Decreto appropriatezza. Trasferire la ricerca e la conoscenza medica nella pratica clinica
di Massimo Mangia
Sarebbe auspicabile che il confronto in atto sull’appropriatezza prescrittiva passasse da una discussione di principio o sanzionatoria a un sereno confronto in cui le parti, consapevoli dei margini di miglioramento che esistono, ragionassero insieme su come perseguire questo obiettivo, impiegando strumenti innovativi al servizio dei medici
08 OTT - Il polverone che ha sollevato il decreto per l’appropriatezza prescrittiva cela, a mio giudizio, un aspetto molto importante della questione. Il Ministero della Salute cita, tra le ragioni che hanno determinato questo intervento, una serie di dati oggettivi sull’uso improprio di esami diagnostici e, attraverso il CSS, si basa su alcune linee guida internazionali. I medici, da parte loro, pongono una questione di principio, senza entrare nel merito delle regole, e vedono il rischio di sanzioni come una minaccia da scongiurare ad ogni costo.
In vari interventi è stata citata la così detta medicina difensiva come la causa principale dell’uso improprio di prestazioni e esami diagnostici. Non mancano, a tal riguardo, studi e stime che confermano l’ampiezza di questo fenomeno. C’è però un altro aspetto che non viene citato e che riguarda la non conoscenza, da parte dei medici, di alcuni studi, raccomandazioni e protocolli che sono frutti di studi scientifici. Per dare un’idea dell’ampiezza e dell’evoluzione della conoscenza medica, ogni anno si pubblicano oltre 800.000 articoli su più di 5.600 riviste di medicina. Ovviamente non tutti gli studi hanno lo stesso valore scientifico ed è per questa ragione che esistono associazioni ed organizzazioni che rivedono gli studi e li classificano in base alla loro rilevanza clinica e documentale.
C’è quindi il grande problema di come trasferire la ricerca e la conoscenza medica nella pratica clinica. L’obbligo della formazione ECM non riesce a colmare la distanza, sempre maggiore, che esiste tra la pratica clinica quotidiana e la ricerca medica. Per accedere alla conoscenza medica esistono portali e “banche della conoscenza”, gratuite o a pagamento, che censiscono in modo continuo la letteratura medica, riassumono e organizzano le informazioni in base a delle tassonomie pensate per rispondere alle esigenze più frequenti dei medici e forniscono i link alle fonti originali.
Alcune regioni sottoscrivono degli abbonamenti per tutti i medici del servizio sanitario pubblico, così come fanno alcuni ordini professionali dei medici per i loro associati. I dati di accesso sono però molto bassi perché i medici, terminato il loro lavoro, hanno poco tempo e voglia di approfondire quei temi che hanno affrontato durante il lavoro in corsia o in ambulatorio. La strada per migliorare l’appropriatezza prescrittiva e, anche, l’efficacia diagnostica e terapeutica, non è quello di creare delle liste, su carta, di regole e divieti, bensì quello di fornire ai medici, attraverso l’integrazione della cartella clinica elettronica o del sistema di prescrizione elettronica, dei sistemi di Supporto alle Decisioni (Clinical Decision Support System) che, sulla base dei dati clinici del paziente che stanno trattando, forniscano suggerimenti, raccomandazioni e link alla linee guida, così da formare e guidare il medico mentre lavora.
Si tratta quindi di passare da un approccio di tipo bibliografico (cerco quando ho tempo e sono consapevole che devo farlo) a un approccio integrato alla pratica clinica, in cui il CDSS fornisce, in modalità push, contenuti e informazioni utili.
Negli Stati Uniti e nell’Europa del Nord questi strumenti sono di uso comune ed esistono numerosi studi che ne dimostrano l’utilità e l’efficacia, tanto è vero che negli USA l’esistenza di un CDSS si riflette, per la struttura sanitaria, in una sensibile riduzione del costo del premio assicurativo. Finalmente anche in Italia esiste oggi la possibilità di valutare e acquisire questi strumenti che, oltre a fornire un supporto alle decisioni in real time, possono anche consentire a posteriori l’analisi della compliance rispetto alle linee guide e ai protocolli internazionali, nonché calcolare il rischio farmacologico delle terapie.
Sarebbe auspicabile che il confronto in atto sull’appropriatezza prescrittiva passasse da una discussione di principio o sanzionatoria a un sereno confronto in cui le parti, consapevoli dei margini di miglioramento che esistono, ragionassero insieme su come perseguire questo obiettivo, impiegando strumenti innovativi al servizio dei medici.
Massimo Mangia
Amministratore Delegato
MEDILOGY s.r.l.
08 ottobre 2015
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