Ciao Giulia
Questa storia ha inizio a Roma la mattina del 3 giugno 2014. Giulia, dopo aver preso il caffè con il marito e salutato il figlio che si prepara per andare a scuola, apre le finestre del terzo piano della sala da pranzo e si getta nel vuoto.
24 FEB - Da quel momento tutto quello che può salvarle la vita si attiva. Al Policlinico Umberto I riescono a compiere quello che, senza esagerazioni, può essere definito un miracolo perché la caduta dal terzo piano di uno stabile non lascia speranze.
E invece, dopo qualche mese e qualche intervento di eccellenza, Giulia viene trasferita all’Ospedale San Giovanni Battista ACISMOM, specializzato in riabilitazione neuromotoria, e inizia il lento percorso che la porterà di nuovo in piedi. Resteranno solo due piaghe da decubito a ricordare un giorno da cancellare.
Tornata a casa ha inizio il confronto con il quotidiano, con i servizi che sul territorio dovrebbero ridarle vita e fiducia nella vita. E, invece, Giulia e la famiglia fanno i conti con quella parte di Servizio Sanitario Nazionale che sembra sempre in trasparenza, che ti dicono che esiste ma che non riesci ad usare perché o non c’è, o nessuno ti sa dire dov’è, o non ha tempo per te, o non è disponibile per i tuoi orari, ecc.
Dopo tante attenzioni in Ospedale, il vuoto.
Lo stesso vuoto che Giulia ha scelto – questa volta per sempre – giovedì mattina, dopo quasi tre anni.
Non ci sono le parole per commentare la vicenda umana. Ci dovrebbero, però, essere i fatti, perché la tanto declamata “presa in carico del paziente” diventi una procedura vera, una attività quotidiana, non una buona prassi da esibire ai convegni ma uno standard (come lo è l’impegno del Pronto soccorso verso chi accede con un Codice rosso).
Adesso resta il dolore della famiglia e degli amici. E forse la speranza che in futuro non ci siano più Giulie perse nel vuoto ma persone che, uscite dall’Ospedale in un percorso ancora da completare sul territorio, possano essere accolte, curate e avere l’attenzione che meritano.
24 febbraio 2017
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