Le opposizioni al governo Meloni vanno oltre il salario minimo e dal Forum Ambrosetti a Cernobbio aprono il fronte comune della sanità. Niente tagli, risorse per il rinnovo dei contratti e stanziamenti per cercare di azzerare le liste d'attesa. A dare il via all'ultima giornata di lavori sono stati proprio i leader delle minoranze, la segretaria del Pd Elly Schlein, il leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte e quello di Azione Carlo Calenda.
È stata Schlein, nel suo debutto alla kermesse sul lago di Como anche se in video collegamento, a rilanciare sul tema della sanità come terreno di lotta comune. “Non investire risorse nella sanità pubblica significa lasciare scoperte le regioni e tagliare servizi alle persone e non ce lo possiamo permettere”, ha detto sottolineando che “servono risorse anche per il rinnovo dei contratti”. Un richiamo subito colto da Carlo Calenda, secondo cui la sanità può essere un tema su cui lavorare con il Pd, oltre a quello del salario minimo. “Ci sono due piani: il primo per azzerare le liste di attesa, che costa 10 miliardi, su cui diciamo di togliere il taglio del cuneo fiscale - ha spiegato -. Poi c'è un progetto di rilancio della sanità che passa per l'assunzione dei medici e il pagamento degli infermieri, non a 1400 euro al mese”.
Giuseppe Conte nel suo intervento a Cernobbio non ha citato direttamente la sanità, ma ha difeso i provvedimenti bandiera del suo esecutivo come il reddito di cittadinanza e il Superbonus che “non deve essere un capro espiatorio del governo” anche perché “ha creato molto più di un rimbalzo dell'economia, come certifica non Radio M5S ma l'Ufficio parlamentare di Bilancio e Nomisma”. A chiedere “risorse necessarie e adeguate per il servizio sanitario pubblico” è stata però la vicepresidente del Senato ed esponente pentastellata Mariolina Castellone. “Non ci devono essere cittadini di serie A e di serie B soprattutto nel momento di loro massima vulnerabilità e bisogno - ha commentato -. Presenteremo un progetto di riforma per una sanità mai al di sotto del 7% del Pil. Una sorta di investimento minimo sanitario inderogabile, per poi guardare sempre più in alto”.