Sportivi e morti improvvise. In larga parte è colpa delle ‘cardiopatie silenti’
L’incidenza di morte cardiaca improvvisa è ogni anno di 2,3 ogni 100.000 sportivi. I più colpiti sono i dilettanti (80%). Se ne è parlato ieri al Senato in un Convegno promosso dall’Associazione Parlamentare per la tutela e la promozione del diritto alla prevenzione.
18 LUG - Viste le recenti morti che hanno coinvolto numerosi atleti sportivi come quelle del calciatore Piermario Morosini, del pallavolista Vigor Bovolenta e del nuotatore norvegese Dale Oen, è essenziale fornire una serie di corretti messaggi. Per questo oggi al Senato l’Associazione Parlamentare per la tutela e la promozione del diritto alla prevenzione ha promosso una giornata di studio proprio sulla morte improvvisa nello sportivo.
L’incidenza di morte cardiaca improvvisa è di 0,9/100,000/anno per i soggetti non sportivi e di 2,3/100,000/anno fra gli sportivi. È più frequente negli uomini (90%) e nei soggetti di età inferiore ai 35 anni (75%). Gli sportivi più colpiti sono quelli di basso livello agonistico (80%), cioè i dilettanti.
“Abbiamo organizzato questa giornata, perché è importante che un problema come questo riceva tutte le attenzioni possibili. Bisogna che simili disgrazie siano di esempio per una maggiore responsabilità e impegno da parte di tutte le componenti, non solo sportive, comprese Società e Associazioni scientifiche di cardiologia, per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla prevenzione e predittività del rischio di morte improvvisa nello sport”. Queste le parole del senatore
Antonio Tomassini, Presidente della 12° Commissione Igiene e Sanità del Senato e Presidente dell'Associazione Parlamentare per la Tutela e la Promozione del Diritto alla Prevenzione.
“In tutto il mondo ci riconoscono una medicina sportiva all'avanguardia, ma senz'altro possiamo e dobbiamo incrementare gli strumenti della prevenzione – ha affermato
Raffaele Calabrò, Componente della 12° Commissione Igiene e Sanità del Senato - sarebbe infatti necessaria un’adeguata formazione del personale medico sportivo sulla rianimazione cardiopolmonare a bordo campo, dove dovrebbero essere anche più diffusi i defibrillatori elettrici”. “In particolare, per gli atleti che abbiano un'ereditarietà in famiglia o che presentino piccole anomalie da un elettrocardiogramma – ha proseguito - la sequela deve essere: eco, imaging e screening genetici, solo così eviteremo di vedere giovani atleti morire in campo”.
La morte improvvisa di un atleta presuppone il concorso di almeno due fattori fondamentali: l'esercizio fisico di intensità significativa ed un substrato patologico, generalmente di natura cardiovascolare. Questi ultimi in larghissima parte sono costituiti da cardiopatie o anomalie cardiache "silenti". Nei soggetti con più di 35 anni morti improvvisamente durante l'attività sportiva, il riscontro autoptico più frequente è l'aterosclerosi coronarica (oltre l'80%). Da questo ne consegue: ischemia, poi infarto acuto del cuore e infine la morte improvvisa. In sportivi più giovani, invece, si riscontrano spesso anomalie congenite dell'origine e del decorso delle arterie coronarie e malattie del miocardio che, a questa età, sono quasi sempre di origine genetica.
Possono anche accadere squilibri ionici e/o metabolici che si verificano nella disidratazione il che provoca un calo della concentrazione ematiche di magnesio, o di potassio, o della glicemia, tipiche della maratona, o di una partita di calcio in un ambiente torrido. Infine lo stress psichico è da tempo riconosciuto un elemento chiave nel determinare la morte improvvisa in generale e anche dello sportivo (prevalenza di eventi fatali nelle competizioni ufficiali rispetto agli allenamenti).
I criteri per la concessione dell’idoneità sportiva agonistica, infine, come suggerito nel corso del convegno, dovrebbero variare in rapporto allo sport praticato, all’impegno cardiocircolatorio e alla presenza del “rischio intrinseco” di alcune specifiche discipline (sport motoristici, paracadutismo, attività subacquee, etc.).
18 luglio 2012
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