“Il Piano oncologico europeo si è dato l'obiettivo, entro il 2040, di una ‘tobacco free generation’, cioè di avere meno del 5% della popolazione che farà uso di tabacco, contro il 25% di oggi. E’ evidente, non solo agli esperti ma a tutti, che per raggiungere un obiettivo del 5% di fumatori entro il 2040, le attuali politiche di contrasto al tabagismo non sono sufficienti. Abbiamo alle spalle una lunga storia di insuccessi. È quindi necessario un deciso cambio di passo integrando, alle misure esistenti, il principio della riduzione del danno, prendendo esempio da paesi virtuosi come Gran Bretagna, Svezia, Norvegia e Giappone dove si sono dimostrati evidenti contrazioni di fumo non da studi scientifici, ma proprio da dati federali, nazionali". Lo ha detto Riccardo Polosa, fondatore del CoEhar, Centro di ricerca per la riduzione del danno da fumo, e professore ordinario di Medicina interna all'Università di Catania, oggi in audizione in Commissione Affari sociali della Camera, nell'ambito dell'esame della Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sul ‘Piano europeo di lotta contro il cancro’.
“La Svezia - continua Polosa - è il primo Paese al mondo ad aver raggiunto l’obiettivo del 5% di fumatori con 17 anni di anticipo rispetto all'European Cancer Plan. La Svezia vanta inoltre la più bassa incidenza di tumore al polmone non solo rispetto ai 27 Paesi Ue, ma anche degli stessi paesi scandinavi. Questo avviene perché, come è noto, si muore per il catrame e non per la nicotina. Ai dosaggi assunti dai fumatori, la nicotina non è cancerogena e non provoca danni ai polmoni. La ricerca del centro di eccellenza CoEhar ha dimostrato in maniera incontrovertibile - ricorda - che gli effetti dannosi sulle cellule umane sono esclusivamente riconducibili alle migliaia di sostanze tossiche e cancerogene sprigionate durante il processo di combustione delle sigarette e non alla nicotina. Dico questo perché il principio della prevenzione del danno si basa sull’impiego di dispositivi tecnologici che erogano nicotina, ma non le sostanze tossiche e cancerogene sprigionate dalla combustione”.
Con riferimento alla realtà del nostro paese, “in Italia - sottolinea l’esperto - ci sono milioni di fumatori che non vogliono o che non riescono a smettere. Ad oggi non abbiamo una politica sanitaria che si prenda carico di queste persone. Sebbene la migliore soluzione al problema del fumo - ribadisce Polosa - sia chiaramente smettere definitivamente e completamente, se non si vuole o non ci si riesce è fondamentale considerare un’alternativa per ridurre in modo drastico e significativo l’esposizione cronica alle sostanze tossiche e cancerogene derivanti dalla combustione delle sigarette. Bisogna pertanto tener conto di questo approccio fondato sul principio della riduzione del danno - conclude - nel quadro più ampio delle politiche sanitarie di prevenzione già esistenti nel nostro Paese”.
"In Italia fumano circa 11 milioni di persone, un adulto su 4, un numero in lieve aumento nel post pandemia. Si tratta di una dipendenza chimica da nicotina, ma anche psicologica, gestuale e di appartenenza. Servono strategie di sostegno per smettere di fumare, ma è improntate anche ridurre il fumo e i danni da fumo. In altri campi della medicina il concetto di riduzione del rischio è contemplato, come nei danni da alcol, nell'alimentazione, in oncologia e nelle malattie infettive. Nel fumo il medesimo principio stenta ad essere accettato e applicato". Così Claudio Zanon, oncologo, nel suo intervento.
"La tecnologia, però - ha sottolineato - ha messo a punto dei dispositivi alternativi non a combustione che possono essere utilizzati nella riduzione del rischio nei fumatori incalliti, come recentemente dimostrato da studi scientifici indipendenti". I dati a disposizione sul fumo indicano la "necessità di un confronto serio sulla possibile riduzione del rischio e dell'impatto sul Servizio sanitario nazionale".
"Sullo screening del tumore al polmone - ha continuato Zanon - i dati in letteratura stanno dimostrando l'efficacia delle Tac a basse dosi in soggetti selezionati. Sarebbe auspicabile individuare almeno due centri nelle regioni o macro-regioni, in collegamento con altri centri europei che effettuano lo stesso screening. Per il rinnovo della tecnologia - ha proseguito - ricordo che l'intelligenza artificiale non è fondamentale solo nella diagnostica per immagini, ma anche in altre discipline, come la ricerca biologica e genetica, l'estensione della ricerca farmacologica, la robotica e l'analisi dei dati per misurare impatto delle cure in oncologia". A tale proposito "serve poi una valutazione - ha osservato Zanon - all'interno delle reti oncologiche, della vetustità delle apparecchiature, considerando l'affiancamento a tecniche come la radiochirurgia, la teragnostica e la diagnostica di precisione. Per le tecnologie più sofisticate serve un coordinamento nazionale che tenga conto non solo del territorio, ma anche delle competenze".
In tema di prevenzione, relativamente all'"approccio moderno al cancro per lo screening della mammella - ha illustrato l'esperto - c'è una sensibile differenza di adesione dal Nord e Sud per questioni culturali, per la scarsa fiducia nel Ssn e la scarsa organizzazione e presenza di radiografisti dedicati. Sarebbe importante - ha suggerito Zanon - concentrare la consultazione delle immagini mammografiche in una centrale diagnostica regionale, con radiologi specializzati che, con l'ausilio dell'intelligenza artificiale, possono fare diagnosi più corrette, velocizzando le procedure e risolvendo il problema del personale e delle liste d'attesa". Inoltre, "per elevare gli standard nella cura del cancro - ha concluso - serve un network europeo degli operatori in campo oncologico, come fatto per le malattie rare".