Sintesi degli interventi al convegno
13 MAG -
Avv. Alessandro Calzavara - Fondazione Previasme Onlus
“Obbligatorietà del tentativo di conciliazione: una grande opportunità per medico e paziente”
L’obbligatorietà del tentativo di conciliazione in caso di controversia - introdotta per talune materie, tra le quali quella di cui ci occupiamo, ossia la responsabilità civile medico sanitaria - se colta non come adempimento formale ma come una grande opportunità, porterà solo vantaggi. Avrà, infatti, un positivo impatto sul risarcimento dei danni di piccola e media dimensione, porterà ad una accelerazione dei tempi di risoluzione dei contenziosi, a una riduzione delle spese a carico delle parti. Non solo, avrà sicuramente ricadute positive sul rapporto medico-paziente che sempre di più si sta trasformando da rapporto fiduciario in un rapporto conflittuale con tutte le negatività che questo comporta.
Riuscire ad avere numeri esatti sull’ampiezza del fenomeno, nel nostro Paese è complesso, ma possiamo quantificare il numero di denunce di sinistri in campo sanitario tra i 10-15 mila l’anno. Contenziosi che spesso si risolvono in un nulla di fatto, ma che generano tempi di attesa lunghissimi e quindi stress per entrambe le parti. Basta pensare, ad esempio, che solo nelle Regioni del Nord Est d’Italia, in media, quattro medici su cinque hanno dovuto affrontare nel corso della loro vita professionale un procedimento giudiziario per presunta mal practice con tutte le conseguenze di ordine psicologico che il sentirsi sotto accusa comporta, ma anche con la conseguenza di una disaffezione palpabile verso la professione, come è dimostrato dal fatto che in alcune specialità più esposte al rischio di denunce iniziano a scarseggiare i medici.
È da considerare poi che negli ultimi trenta anni è cambiata profondamente la struttura del danno risarcibile. Negli anni ‘80 hanno iniziato a fare capolino il danno biologico e quello esistenziale. Fattori moltiplicativi dell’entità dei risarcimenti, con inevitabili ripercussioni sui costi assicurativi di medici e Aziende.
Ma è anche cambiata la frequenza delle denunce: cittadini che sempre di più rivendicano la tutela di diritti che ritengono siano stati violati aprendo quindi le porte a contenziosi medico legali.
Tutto questo ha inciso fortemente sul comportamento delle compagnie assicurative: l’aumento del costo medio dei risarcimenti e l’aumento della frequenza delle denunce si è riflesso sull’entità dei premi mentre il mercato della sanità si è via via rivelato un business poco praticabile. Tant’è che negli ultimi anni Aziende e medici più esposti, hanno assistito a una progressiva disaffezione degli assicuratori tradizionali.
Ecco quindi che in questo scenario l’obbligatorietà della conciliazione a partire dal 2011 rappresenta una novità importante in grado di contribuire al miglioramento di una situazione che su più fronti è diventata ormai incontrollabile.
Ma perché si concretizzi un reale cambiamento in positivo è essenziale che le novità introdotte dal legislatore non vengano vissute come meri adempimenti formali, ma vengano colte come reali opportunità.
Bisogna cambiare mentalità per innovare i rapporti: tra medici e cittadini, per passare da una logica di conflitto ad una disponibilità reciproca al dialogo, per superare il concetto di “paziente” nella fase delle cure e in quella successiva, ripristinando una situazione di parità a livello di diritti che deve valere sia per il medico, a volte ingiustamente e strumentalmente accusato, che per il cittadino, a volte altrettanto ingiustamente trascurato in termini di capacità di soddisfare il suo desiderio di conoscere e capire in un momento spesso drammatico.
Tutto questo non si improvvisa e richiederà uno sforzo per meglio comprendere i vari profili, senza trascurare attività formative, già peraltro ben avviate in ambito sanitario a livello individuale e di strutture ospedaliere pubbliche e private.
In tal modo si potrà creare un percorso virtuoso che si rifletterà non solo sui rapporti tra medico e cittadino, ma anche sui tempi di definizione delle vertenze, sulle dimensioni dei risarcimenti e sui costi assicurativi.
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Giacomo Milillo - Segretario generale nazionale Fimmg
Il valore del rapporto di fiducia tra medico e cittadino
Come rappresentante della medicina generale, dei medici di famiglia, mi trovo in questo Convegno in una posizione particolare. La nostra categoria, infatti, è tra le meno esposte al contenzioso legale con i pazienti, come mostrano chiaramente tutti
i dati disponibili. Tuttavia, risentiamo anche noi del clima generale che ha visto crescere negli ultimi anni una tensione “vertenziale” tra medici e pazienti, sfociata per un verso nell’aumento di cause giudiziarie e per l’altro in quella “medicina difensiva” che mina alla base l’autorevolezza della nostra professione.
Vorrei partire da questo elemento non per farne motivo di vanto, ma per cercare di comprenderne le ragioni e capire quindi cosa se ne può dedurre a vantaggio di tutta la professione medica e, soprattutto, a vantaggio di un miglior funzionamento del sistema assistenziale rivolto ai cittadini.
Il tratto caratteristico del rapporto tra il medico di famiglia e i suoi assistiti è la reciproca conoscenza, che dura negli anni e spesso quasi per tutta la vita. Si tratta quindi di un rapporto fiduciario, fondato, come si dice anche in linguaggio tecnico-burocratico, sulla “scelta”. Il cittadino “mi sceglie” e questa condizione di partenza, attualmente assai meno facile da realizzare ad esempio in ambiente ospedaliero, consente spesso di procedere poi costruendo un’autentica relazione positiva.
Credo che anche riguardo ai progetti sulla conciliazione si debba tener conto dell’importanza della scelta: offrire ai cittadini un percorso “obbligato”, saldamente e vistosamente nelle mani delle istituzioni mediche, con ogni probabilità ne ridurrebbe di molto l’efficacia, come peraltro già mostrano le esperienze avviate in alcune città presso gli Ordini.
Viceversa, la creazione di un luogo realmente plurale, cui concorrano anche le associazioni dei cittadini, potrebbe davvero essere la base per rinnovare un’alleanza tra medici e cittadini
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Avv. Italo Partenza
La mediazione come chiave di volta per una differente gestione del conflitto medico-paziente
L’entrata in vigore dell’obbligatorietà del tentativo di conciliazione, come disposto dall’articolo 5 del D.lgs. 28/2010, pone ed impone una serie di riflessioni. Soprattutto richiede un atto di coraggio da parte di tutti gli attori coinvolti nel processo gestionale delle questioni di mal practice, quindi medici, cittadini, avvocati e assicurazioni, per non far fallire la riforma come, di fatto, si può dire sia avvenuto per la conciliazione gius lavoristica. Sono, infatti, fortemente convinto che alla base della controversia giudiziale ci siano conflittualità emotiva, rabbia, incomprensioni, aspettative negate rispetto alle quali se vorremo conciliare dovremo prima mediare. Quindi istituzionalizzare, dove possibile, un intervento mediativo finalizzato alla fase conciliativa potrà costituire la chiave di volta per una differente gestione del contenzioso medico-paziente.
Perché il provvedimento rappresenta realmente un’importante chance.
È una chance per Compagnie assicurative che avranno l’opportunità di avvalersi di uno strumento il quale potrà portare ad una riduzione dei costi di gestione del rischio consentendo quindi di valutare più favorevolmente la possibilità di tornare ad assicurare professionisti e Aziende sanitarie.
Rappresenta una chance per i medici e per le Aziende sanitarie in quanto istituzionalizza un processo compositivo che deve porre le basi per un ripensamento organizzato e consapevole del rischio clinico.
Consentirà inoltre ai medici di entrare in una logica di mediazione e quindi di intraprendere un percorso formativo che li porterà ad abbandonare quei comportamenti negativi derivanti dalla medicina difensiva. E magari servirà anche da stimolo alle Aziende sanitarie che potranno anticipare il momento mediativo creando dei centri di ascolto per i pazienti che ritengono di aver subito un danno.
Rappresenta infine una chance anche per gli avvocati in quanto, se è vero che da un lato le materie oggetto di conciliazione costituiscono una parte importante dell’attuale contenzioso civile, e quindi le evidenti e dichiarate esigenze deflazionistiche del contenzioso potranno privare di redditività taluni ambiti della professione, dall’altro la riforma, se avrà successo, consentirà, di fatto, ai legali di partecipare molto più direttamente allo sviluppo ed alla gestione delle vertenze stragiudiziali dalle quali sono assai spesso esautorati (se fiduciari di compagnia) o nelle quali scontano silenzi ed attendismi che inevitabilmente si ripercuotono sui clienti.
Infine, questo consentirà l’entrata in scena del mediatore, rispetto al quale non posso non vedere in primis la figura dell’avvocato, ma ovviamente anche del medico (entrambi anche quali rappresentanti dei consumatori) in quanto qualsiasi dialogo richiede la rinuncia a qualsivoglia conventio ad escludendum.
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Avv. Liliana Ciccarelli - Cittadinanzattiva-Tdm
“Conciliazione in ambito sanitario: cosa fare perché non sia una opportunità persa”
“La conciliazione. Un’alleanza rinnovata tra medico e cittadino” per Cittadinanzattiva rappresenta una sfida. Dai dati che annualmente analizziamo con il nostro osservatorio Pit Salute emerge in tema di malpractice un trend costante nel numero di segnalazione.
Della totalità delle segnalazioni arrivate su questo tema, solo 28 cittadini su 100 richiedono specifica consulenza medico-legale in vista di una eventuale azione legale. Mentre la gran parte dei cittadini desidera principalmente segnalare l’accaduto ed ottenere informazioni, orientamento e tutela, anche con modalità che esulano da sedi giudiziarie. L’iter della consulenza medico-legale sortisce un parere favorevole all’esperibilità di eventuale azione legale tre volte su dieci; diversamente quattro volte su dieci non si rilevano elementi di responsabilità professionale tali da supportare procedimenti legali. Soprattutto, nei casi in cui di fatto non si rileva un vero e proprio errore, quello che è messo sotto accusa dai cittadini riguarda principalmente al delicato equilibrio della relazione medico – paziente e ad una sempre più carente umanizzazione delle cure.
Il problema però è che non avendo strumenti alternativi all’azione giudiziaria tutto finisce in causa, anche quando il problema è di tipo relazionale medico/paziente. Relazione che potrebbe essere recuperata anche indipendentemente dalla mediazione obbligatoria prevista dal Legislatore come dimostrato da esperienze pluriennali di diverse associazioni e professionisti della mediazione trasformativa che hanno fatto leva sul tema della prevenzione dei conflitti.
Ma il punto è che siamo profondamente intrisi da una cultura giudiziaria e facciamo fatica ad immaginare che gli strumenti di Adr (Alternative Dispute Resolution) possano rappresentare una valida possibilità di tutela e di risoluzione dei contenziosi. In questo senso la nuova normativa può rappresentare un’ opportunità di un approccio culturale diverso.
Ma a specifiche condizioni. Non bisogna abbassare la guardia sul controllo e la gestione del rischio clinico. Occorre quindi potenziare e diffondere gli strumenti di “audit civico”. Inoltre serve un’adeguata formazione su questi nuovi strumenti perché abbiamo già conosciuto i fallimenti ad esempio della conciliazione obbligatoria nel settore del lavoro.
Devono poi essere dettate attraverso appositi decreti ministeriali delle indicazioni specifiche per il settore sanità, in merito ad esempio alle caratteristiche degli organismi e degli stessi mediatori che agiranno in tale settore e il loro percorso formativo. Serve, infine, una definizione/precisazione dell’ambito oggettivo di applicazione dell’obbligatorietà della mediazione in ambito di risarcimento da errore medico.
I numeri sulla malpractice Pit-Salute Cittadinanzattiva
I presunti errori medici sono al primo posto tra le diverse tipologie di casi segnalati all’osservatorio Pit Salute-Cittadinanzattiva con una percentuale di segnalazioni, nel 2008, intorno al 18%. Un trend già registrato negli anni precedenti (erano 18,2 nel 2007).
I cittadini puntano il dito prevalentemente su errori durante lo svolgimento di interventi chirurgici (53%) piuttosto che errata diagnosi (26%). Un 12% segnala invece casi di errata terapia.
I presunti casi di malpractice si verificano prevalentemente nelle strutture di ricovero (61,8%) ma anche, per una percentuale pari al 11,8%, nel Pronto soccorso. L’ambulatorio rappresenta luogo di malpractice nel 18,4% dei casi.
La quasi totalità degli errori segnalati proviene da ambienti sanitari pubblici o accreditati (88%), contro il 12% dei casi in cui il presunto errore si annida in strutture e ambulatori privati.
A livello regionale le segnalazioni vedono in testa il Nord (38%) seguito dal Sud e Isole (33%) e dal Centro ( 29%). Mentre sono sette le aree specialistiche maggiormente interessate dai presunti errori medici, l’insieme delle quali raggruppa il 60% del totale delle segnalazioni raccolte sul tema: guida la classifica l’ortopedia17,5 seguita dall’ Oncologia (13,9%). Al terzo posto c’è la Ginecologia e ostetricia (7,7) e poi Chirurgia generale e l’ Oculistica (entrambe al 5,4), l’Odontoiatria (5,2) e Emergenza-Pronto Soccorso (2,8%).
Della totalità delle segnalazioni arrivate su questo tema, solo 28 cittadini su 100 richiedono specifica consulenza medico-legale in vista di una eventuale azione legale. Mentre la gran parte dei cittadini (72%) desidera principalmente segnalare l’accaduto ed ottenere informazioni, orientamento e tutela, anche con modalità che esulano da sedi giudiziarie.
L’iter della consulenza medico-legale sortisce un parere favorevole all’esperibilità di eventuale azione legale nel 31% dei casi; diversamente per il 44% dei restanti, non si rilevano elementi di responsabilità professionale tali da supportare procedimenti legali. L’errore accertato riguarda principalmente una errata diagnosi (29% dei casi) ed errata esecuzione di interventi chirurgici (20% dei casi). Tra le tipologie di errore accertato è significativamente rilevante il dato relativo alle infezioni nosocomiali accertate (14%).
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Giovanni Monchiero - presidente della Fiaso
“Con il modello piemontese ridotti rischio clinico e costi assicurativi”
Asl e Aziende Ospedaliere stanno dotandosi, oramai da diversi anni, di nuovi ed efficaci strumenti per prevenire gli errori clinici e individuare soluzioni “dolci” al conflitto medico-paziente. Ma prima di entrare nel tema sarà opportuno sgomberare il campo dall’equivoco della “malasanità” facendo parlare i numeri: nella sanità pubblica italiana l’indice di sinistrosità è a malapena dello 0,2% e di questa percentuale solo un terzo, ossia lo 0,06%, si trasforma in effettivo risarcimento del danno, ovvero nel riconoscimento di un reale errore clinico. Dati che smentiscono l’immagine di un Servizio sanitario nazionale “colabrodo”, che stride tra l’altro con le classifiche dell’Organizzazione mondiale della sanità che colloca l’Italia nelle prime posizioni su aspettativa di vita e benessere psico-fisico della popolazione.
Quando si denunciano 15mila casi l’anno di errori clinici in Italia bisognerebbe mettere a confronto questo dato con le decine di milioni di prestazioni erogate annualmente dal nostro troppo spesso bistrattato Ssn.
Ricordare questi numeri non significa abbassare la guardia, ma semplicemente inquadrare il problema nelle giuste dimensioni.
Asl e Aziende ospedaliere stanno facendo da tempo la loro parte come dimostra la costituzione oramai diffusa di strutture operative dedicate al risk management che coinvolgono attivamente tutti i ruoli sanitari ai vari livelli aziendali. Anche perché alla diminuzione dei sinistri non fa seguito una diminuzione dei premi corrisposti alle assicurazioni, che sono anzi lievitati di quasi il 30% negli ultimi anni. Una voce di spesa che grava sui bilanci di aziende sanitarie ed ospedaliere.
Per questo diverse Regioni hanno deciso di correre ai ripari. Il Piemonte ha fatto da apripista. Da quattro anni gestisce una forma di autoassicurazione, assumendo in proprio la gestione del rischio e ricorrendo ad una polizza assicurativa solo per la copertura di eventi catastrofali.
Il “modello piemontese” di gestione del rischio clinico si articola su due campi di azione: quello della prevenzione dell’errore medico e quello della gestione non conflittuale del contenzioso.
Per prevenire sono stati prima di tutto individuati dei percorsi diagnostico-terapeutici per diverse tipologie di prestazioni, che consentono alle singole aziende di individuare le maggiori criticità all’interno dei singoli percorsi ed adottare così i correttivi in grado di ridurre a livello fisiologico l’errore medico. Attraverso l’Ares – l’Agenzia sanitaria regionale del Piemonte - sono stati poi istituiti dei corsi annuali di mediazione dei conflitti, che formano i professionisti che operano nelle aree di Clinical Risk istituite in un po’ tutte le Aziende ad “ascoltare” le ragioni di medici e pazienti per individuare soluzioni non conflittuali, in grado di soddisfare entrambe le parti e di recuperare il rapporto fiduciario con il paziente stesso.
Prevenire, ma anche recuperare in seno all’azienda la gestione vera e propria del contenzioso. È quanto si sta facendo in Piemonte attraverso la costituzione di gruppi interaziendali per la gestione del rischio, che consentono di studiare le richieste di risarcimento non superiori ai 30mila euro, fissando equi indennizzi che evitano il ricorso alle aule dei tribunali.
Un sistema, quello piemontese, ancora in fase di rodaggio, ma che ha già consentito di abbattere i costi assicurativi e di gettare le basi per l’ulteriore miglioramento delle performance del nostro prezioso servizio sanitario pubblico.
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Maria Concetta Vaccaro - responsabile welfare Fondazione Censis
Come cambia il paziente e la relazione con il medico: nuovi pazienti in cerca di autonomia e medici sulla difensiva
La figura ed il ruolo del medico sono investiti ormai da tempo dal grande cambiamento che ha caratterizzato negli ultimi anni l’universo della sanità italiana e che risponde a dinamiche di lungo periodo causate dalla modificazione del tessuto sociale del Paese. L’innalzamento culturale ha infatti consentito la diffusione di livelli di competenza crescente; un know how sanitario che peraltro va ogni giorno arricchendosi grazie al progressivo aumento dello spazio dedicato alle informazioni sulla salute e all’avvento di internet. Così, secondo i dati rilevati da Monitor biomedico 2009, il 74,9% degli intervistati si definisce molto o abbastanza informato sui temi della salute, il 59,3% dichiara di essere sempre interessato ad acquisire informazioni su questo tema mentre cresce il peso dei media tra le fonti principali di informazione sanitaria. Si tratta di un processo che non può che impattare anche sulla figura del medico e sulle modalità di relazione con esso. I medici vedono quindi mutare il perimetro delle relazioni con i loro assistiti che chiedono uno scambio più complesso e articolato di tipo quasi “contrattuale”, giocato su un piano di maggiore equilibrio. Una richiesta che configura un bisogno di confronto dialettico con il medico, che può sfociare in forme di controllo e negazione dell’autorevolezza del suo sapere professionale.
Ne sono espressione alcune evidenze statistiche emerse di recente che segnalano la diffusione, sebbene ancora per piccole quote di popolazione, di atteggiamenti polemici che in alcuni casi finiscono nella conflittualità. In particolare emergono: l’intensificazione delle situazioni di verifica e di confronto esplicito con il medico di medicina generale. È il 12% degli italiani (22,2% dei laureati) a controllare su internet gli input ricevuti dal proprio medico di medicina generale, ed è sempre intorno al 12% (23,7% dei laureati) la percentuale di chi discute con il medico i risultati emersi dalle ricerche sul web, mentre è il 4,7% (8,9% dei laureati) a contestare apertamente al proprio medico l’esattezza della diagnosi e delle terapie sulla base di quanto appreso su internet; l’aumento vertiginoso del numero di sinistri denunciati riconducibili alla responsabilità professionale dei medici.
L’Ania stima infatti come dal 1994 al 2007 si sia passati da 3.222 sinistri denunciati a 13.415 (+316%), con una certa stabilizzazione a partire dal 2001.
Le frizioni sono anche il saldo naturale della rilevanza attribuita a fori informativi alternativi al medico: la televisione rappresenta la principale fonte di input sanitario per il 43,2% degli italiani mentre il 35,8% vorrebbe poter usufruire di strumenti quali le classifiche degli ospedali, il 34,3% del ranking dei professionisti medici e il 31,9% desidererebbe la pubblicazione delle valutazioni dei pazienti su servizi e strutture sanitarie.
Sono dati dunque che evidenziano un progressivo, anche se spesso ingiustificato, logoramento del legame di fiducia degli italiani nei confronti del medico e delle strutture sanitarie. Che ci si trovi oggi di fronte ad un modello di relazione medico-paziente che sembra aver in qualche modo perduto le coordinate
Sia ai medici che ai pazienti viene quindi richiesto uno scatto verso una migliore comprensione reciproca ed ai primi in particolare la piena accettazione di un modello di relazione finalmente da pari a pari, corrispondente al perseguimento del comune obiettivo strategico della salute.
13 maggio 2010
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