. Dopo la Sardegna e la Sicilia, fa tappa nel Lazio la nuova edizione della campagna che vuole mantenere alta l’attenzione delle donne sull‘importanza della diagnosi precoce, necessaria per intervenire tempestivamente e migliorare gli esiti della patologia, e sulle innovazioni terapeutiche come le terapie orali. Fondamentale per questo è stato conoscere i dubbi e i bisogni delle donne e delle pazienti laziali che, dopo una consultazione online sul sito di campagna www.manteniamociinformate.it, hanno selezionato i principali quesiti da sottoporre agli esperti del territorio.

Nel Lazio, dove fa tappa la campagna, si stimano ogni anno circa 700 nuovi casi di tumore ovarico e sono almeno 4.000 le donne che convivono con la malattia. La campagna, promossa da Fondazione AIOM insieme ad ACTO Onlus, LOTO Onlus, Mai più sole e aBRCAdabra, e sponsorizzata in esclusiva da GSK, anche nella sua seconda edizione, si pone l’obiettivo di promuovere l’informazione sul tumore ovarico mettendo in luce le esigenze delle pazienti e mantenendo alta l’attenzione sulla diagnosi precoce, sulle innovazioni terapeutiche che stanno migliorando sopravvivenza e qualità di vita e sull’importanza dell’aderenza alle terapie. Lo fa attraverso eventi territoriali online dedicati alle donne dove gli specialisti rispondono alle domande più frequenti e rilevanti delle pazienti.

Informazione, diagnosi tardiva, familiarità, terapie, aderenza e qualità di vita sono stati i temi dell’evento online odierno di Roma, tenutosi sulla pagina Facebook della campagna, dove ginecologi, oncologi, ricercatori e psicologi hanno risposto alle domande e ai dubbi delle donne e delle pazienti laziali. Domande arrivate grazie a una consultazione online sul sito di campagna www.manteniamociinformate.it: le donne del Lazio sono state interpellate e hanno selezionato i principali quesiti a partire da un panel di domande messo a punto dalle Associazioni pazienti da sottoporre agli esperti laziali.

“La campagna è stata fortemente voluta da Fondazione AIOM insieme alle Associazioni pazienti- afferma Stefania Gori, Presidente Fondazione AIOM e Direttrice del Dipartimento Oncologico IRCCS Sacro Cuore Don Calabri, Negrar- e l’iniziativa nasce dalla necessità che le donne siano informate su questa malattia, insidiosa e nella quale non è possibile fare una diagnosi precoce con uno screening, e sappiano quali sono i Centri specialistici di riferimento per curarla”.

Nel Lazio, è il Centro di eccellenza Policlinico A. Gemelli IRCCS di Roma il punto di riferimento per le donne affette da tumore ovarico. “Come Policlinico Gemelli- dichiara Marco Elefanti, Direttore Generale Fondazione Policlinico A. Gemelli IRCCS di Roma- considerando il volume di attività portato avanti dal Centro diretto da Giovanni Scambia per la diagnosi e la cura sotto varie forme del tumore ovarico, siamo evidentemente e fortemente orientati ad accogliere tutte le azioni e le iniziative che possono creare sensibilità verso questa grave patologia e, quindi, a promuovere nella popolazione e tra le donne un atteggiamento preventivo al tema. Il Policlinico Gemelli è fortemente impegnato da anni nel trattamento delle patologie femminili in generale, in particolare del tumore ovarico per il quale abbiamo volumi che non hanno eguali nel Centro-Sud del Paese. Su questo tema gravitano una molteplicità di interessi a cominciare dalla ricerca, attivissima, dall’assistenza che i nostri clinici migliorano continuamente e dalle implicazioni didattico-formative, intese come trasferimento di conoscenze ai giovani medici che ciò comporta. Dunque, la campagna ‘Tumore Ovarico. Manteniamoci informate!’ ci trova naturalmente schierati. Riteniamo che l’informazione e tutto ciò che è creazione di consapevolezza dei possibili rischi e delle azioni che si possono mettere in campo per ridurli, sia un ausilio fondamentale. Creare consapevolezza a monte è decisivo”.

“L’informazione su questa neoplasia- afferma Domenica Lorusso, Professoressa Associata di Ostetricia e Ginecologia, Responsabile UOS Programmazione Ricerca Clinica Fondazione Policlinico A. Gemelli IRCCS di Roma e Referente Fondazione AIOM – è fondamentale, anche perché al momento la clinica non dispone di screening sensibili e specifici per il tumore dell’ovaio e perché lo scenario oggi è in evoluzione e una delle novità più importanti di questi anni è la possibilità per tutte le donne di accedere alle terapie di mantenimento, che permettono di allontanare le ricadute dopo chemioterapia e che si sono dimostrate efficaci su questa neoplasia. L’informazione è uno strumento che salva la vita, diffondere cultura su questa patologia e suggerire quali possono essere i segnali da tenere in considerazione, seppur aspecifici, può fare la differenza. Inoltre, sapere che esistono in ogni Regione Centri di riferimento come il nostro, specializzati nella cura e nella diagnosi di questo grave tumore e far sapere alle donne che il primo passo da fare dopo una diagnosi è rivolgersi subito al Centro, è cruciale, perché sbagliare il primo approccio può essere fatale in questi casi. L’informazione è importante anche per i continui aggiornamenti sulle terapie. Nell’ultimo decennio, grazie alla biologia molecolare che ci ha dato la possibilità di riclassificare questa malattia in diversi tipi di tumore ovarico, la ricerca ha sviluppato trattamenti specifici, personalizzati e targettizzati come i PARP inibitori, farmaci orali da utilizzare in fase di mantenimento dopo la chemioterapia”.

“Si tratta di farmaci – spiega ancora Lorusso - ben tollerati seppure dotati di una certa tossicità i cui effetti collaterali- spiega- sono ben conosciuti e facilmente gestibili, prescritti in ospedale e attentamente monitorati, assunti a casa anche di sera e che consentono il normale svolgimento della propria quotidianità. I PARP inibitori hanno aumentato in modo significativo la possibilità di prolungare il tempo libero da progressione di malattia nelle donne con mutazione BRCA e nuovi studi hanno dimostrato che possono essere utilizzati anche nelle pazienti senza mutazione BRCA, che fino a poco tempo fa avevano limitate alternative terapeutiche. La diagnosi precoce- sottolinea- per il carcinoma ovarico non è ancora possibile e l’unica arma è la conoscenza. Essenziale anche il ruolo del medico di famiglia che non deve trascurare la donna che lamenta vaghi dolori di pancia, gonfiore addominale e senso di costipazione, e indirizzarla per approfondimenti allo specialista. Inoltre, dopo la diagnosi la donna entra in un preciso percorso diagnostico-terapeutico disegnato ad hoc per la cura di questa neoplasia”.

L’importanza delle visite di controllo
“Purtroppo al momento attuale la diagnosi precoce del tumore ovarico non si può fare, è un’utopia ed è anche il motivo per cui la maggior parte dei tumori ovarici viene scoperto tardivamente- dice Giovanni Scambia, Direttore UOC di Ginecologia Oncologica, Professore Ordinario Istituto di Clinica Ostetrica e Ginecologica, Direttore Scientifico Scienza e Ricerca, Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS di Roma- è importante, invece, che la donna si sottoponga annualmente alla visita ginecologica che deve essere sempre seguita da un’ecografia pelvica transvaginale che può identificare un’eventuale patologia ovarica o uterina”.

“Tuttavia – prosegue il professor Scambia -, abbiamo qualche arma, in primo luogo studiare l’eventuale familiarità delle donne, la storia delle famiglie e se si hanno casi in famiglia di tumore ovarico o della mammella o di tumore in genere, attenzionarle in maniera più serrata perché l’unica prevenzione possibile è proprio identificare le famiglie a rischio e lavorare su quelle, intercettando almeno un buon 20% di tumori ovarici. Il medico di famiglia ha certo un ruolo importante perché può intercettare i primi segnali di un sospetto tumore ovarico come i disturbi intestinali che perdurano nel tempo e che non vanno mai trascurati, raccomandare la visita ginecologica se la donna salta i controlli durante l’anno, indirizzare la donna a un Centro di riferimento. Le tappe che seguono alla prima diagnosi sono di tipo diagnostico-strumentale per approfondire la tipologia del tumore, la sua diffusione, il suo profilo molecolare a cominciare dalla TAC e dalla risonanza magnetica, l’ecografia pelvica, la diagnostica di tutti i marker molecolari, esami di base per inquadrare la patologia”.

“Ovviamente- continua Scambia- segue la scelta dell’approccio chirurgico o medico. Se il tumore è operabile si interviene per eradicarlo con la chirurgia demolitiva, che è l’approccio principale in questo momento, a cui segue la chemioterapia adiuvante. Quando, invece, il tumore non è operabile perché troppo avanzato si procede con la chemioterapia neoadiuvante che prelude all’intervento chirurgico. Seguono le terapie di mantenimento con antiangiogenetici o i PARP inibitori. È molto importante dire che oggi abbiamo anche delle ottime chance di cura per le pazienti con recidiva, che oggi può essere curata e gestita in molti casi con successo. Il nostro Centro, dove vengono seguite circa 900-1.000 pazienti l’anno e almeno una trentina di medici ruotano attorno ad esse, è organizzato secondo un’Unità Operativa Carcinoma Ovarico, dove la paziente viene presa in carico a 360 gradi da un team multidisciplinare costituito da alcune figure chiave come il ginecologo chirurgo, l’oncologo medico, l’anatomopatologo, il radiologo, l’anestesista, il biologo molecolare, lo psicologo che condividono il caso clinico e avviano la paziente al migliore percorso di cura possibile’.

Il test genetico BRCA
Il test genetico, in caso di familiarità al tumore ovarico, è uno strumento preventivo importante perché permette di sapere se una donna è portatrice o meno della mutazione del gene BRCA e, in caso di malattia, attraverso l’individuazione delle caratteristiche biologiche del tumore, permette di scegliere il percorso di cura più appropriato ed efficace.

“Il test genetico BRCA si fa con lo scopo di vedere se due geni, che si chiamano BRCA1 e BRCA2, sono mutati o no, cioè se presentano alterazioni del codice genetico rispetto alla forma normale- spiega Gennaro Daniele, Direttore UC Fase I, Direttore Scientifico Clinical Trial Center e Coordinatore Programma Fase I, Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS di Roma- questo ci consente di capire se le due proteine che sono prodotte a partire da questi due geni sono funzionanti oppure no. È un test molto importante, perché si è scoperto che le mutazioni a carico di questi due geni predispongono all’insorgenza di alcuni tumori, tra cui quello mammario e ovarico. Quando definiamo un’alterazione genetica germinale vuol dire che è si tratta di un’alterazione ereditata dai genitori, presente in tutte le cellule dell’organismo, in realtà l’alterazione germinale predispone in maniera ereditaria al rischio di sviluppare i due tumori. Quando, invece, parliamo di alterazione somatica ci riferiamo ad un’alterazione che è presente solo in alcune cellule del tumore. Il test germinale si fa con un’analisi del sangue, il test somatico si ottiene con l’analisi molecolare del tessuto tumorale”.

“È importante – prosegue Daniele - conoscere lo stato somatico, perché questa mutazione si associa ad una brillante risposta del tumore alla classe dei farmaci PARP inibitori. Altrettanto importante è il test germinale perché se la mutazione è presente in tutte le cellule lo sarà anche nel tumore, inoltre permette di individuare famiglie portatrici della mutazione a cui dobbiamo riservare una sorveglianza stretta per prevenire l’insorgenza delle neoplasie che di solito, in questi nuclei familiari, si verifica in giovane età e che può portare a scegliere una profilassi chirurgica da valutare attentamente e in ambiente protetto e specializzato”.

Dopo il trattamento si pone la preoccupazione delle pazienti per il follow-up, ovvero il periodo di osservazione che consiste di un certo numero di visite e di una tipologia variabile delle indagini strumentali da eseguire. ‘Un argomento molto dibattuto è proprio quello che riguarda il follow-up delle pazienti libere da malattia dopo 5 anni dalla diagnosi- dice Anna Fagotti, Direttrice UOC Carcinoma Ovarico, Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS di Roma- numerose sono le Linee guida internazionali ma c’è poco consenso della comunità scientifica. Se facciamo riferimento alle Linee guida americane NCCN – National Comprehensive Cancer Network, il controllo va fatto una volta l’anno, anticipato sulla base dei segni clinici ove necessario. La scelta può sembrare molto impopolare perché le pazienti possono sentirsi abbandonate ma il senso di questo orientamento è quello di consentire proprio alle donne di avere una vita il più normale possibile, lontana dalla malattia. In base alle Linee guida NCCN sarebbe indicata solo la TAC sulla base dei sintomi oltre alla visita clinica, all’esame dei marcatori e/o all’ecografia addominale e pelvica. Molto dipende nella programmazione del follow-up dallo stadio di partenza della malattia, dal profilo molecolare del tumore che può essere associato a una mutazione BRCA e, quindi, presentare un rischio per la paziente di sviluppare anche altri tumori. È uno scenario composito. Il tumore ovarico non è uno solo e oggi si avverte la necessità, legata alle nuove conoscenze, di personalizzare anche i controlli nel modo più flessibile possibile’.

Il sostegno psicologico
Sostenere la paziente psicologicamente è sempre fondamentale perché l’impatto del tumore ovarico sulla sua salute mentale può essere devastante. ‘Ricevere una diagnosi di tumore ovarico è drammatico ma la malattia non deve paralizzare la vita delle pazienti - sottolinea Daniela Chieffo, Responsabile UOS di Psicologia Clinica, Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS di Roma- è importante che non si verifichi una frattura emotiva ed affettiva tra la donna e il contesto relazionale che la circonda, in particolare con il partner, i figli e le persone più vicine. Bisogna favorire quanto più possibile la ripresa psicologica e aprire un dialogo con le persone più significative perché spesso accade che le pazienti per proteggere la famiglia si chiudano in sé stesse fino ad una vera e propria alienazione che è assolutamente negativa e a introiettare le proprie angosce e il dolore che si accompagna alla malattia e che non essendo più condivisi si amplificano a dismisura”.

“La relazione con gli altri, il dialogo e la condivisione sono tappe fondamentali del processo di cura e guarigione. La diagnosi di tumore ovarico non solo comporta il rischio di isolamento, fisico e psicologico, ma porta ad un profondo cambiamento del modo di percepire sé stessa come donna e il proprio corpo. In tal senso, è importante che la paziente continui a sentirsi donna salvaguardando la componente estetica e la componente più intima e femminile di sé e del suo essere tale. Nel nostro Centro portiamo avanti specifici programmi attraverso percorsi di riabilitazione psicologica soprattutto servendoci dell’arte, della fotografia, della musica e del cinema che- conclude- alleggeriscono il peso mentale della malattia e favoriscono lo scambio il dialogo”, conclude Chieffo.

22 giugno 2021
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