Quotidiano on line
di informazione sanitaria
Giovedì 03 OTTOBRE 2024
Lavoro e Professioni
segui quotidianosanita.it

Aggressioni al personale. Don Massimo Angelelli (Cei): “Per superare le violenze ricostruire la fiducia dei cittadini nel Ssn”


“Riflettere sulla possibilità di rivedere il sistema di penalizzazione dell’atto medico” perché “non è possibile che la morte di un paziente sia attribuita tout court al medico che lo ha curato o alla struttura che lo ha accolto". Questa la proposta avanzata da don Massimo Angelelli, direttore dell’Ufficio Cei per la Pastorale per la Salute, al convegno oragnizzato da Aris a Roma.

03 OTT -

“Se vogliamo mettere un freno alle aggressioni ai sanitari è necessario ricostruire quel rapporto di fiducia tra cittadino e servizio sanitario, che si è andato sgretolando nel tempo”.

Questo l’appello che don Massimo Angelelli, direttore dell’Ufficio Cei per la Pastorale per la Salute, ha lanciato al Convegno sulla Responsabilità Sanitaria organizzato a Roma dall’Aris nazionale, Aris Lazio e Provincia Romana dei Camilliani, giovedì 3 ottobre.

Un incontro – presenti medici, magistrati, legali ed assicuratori – durante il quale sono stati resi noti anche i dati piu’ aggiornati sugli errori commessi nei ricoveri ospedalieri e le relative conseguenze legali. “Cifre indubbiamente “preoccupanti” – stando all’analisi dei relatori – che in Italia ogni anno vede coinvolto “circa un milioni di pazienti vittime di errori sanitari su circa 10 milioni di ricoveri ospedalieri, tra i quali circa 6-7 mila muoiono per cause connesse direttamente o indirettamente ai trattamenti sanitari ricevuti”. Lucida e, per molti versi, pragmatica l’analisi di don Angelelli, secondo il quale “una mancanza di fiducia non solo genera malcontento e a volte assurde pretese e voglia di rivalsa da parte del cittadino, ma anche lo smisurato aumento del ricorso alla cosiddetta e nota medicina difensiva che comporta per lo Stato una spesa stimata intorno ai 9 miliardi di euro”.


In poche parole – l’esortazione del direttore - “ci vuole una de-escalation della pericolosa tensione che si è creata tra l’esasperazione del paziente e l’impossibilità miracolistica del medico”. Una frase forte e dall’indubbio sapore belligerante “acquisito purtroppo in questo tempo di guerre per esprimere la preoccupazione e l’amarezza che suscitano i continui episodi di violenza contro i sanitari”. “Con ogni probabilità queste dinamiche violente – ha aggiunto - sono alimentate anche dallo “squilibrio che si è venuto a creare dal momento in cui l’atto medico è scivolato nel penale ed ha creato quella frattura nel rapporto medico-paziente, oggi difficile da risanare”.

“Che senso ha – si è chiesto don Angelelli – continuare a chiedere sempre più finanziamenti per la sanità se poi i fondi vengono diluiti in cose futili, delle quali si potrebbe fare tranquillamente a meno? E non parlo evidentemente della sola medicina difensiva, penso per esempio alla questione dell’appropriatezza delle cure”. Dunque, è in questo clima di sfiducia dei cittadini nel sistema che “nascono molto probabilmente i conflitti nei Pronto Soccorso e gli schiaffi che volano contro medici ed infermieri”.

“Eppure per quanto strano possa sembrare il nostro SSN funziona, offre assistenza di qualità, è uno dei migliori in Europa, forse nel mondo. Ma sembra che tutto vada male e cresce la sfiducia della gente”. Sul da farsi, don Angelelli ha indicato la strada della “rimessa mano al concetto di relazione tra paziente e medico, o meglio tra paziente e sistema sanitario. Continuiamo a parlare di prestazioni, a ragionare in termini quantitativi piuttosto che qualitativi. E per qualitativi intendo proprio qualità di relazioni. Per esperienza posso assicurarvi che le buone relazioni tra medico, paziente e parenti del paziente sminuiscono il ricorso al contenzioso. Dobbiamo capire che c’è una bella differenza tra il vedersi curati e il sentirsi curati”.

Da qui la proposta di “riflettere sulla possibilità di rivedere il sistema di penalizzazione dell’atto medico” perché “non è possibile che la morte di un paziente sia attribuita tout court al medico che lo ha curato o alla struttura che lo ha accolto. Senza poi tener conto al sistema folle che questa possibilità ha creato: a chi non è mai capitato di ascoltare alla radio magari della macchina, mentre guida, spot del tipo ‘se pensi di aver subito un torto in sanità rivolgiti al nostro studio tal dei tali: ci pagherai solo a causa vinta’. Non lo possiamo accettare. Come credo non lo possano accettare le assicurazioni costrette a rimborsi astronomici e dunque di conseguenza costrette a chiedere premi insostenibili per tanti medici e tante strutture”.

Nel suo indirizzo di saluto, padre Virginio Bebber, presidente Nazionale dell’Aris, riprendendo le parole di don Angelelli, ha sottolineato come nelle strutture socio-sanitarie associate all’ARIS “si pone una grande attenzione proprio all’istaurazione di un ottimo rapporto relazionale tra paziente e personale sanitario”. Una sensibilità socio-curativa messa in pratica “per far sì che il malato si senta non solo curato, ma possa contare su qualcuno che si prende cura di lui. Come diceva san Camillo ai sui discepoli ‘il malato è il nostro padrone’”.

Infine Michele Bellomo, presidente di Aris Lazio, che si è soffermato sulle difficoltà che deve affrontare quotidianamente chi gestisce una struttura sanitaria “in questi tempi difficili in cui – ha specificato - oltre a circondarsi di personale sanitario deve aggiungere avvocati e assicuratori” e naturalmente cercare di coprire i costi di queste altre figure professionali, pur restando nei limiti gestionali. “Ciononostante – ha concluso Bellomo – nelle nostre strutture sanitarie, tutte di matrice religiosa, resta fondamentale il benessere del paziente così come la tutela dei nostri collaboratori. Facciamo tanti sacrifici, ma andiamo avanti. Facciamo anche tanta fatica a farci riconoscere i nostri sforzi. E pensare che nelle nostre strutture convenzionate e non profit, allo Stato le nostre prestazioni per paziente costano circa il 40% di meno che nelle strutture pubbliche”.

Alcuni Dati statistici
Quanto ai dati statistici degli errori sanitari resi noti al convegno Aris – secondo un recente studio statistico svolto dall’istituto Medical Malpractive – grande attenzione ha suscitato il dato dei pazienti che ogni anno perdono la vita a causa di sbagli durante i ricoveri, circa 7 mila su un milione di pazienti colpiti da errori su 10 milioni di ricoveri ospedalieri. Tra le cause principali, le infezioni nosocomiali (od “ospedaliere”) – tecnicamente dette Infezioni correlate all’assistenza (I.C.A.) sanitaria – che rappresentano uno fra i principali problemi dei sistemi di salute pubblica. Il numero dei contenziosi in ambito sanitario – rivela la ricerca - è in continua crescita, con circa 30 mila casi ogni anno. A fine 2022 sono stati registrati 3 milioni 829mila casi pendenti nei tribunali. Stando ai dati del 2019, le denunce vengono presentate principalmente al Sud e nelle isole (44,5%). Al Nord, la percentuale scende al 32,2 %, mentre al Centro si ferma al 23,2 %. Dati che non fanno vivere ai medici un sereno esercizio della loro professione: il 78,2 % di loro ritiene di correre un maggiore rischio di procedimenti rispetto al passato, il 68,9 % pensa di avere tre probabilità su dieci di subirne; il 65,4 % avverte una pressione indebita nella pratica quotidiana.

Secondo il Med Mal Report Marsch (12esima edizione, 2021) sui numeri e i costi della responsabilità professionale medica, le pratiche relative a errori chirurgici e diagnostici costituiscono una quota rilevante di richieste di risarcimento che pervengono alle aziende sanitarie, con il 42% di incidenza sul totale dei sinistri assicurativi denunciati. I procedimenti stragiudiziali – continua la ricerca - rappresentano la maggioranza sul totale delle richieste analizzate, con una percentuale pari a 71,3%; i procedimenti giudiziali (civili e penali) sono complessivamente il 23,5%; ed il ricorso alla mediazione è tuttora piuttosto limitato (5,3%).

In Europa, le I.C.A. provocano ogni anno 37.000 decessi e 110.000 decessi per i quali l’infezione rappresenta una concausa. In Italia, invece, ogni 100 pazienti ricoverati, circa 6,3 contraggono una I.C.A. durante la degenza in ospedale. Su un totale di oltre 10 milioni di ricoveri annuali, si verificano oltre 600 mila I.C.A. Di conseguenza, almeno l’1% di questi pazienti andrà incontro al decesso per cause direttamente riconducibili all’I.C.A: ed almeno sono oltre 6.000 i pazienti che muoiono in un anno in conseguenza di una I.C.A. Si stima, inoltre, che una quota superiore al 50% delle I.C.A. sia evitabile con una corretta adesione alle linee guida di prevenzione (per le infezioni del sito chirurgico, in particolare, l’evitabilità si attesta al 60%): si tratta quindi di almeno 3.000 decessi prevenibili ogni anno. Sul profilo della evitabilità o inevitabilità delle infezioni nosocomiali, il criterio guida – sottolineano i ricercatori - deve essere rappresentato dalle regole giuridiche vigenti in materia di responsabilità medico-sanitaria, che – come noto – ha natura contrattuale.

In sostanza, è ragionevole ritenere sia sussistente la responsabilità dell’Ente Ospedaliero nella genesi dell’infezione correlata all’assistenza, salvo che lo stesso non riesca a dimostrare che la propria Struttura ed il proprio personale agirono nel pieno rispetto di diligenza e prudenza qualificata e proporzionata alla natura della prestazione, e che venne fatto tutto il possibile per evitare il contagio in base alle indicazioni ampiamente condivise e pretese dalla letteratura scientifica, nonché dalle vigenti previsioni normative. In tal senso, la sentenza n. 6386 del 3 marzo u.s., la Suprema Corte ha puntualmente delineato, sulla base di vere e proprie direttive tecniche, gli oneri probatori a carico della struttura che voglia sottrarsi all’addebito di responsabilità.

Il Supremo Collegio ha ribadito il principio secondo cui la prova deve essere fornita in termini probabilistici ovvero “del più probabile che non” e non di assoluta certezza. Si deve cioè verificare, in base a un ragionamento probabilistico, se il comportamento che la struttura avrebbe dovuto tenere, sarebbe stato in grado di impedire o meno l'evento lesivo, tenuto conto di tutte le risultanze del caso concreto.



03 ottobre 2024
© Riproduzione riservata

Altri articoli in Lavoro e Professioni

ISCRIVITI ALLA NOSTRA NEWS LETTER
Ogni giorno sulla tua mail tutte le notizie di Quotidiano Sanità.

gli speciali
Quotidianosanità.it
Quotidiano online
d'informazione sanitaria.
QS Edizioni srl
P.I. 12298601001

Sede legale:
Via Giacomo Peroni, 400
00131 - Roma

Sede operativa:
Via della Stelletta, 23
00186 - Roma
Direttore responsabile
Luciano Fassari

Direttore editoriale
Francesco Maria Avitto

Tel. (+39) 06.89.27.28.41

info@qsedizioni.it

redazione@qsedizioni.it

Coordinamento Pubblicità
commerciale@qsedizioni.it
    Joint Venture
  • SICS srl
  • Edizioni
    Health Communication
    srl
Copyright 2013 © QS Edizioni srl. Tutti i diritti sono riservati
- P.I. 12298601001
- iscrizione al ROC n. 23387
- iscrizione Tribunale di Roma n. 115/3013 del 22/05/2013

Riproduzione riservata.
Policy privacy