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Il laboratorio di farmacoutilizzazione protagonista alla Sifo Agorà


Al XLV Congresso Nazionale Sifo, focus su aderenza e deprescrizione. Meini: “Sono concetti complementari. Tra il 5-15% degli accessi in Ps per eventi avversi farmaci, causati da prescrizioni inappropriate”

21 OTT -

Aderenza e deprescrizione (o ‘deprescribing’) sono concetti complementari che devono essere affrontati attraverso strategie combinate. Il farmacista ospedaliero e dei servizi farmaceutici territoriali - come dimostrato da numerose esperienze nazionali ed internazionali - può svolgere una funzione positiva per contribuire ad una migliore aderenza alla terapia.

È stato questo, in estrema sintesi, il tema al centro di una delle sessioni Sifo Agorà dal titolo “Laboratorio di farmacoutilizzazione: focus su aderenza e deprescribing”, durante la quale i farmacisti ospedalieri si sono confrontati con l’obiettivo di stimolare la produzione di nuove idee, approcci e soluzioni sul tema, attraverso un “ambiente collaborativo tra faculty, facilitatori e partecipanti”.

L’evento si è svolto nell’ambito del XLV Congresso Nazionale Sifo, che si è chiuso ieri a Napoli presso gli spazi della Mostra d'Oltremare. Tutor della sessione Barbara Meini, membro del Consiglio direttivo Sifo e Coordinatrice per l’Editoria scientifica della Società, unitamente al dottor Fiorenzo Santoleri, Segretario Abruzzo e Molise Sifo.

“Numerose sono le esperienze nazionali ed internazionali sul ruolo del farmacista in favore dell’aderenza al trattamento – ha detto la dottoressa Meini – e significativi i dati di letteratura rispetto al miglioramento degli outcomes clinici, riduzione degli effetti collaterali e reazioni avverse inattese, appropriato utilizzo delle risorse economiche, laddove il paziente sia aderente al trattamento. L’aderenza al trattamento è poi un endpoint misurabile attraverso i dati di prescrizione e dispensazione dei medicinali in possesso del farmacista, che quindi può supportare il prescrittore all’atto della rivalutazione fornendo informazioni utili ad integrare i dati clinici di follow-up al fine di confermare l’opportunità o meno di proseguire nel trattamento, soprattutto quando questo risulti essere inefficace. In questo caso, infatti, l’inefficacia di un medicinale potrebbe derivare da una ridotta o insufficiente aderenza ad esempio per la difficoltà del paziente a deglutire nel caso di forme farmaceutiche solide, scarsa tollerabilità, difficoltà di somministrazione nel caso di forme farmaceutiche iniettive, oppure invece l’inefficacia è intrinseca (ad esempio a causa del fenotipo metabolico individuale) per cui di fronte ad un paziente non responder il medico deve valutare un’altra alternativa terapeutica”.

Dall’altro lato il farmacista, attraverso la relazione diretta con il paziente, sia attraverso il counselling sia attraverso sistemi di teleassistenza, può “favorire l’empowerment fornendo informazioni utili per la gestione autonoma della propria terapia, sia per l’assunzione che per la gestione della tollerabilità”, ha aggiunto l’esperta. Le nuove tecnologie a disposizione dei pazienti, tra cui dispositivi indossabili ed applicazioni commercializzate come dispositivi medici, intanto, permettono di monitorare e favorire l’aderenza ai trattamenti (sia farmacologici sia riabilitativi) e tra le altre cose di “raccogliere just in time dati relativi a parametri clinici e stili di vita, utili per effettuare studi di real world sui trattamenti in corso. In questo ambito la nuova linea guida Aifa sulla classificazione e conduzione degli studi osservazionali – ha sottolineato Meini – permette la raccolta di dati registrati tramite device indossabili senza l’interfaccia del medico sperimentatore. Questo favorirà la comprensione di alcuni meccanismi di adattamento o meno che i pazienti possono avere nei confronti della gestione della terapia farmacologica cronica, soprattutto nella fascia di età dei giovani-adulti attivi, che hanno un impatto diretto sulla qualità della vita”.

Nel corso della sessione, dunque, si è approfondito l’aspetto relativo alla deprescrizione (o ‘deprescribing’), in particolare come concetto complementare all’aderenza. “L’assunzione contemporanea di più di cinque farmaci (condizione nota come ‘politerapia’) per trattare patologie croniche – ha spiegato ancora Meini – in particolare nella popolazione anziana, ma anche la popolazione adulta sempre più interessata da co-morbilità che insorgono precocemente a causa di fattori di rischio, ambientali, stili di vita inadeguati, determina molteplici problemi. L’uso contemporaneo di molti farmaci diversi può infatti portare a errori terapeutici o indurre il paziente a sospendere in maniera autonoma i trattamenti farmacologici, riducendo quindi l’aderenza. In questo contesto la deprescrizione e l’aderenza divengono complementari l’una all’altra”.

La deprescrizione è un approccio finalizzato all’ottimizzazione del trattamento farmacologico, che prevede una valutazione critica, sistematica e periodica dei trattamenti in corso da parte di un team multidisciplinare e multiprofessionale costituito dal medico di medicina generale, lo specialista geriatra (nel caso di pazienti anziani) ovvero altri specialisti, il farmacista ospedaliero e dei servizi farmaceutici ospedalieri, l’infermiere.

“Tale processo – ha chiarito Meini – è finalizzato principalmente a ridurre in modo pianificato il numero o il dosaggio dei farmaci potenzialmente inappropriati, secondo criteri riconosciuti a livello internazionale (criteri di Beers, STOPP e START), al fine di migliorare l’aderenza e promuovere la salute e la qualità di vita del paziente. Laddove questo a giudizio del team multidisciplinare e multiprofessionale non sia ritenuto praticabile comunque è possibile rimodulare ad esempio tempi e modi di assunzione nella stessa giornata”.

Ma quando e perché è utile la deprescrizione? E quali sono i suoi benefici ma anche i suoi limiti? “L’interazione farmacologica può ridurre o amplificare gli effetti dei medicinali assunti contemporaneamente oppure determinare un effetto (negativo) non voluto. È noto dai dati di letteratura – ha ricordato ancora Meini – che una percentuale tra il 5 e il 15% degli accessi ai pronto soccorso sia legata ad eventi avversi da farmaci (es. stati soporosi, cadute), in particolare a causa di prescrizioni inappropriate”.

Ad oggi, sono disponibili i già citati criteri internazionali di Beers, STOPP e START, che sono un supporto utile alla valutazione e revisione di co-somministrazioni potenzialmente inappropriate nella popolazione ultrasessantacinquenne. “Il target della popolazione non è secondario, in quanto con l’avanzare dell’età e dell’invecchiamento le funzionalità metaboliche ed escretorie (rispettivamente epatica e renale) diminuiscono favorendo l’insorgenza di effetti farmacologici non ricercati. Tali criteri, oggi sistematizzati ed informatizzati in diverse piattaforme anche ad accesso gratuito per i professionisti sanitari- secondo l’esperta- sono un valido supporto decisionale. È necessario però che tali strumenti siano conosciuti (in primis dai medici di medicina generale) e messi a sistema in un percorso di presa in carico del paziente territoriale, residenziale o domiciliare che deve partire dalla ricognizione farmaceutica e non (farmaci, integratori, abitudini alimentari), passare attraverso la riconciliazione (per esempio eliminando medicinali con medesimo meccanismo di azione) per poi valutare l’opportunità della deprescrizione, attuarla e monitorarla”.

In tutte queste fasi il farmacista ospedaliero e dei servizi farmaceutici territoriali, all’interno del team, contribuisce alla ricognizione “per la parte di propria competenza in base ai dati amministrativi per i medicinali erogati in distribuzione diretta, per conto e convenzionata, eventuali accessi al PS e segnalazioni di ADR, e propone al team alternative terapeutiche appropriate in luogo di quelle potenzialmente inappropriate”. Complessivamente, la deprescrizione contribuisce alla sostenibilità economica del sistema. I benefici della deprescrizione sono supportati dai dati della letteratura, ma gli obiettivi possono essere raggiunti “se c’è anche il coinvolgimento, informato e consapevole, del paziente e/o caregiver per la condivisione della nuova scelta terapeutica”, ha evidenziato l’esperta. Quanto ai limiti in generale della deprescrizione sono “culturali, in quanto ancora oggi i criteri sono scarsamente (o per nulla) conosciuti dai medici e dagli altri operatori sanitari, per cui è necessario fare formazione a partire dal percorso universitario, oltre che di sistema, per cui nelle aziende sanitarie territoriali è auspicabile la costituzione di team multidisciplinari e multiprofessionali dedicati”, ha concluso la dottoressa Meini.



21 ottobre 2024
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