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Lazio. In tutti i Pronto soccorso team di esperti per supportare donne e bambini vittime di violenza

Nella prima fase la formazione riguarderà il personale in servizio nei Dea selezionati dalle direzioni sanitarie a loro poi spetterà il compito di ‘addestrare’ i colleghi. Il progetto prevede l’attivazione di una sorta di percorso assistito protetto. L’assistenza psicologica e 'materiale' scatta invece nella presa in carico successiva, dove entreranno in gioco i centri anti-violenza o altre associazioni di aiuto. 

01 OTT - Nei Pronto soccorso di tutti gli ospedali del Lazio saranno operativi a breve team composti da personale medico e infermieristico capace di riconoscere subito i segni della violenza. E quanto prevede la “Campagna di formazione e implementazione del percorso clinico–assistenziale in emergenza delle vittime di violenza”, presentata questa mattina nella sede della Giunta regionale a tutti i responsabili delle strutture dell’emergenza da Cecilia D’Elia che presiede la Cabina di regia sulle violenze di genere e da Flori De Grassi, responsabile della Direzione salute e integrazione socio sanitaria.

La formazione riguarderà in questa prima fase il personale in servizio nei Dea selezionati dalle direzioni sanitarie a loro poi spetterà il compito di ‘formare’ i colleghi. L’obiettivo è quello di consentire di conoscere il fenomeno della violenza di genere, di riconoscere i segnali della violenza subita, di interagire con i vari operatori coinvolti al fine di garantire l’attivazione di una ‘Rete’ in grado di proteggere le donne e i bambini, coinvolgendo Forze dell’ordine, Polizia locale, servizi sociali territoriali, associazioni e centri anti stalking. Questa rete dovrà essere in grado di riconoscere e segnalare i casi di violenza anche se la vittima non ha necessità di ricorrere alle cure mediche.

“Medici ed infermieri - spiega Cecilia D’Elia - sono spesso le prime e non raramente le uniche persone, esterne al nucleo familiare, che arrivano a vedere le conseguenze fisiche e psichiche della violenza. E’ molto importante che sappiano quindi accogliere le domande delle donne“.

Il progetto prevede l’attivazione di una sorta di percorso assistito protetto. “La sospetta vittima – sottolinea Degrassi- dovrà essere accompagnata in una stanza dedicata che garantisca tranquillità e dotata di tutto ciò che si rende necessario per la visita e l’eventuale accesso in borghese di polizia o carabinieri, per raccogliere testimonianza o denuncia. Questo per impedire lo stillicidio di domande ripetute all’infinito che acutizzano il trauma o anche solo per far si che la vittima non debba sentir dire ‘questo non è di mia competenza”. L’assistenza psicologica e 'materiale' scatta invece nella presa in carico successiva, dove entreranno in gioco i centri anti-violenza o altre associazioni di aiuto.
 

01 ottobre 2015
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