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Sanità integrativa e libera professione. Le sinergie possibili 

di Isabella Mastrobuono e Grazia Labate

I Paesi europei, e non solo, si stanno orientando in modo deciso verso sistemi misti di tutela della salute. Nel nostro Paese il tema del secondo pilastro non può più essere lasciato sottotraccia, c’è ma non se ne parla troppo. Da due diverse prese di posizione quella di Bersani sulla privatizzazione strisciante e quella di Rossi sull’intramoenia nuovi stimoli per riaprire il confronto

31 MAR - Recentemente sono apparse su Quotidiano Sanità due affermazioni apparentemente contraddittorie. La prima solle-vata dall’Onorevole Bersani sulla “strisciante privatizzazione della sanità attraverso la promozione delle forme integra-tive di assistenza”, la seconda dal Presidente della regione Toscana Rossi sull’importanza dei fondi integrativi, so-prattutto per i rimborsi dei tickets ed il possibile ruolo nella non autosufficienza, pur egli annunciando la proposta di abolire la libera professione foriera di lunghe liste di attesa e corruzione.
 
Le considerazioni di seguito esposte intendono offrire un contributo per un dibattito politico, non solo nel PD, ormai ineludibile sulla sostenibilità del Servizio sanitario nazionale (indagini conoscitive in merito ve ne sono ormai molte) e sul ruolo che il finanziamento privato mediato può svolgere nel contesto italiano, anche attraverso una rivisitazione dei modelli organizzativi della libera professione.
 
Una recente indagine del CERGAS Bocconi ha fotografato la spesa sanitaria privata delle famiglie riferita al 2013 dalla quale emerge che su un totale di 32,7 miliardi di euro circa 5 miliardi di euro sono concentrati nell’ambito dei ricoveri (compresi quelli negli istituti di assistenza, case di riposo ed RSA), 3,5 miliardi nelle visite specialistiche, 4,5 miliardi in odontoiatria, 2,4 miliardi in analisi cliniche e radiologiche, 12,5 miliardi in farmaci (di cui una quota conside-revole per medicine non convenzionali). Sono queste dunque le prestazioni che i cittadini richiedono e che sono offerte dalla maggior parte dei fondi integrativi.
 
In tale spesa privata è contenuta anche quella della libera professione dei medici (oltre 1 miliardo di euro) ma non è dato conoscere quanto provenga da pazienti che sono iscritti a forme integrative di assistenza e quanto sia pagato di tasca propria dal cittadino. Una cosa è certa, molti fondi si rivolgono alle strutture pubbliche per la erogazione di prestazioni in regime libero-professionale.
 
Secondo l’11° Rapporto Sanità a cura del CREA Sanità “sono chiamate a rinunciare prevalentemente le famiglie dei quintili medio-bassi” L’aumento progressivo dei ticket nel tempo non ha determinato maggiori entrate per le regioni bensì una fuga della classe media, e non solo, verso la sanità low cost e sono sempre più numerose le strutture non accreditate dal Servizio sanitario nazionale che operano erogando prestazioni a costi eguali o poco superiori ai ticket. Qualsiasi intervento che comporti aumenti dei ticket non potrà che favorire questo settore che si stima valga circa 10 miliardi di euro.
 
Anche l’andamento del Fondo nazionale per le politiche sociali per il CENSIS “testimonia il progressivo ridimen-sionamento dell’impegno pubblico” con il fondo per la non autosufficienza oggi pari a soli 400 milioni. Sono 3.167.000 (il 5,5% della popolazione) i non autosufficienti in Italia, di cui 1.436.000 costretti in via permanente a letto, su una sedia o nella propria abitazione per impedimenti fisici o psichici.
La spesa per non autosufficienza a differenza di altri Paesi è composta da voci della sanità e dell’assistenza ammonterebbe (dati CREA 2012) a 27,7 miliardi, di cui il 7,5% imputabile alla spesa privata out of pocket (dato certamente sottostimato) mentre il 7,5% della spesa socio-sanitaria riguarda le indennità di accompagnamento gestite dall’INPS (13 miliardi di euro, stabili con lieve tendenza all’aumento); seguono le pensioni di invalidità civile (2%), l’assistenza domiciliare e residenziale, gestita dalle Regioni e Comuni (3,9%), e la L. 104/92 (circa l’1%).
 
Le varie prestazioni si sovrappongono e, peggio, rispondono a requisiti di non autosufficienza disomogenei: ad esempio, alcune sono legate al reddito e altre ne sono del tutto indipendenti, con il rischio di generare razionamenti in alcune aree e privilegi per altre.
L’assistenza domiciliare è garantita a circa 500.000 anziani per un ammontare di 22 ore annue contro medie di oltre 100 in altri Paesi. L’introduzione, poi, del nuovo ISEE ha determinato una riduzione dei ricoveri presso le RSA con un conseguente aggravio dei servizi di pronto soccorso. Sono per gli assistiti si aggira intorno ai 1.500 euro.
 
Appare giunto il momento di affrontare la questione della sostenibilità del Servizio sanitario nazionale senza voler rinunciare ai principi fondativi dello stesso, ma costruendo un sistema che sia in parte finanziato dalla fiscalità ge-nerale ed in parte da finanziamenti privati dei singoli cittadini o meglio mediati dalla mutualità, ampliando così la co-pertura dei bisogni, riducendo la massa ingente dell’out of pocket a tutto carico dei cittadini. In sostanza attuare quel secondo pilastro capace di rendere più solide e proattive le politiche pubbliche di tutela e promozione della salute e del benessere dei cittadini.
 
Ed in questo contesto potrebbe essere rilanciata proprio la libera professione con riferimento soprattutto a quella aziendale o di equipe, e non solo limitata all’area delle prestazioni ospedaliere di ricovero od ambulatoriali ma an-che e soprattutto a quelle territoriali (assistenza domiciliare integrata e non, ad esempio).
Secondo il recente rapporto CENSIS il 55,3% degli italiani vuole il taglio delle tasse, anche a costo di una riduzione dei servizi pubblici e secondo la Corte dei conti (anno 2016) “Sembrano ormai mature le condizioni per l’avvio di una nuova fase di riorganizzazione dei servizi pubblici a carattere industriale che, in continuità e coerentemente con quan-to già fatto in passato, avrebbe il pregio di portare a compimento un processo che attende da tempo di essere ripreso e indirizzato verso un modello coerente con quell’“economia sociale di mercato” che l’Unione europea ha adottato con il Trattato di Lisbona.”
 
Secondo gli ultimi dati, i Fondi Sanitari iscritti all’Anagrafe presso il Ministero della salute sono 290, di cui 4 appar-tenenti alla categoria Fondi Sanitari Integrativi e 286 a quella degli Enti, Casse e Società di Mutuo Soccorso. Vi sono poi un numero considerevole di fondi che si sono registrati, ma non sono stati attestati perché carenti nella documen-tazione all’atto dell’iscrizione. Nell’anno 2014 il numero totale degli assistiti dei Fondi è stato di 6.914.184, di cui 4.734.681 sono lavoratori dipendenti, 539.864 sono lavoratori autonomi, 1.373.444 sono i familiari dei lavoratori di-pendenti e 266.195 familiari dei lavoratori autonomi.
 
L’ammontare delle risorse destinate alla copertura di tutte le prestazioni garantite ai propri assistiti è stato complessi-vamente pari a 2 miliardi e 111 milioni di euro (ma si ipotizza un ammontare globale, compresi i fondi non registrati di circa 4-5 miliardi). Le risorse impegnate riferite a prestazioni di assistenza odontoiatrica, di assistenza socio-sanitaria e di prestazioni finalizzate al recupero della salute, in misura non inferiore al 20 per cento dell’ammontare totale, è stato, di circa 691milioni di euro. Cioè il 32,7%, ben oltre il 20% previsto dai decreti del 2008 (Turco) e del 2010 (Sac-coni).
 
I fondi sanitari e sociosanitari possono avere un ruolo determinante nella costruzione del nuovo quadro di insie-me della tutela della salute nel nostro Paese ma devono essere supportati da una serie di azioni ed interventi quali: opportuni incentivi fiscali, che già in parte esistono, la loro promozione/informazione, la predisposizione di progetti regionali per l’individuazione di linee guida e regolamenti, il loro inquadramento nell’ambito dei contratti collettivi di lavoro, nazionali e locali, l’estensione degli ambiti applicativi e delle prestazioni tutelate, la revisione del principio di accreditamento, secondo il quale le strutture accreditate, in possesso di requisiti di qualità certificati, possono operare sia per conto e a carico del SSN sia per conto e a carico di fondi integrativi.
 
In tale direzione va il documento di intesa sottoscritto dalle Regioni nel 2012 che pone le basi per omogeneizzare i criteri di accreditamento a livello nazionale e promuovere una visione dinamica e non statica del processo, legandolo al miglioramento continuo della qualità.
I fondi, studiando opportuni meccanismi, potrebbero consentire il collegamento dei settori sanitario e sociale/sociosanitario individuando specifici pacchetti di prestazioni, servizi, prestazioni e attività ambulatoriali, ospedaliere e territoriali di più frequente utilizzo (visite specialistiche e diagnostica, assistenza domiciliare e residenziale), sia per gli iscritti che per i loro cari anziani. Il ruolo in questo caso della libera professione soprattutto di equipe, non più solo relegata al mondo ospedaliero, ma estesa anche a quello territoriale potrebbe essere rilevante.
 
Potrebbero essere studiate, inoltre, formule che consentano di collegare i fondi pensione a polizze integrative LTC di gruppo, prevedendo la possibilità che il fondo pensione offra ai propri beneficiari una polizza integrativa LTC, vuoi attraverso premi mensili durante l’età lavorativa vuoi attraverso premi unici al momento del pensionamento.
Le proposte di modifica/integrazione legislativa costituirebbero la cornice all’interno della quale avanzare concreta-mente un modello di collaborazione tra i fondi integrativi e le Istituzioni pubbliche (Regioni, Comuni, ASL) anche attra-verso la costituzione di Osservatori Regionali e l’introduzione di modelli organizzativi differenziati per aree geografi-che.
 
Accanto alla possibilità di collaborazione tra Fondi esistenti e Regioni (ma il discorso vale anche per le altre istituzioni) deve essere tenuta in considerazione quella di dare origine a forme integrative di assistenza di cui si fanno promotrici proprio le Regioni, attraverso l’istituzione, prevista dalla normativa, di fondi integrativi su base regionale, ma anche locale con il coinvolgimento dei comuni. Possono essere individuati tre ambiti di prestazioni nei quali attivare la part-nership tra i Fondi e le Regioni: le prestazioni di specialistica ambulatoriale, le cure odontoiatriche e la non autosufficienza.
 
Nella fattispecie le ultime due fanno parte della quota vincolata del 20% delle risorse dei fondi da destinare proprio a questi settori per poter accedere ai benefici fiscali di legge. Se è vero che il portafoglio dei Fondi/SMS/Casse si aggira introno ai 4-5 miliardi di euro sul complesso della spesa privata si tratta di circa 800 milioni-1 miliardo di euro che oggi sono prevalentemente indirizzati verso l’odontoiatria e poche e disomogenee prestazioni sociosanitarie.
 
Considerando le enormi difficoltà dei Comuni a garantire la spesa sociale per parte pubblica e vista l’esiguità del Fondo nazionale per la non autosufficienza (400 milioni) si comprende come l’utilizzo di tali risorse sia fondamentale in un’ottica di partnership tra finanziamenti pubblici e privati.
 
Il settore della specialistica potrebbe essere utilizzato come “volano” per costruire pacchetti prestazionali per nucleo familiare esteso (che includa anche il familiare più anziano), garantendo agevolazioni fiscali per i sottoscritto-ri più giovani che possano beneficiare per loro per esempio delle prestazioni specialistiche ambulatoriali e per i loro familiari più anziani di prestazioni sociali e sociosanitarie legate alla non autosufficienza; inoltre i Fondi potrebbero costituire un “paniere dinamico” in grado di raccogliere quelle prestazioni che in base ai vari indicatori/parametri defi-niti dal legislatore dovessero risultare esclusi dal SSN (vedi le prestazioni cosiddette inappropriate).
 
Tale modello prevede l’utilizzo del canale produttivo della libera professione aziendale (di equipe) o del singolo pro-fessionista che aderisce a tariffe concordate. L’accordo tra Regione e Fondi/SMS/Casse per l’erogazione di concertati volumi di attività ambulatoriale compresi nei livelli essenziali di assistenza (garantiti dai fondi ai loro iscritti) possono essere erogati presso strutture accreditate secondo protocolli definiti e tariffe calmierate. La Regione può stabilire tetti alle stesse prestazioni erogabili nell’ambito del SSR, se già erogate dai Fondi.
 
Con riferimento alle cure odontoiatriche, si possono ipotizzare modelli nei quali l’azienda pubblica si fa carico del paziente odontoiatrico e delega la gestione delle prestazioni odontoiatriche a reti accreditate, venendosi a concretizzare una relazione molto stretta tra i partner per una presa in carico anche dei pazienti più bisognosi. In questo caso la possibilità di creare un fondo su base regionale o locale può essere di grande utilità.
I Fondi/SMS/Casse manifestano generalmente un elevato interesse a convenzionarsi con erogatori pubblici, alla luce di due motivazioni principali: la possibilità di concentrare all’interno di una stessa Convenzione un ampio spettro di prestazioni, tale da coprire il proprio Nomenclatore tariffario e la garanzia di elevati standard qualitativi legata al pos-sesso dei requisiti di accreditamento. E’ in questa ottica che la libera professione aziendale può essere una opportunità.
 
Con riferimento, infine, alle prestazioni rivolte ai cittadini non autosufficienti (NA), appare opportuno precisare ed elencare, ad esempio, le prestazioni sociosanitarie di cui alla soglia vincolata del 20% prevista dal decreto del 2010. In questo caso ci si riferisce a persone che non autosufficienti sono oggi e potrebbero essere parenti di iscritti ai Fondi.
L’accordo tra Regione e Fondi per la scelta delle prestazioni da far rientrare nella quota vincolata del 20% per la NA potrebbe prevedere l’integrazione tra le prestazioni erogate dai fondi con quelle regionali.
 
Si potrebbe ipotizzare in una prima fase di introdurre meccanismi di copertura del rischio distinti sulla base del livello di disabilità/non autosufficienza, destinando per esempio i Fondi alla tutela contro il rischio di non autosuffi-cienza di grado lieve/moderato (quindi le relative e concordate prestazioni sociosanitarie) e le risorse pubbliche a vario titolo erogate (fondo nazionale, fondi regionali e/o comunali, ecc.) per sostenere i cittadini in condizioni di non autosufficienza grave.
 
In conclusione la dimensione della spesa sanitaria privata intercettata dai Fondi sanitari spinge a considerare i Fondi, le Società di mutuo soccorso, le Casse come importanti interlocutori all’interno del disegno strategico di soddisfacimento del bisogno di salute espresso dai cittadini.
In questa prospettiva, l’Amministrazione regionale ha interesse a supportare i Fondi nell’evoluzione dei modelli di erogazione delle prestazioni, nel rispetto, evidentemente, della piena autonomia decisionale e gestionale dei Fondi stessi.
 
Tale supporto può avvenire attraverso due linee di intervento:
- supporto nella definizione degli standard qualitativi inerenti l’erogazione delle prestazioni, sulla base dei criteri che Regione adotta per l’accreditamento degli erogatori del SSR;
- promozione del convenzionamento dei Fondi con erogatori pubblici mediante l’utilizzo del canale delle prestazioni a pagamento ed in coerenza con la normativa regionale in tema di “semplificazione di accesso”.
 
Il secondo elemento di interesse per Regione è legato alla possibilità di attuare meccanismi di cross check delle prestazioni erogate al cittadino rispettivamente con il canale SSR e con il canale privato intermediato dai Fondi. Tale cross check richiede l’attivazione di una piattaforma informativa integrata sulla quale convergano i dati della Banca Dati Assistiti regionale e quelli presenti nelle Banche Dati dei Fondi. La disponibilità di tali dati rappresenterebbe uno strumento per agire sul fenomeno della duplicazione delle prestazioni.
 
I Paesi europei, e non solo, si stanno orientando in modo deciso verso sistemi misti di tutela della salute. Nel no-stro Paese il tema del secondo pilastro non può più essere lasciato sottotraccia, c’è ma non se ne parla troppo, c’è ma potrebbe essere non opportuno intervenire legislativamente, con il rischio che in assenza di regole cresca un sottobosco di iniziative pericolose e nel lungo tempo dannose per il sistema.
L’indagine del CENSIS evidenzia chiaramente quali sono le idee degli italiani, ad avviso di chi scrive, maturi per affrontare e condividere con lo Stato le sfide dei prossimi anni.
 
Isabella Mastrobuono
Docente Luiss

 
Grazia Labate
Università di York


31 marzo 2016
© Riproduzione riservata

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