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Responsabilità professionale. Cosa ci aspettiamo dal Senato

Pur apprezzando la fluidità di certi passaggi e la semplificazione dei contenuti dell’originaria versione, si ritiene che al Senato si possano apportare quei correttivi che lascino poco spazio a interpretazioni, anche fuorvianti, rendendo il DDL più comprensibile e lessicalmente non equivocabile

31 MAG - La rilettura del DDL 2224 nella nuova formulazione, già in calendario al Senato, si presta a alcune considerazioni di merito riguardo aspetti peraltro già segnalati (QS il 7.12.2015) in quello che allora veniva definito il collage delle varie proposte presentate.
 
Ad onor del vero a questo DDL congiunto - frutto dell’unione morganatica fra responsabilità degli esercenti le professioni sanitarie con l’atto sanitario e l’originaria responsabilità medica con la declinazione dell’atto medico - sono state apportate alcune significative modifiche, a dimostrazione che quanto si era proposto e significato a vari livelli parlamentari non era il frutto di peregrine richieste d’emendamento o retaggio d’antiquate visioni mediche.
 
Pur apprezzando la fluidità di certi passaggi e la semplificazione dei contenuti dell’originaria versione, si ritiene che al Senato si possano apportare quei correttivi che lascino poco spazio a interpretazioni, anche fuorvianti, rendendo il DDL più comprensibile e lessicalmente non equivocabile.
 
Procedendo all’analisi del testo, rimane aperta la questione dell’articolato dell’art. 5 e del suo incipit: non è ancora intellegibile, se non politicamente, la dizione “esercenti le professioni sanitarie”, la cui definizione è così ampia da non superare la genericità del concetto, offrendo peraltro materia di discussione e di equivoci.
In fase di segnalazione di auspicabili quanto necessari emendamenti, era stato a suo tempo proposto al relatore della Camera d’inserire, nell’atto definitorio delle attività, quel “fatte salve le rispettive competenze” quale riconoscimento delle diversità lavorative e, nel contempo, delle prerogative e delle responsabilità mediche, che non sono comuni alle professioni sanitarie. Una specifica peraltro approvata dal Consiglio nazionale della Fnomceo, di cui non si è tenuto conto.
 
A parte questo passaggio, ancora cruciale, la nuova formulazione risulta oggi più organica in quegli aspetti controversi e opportunamente corretti. Come l’impianto della gestione del rischio clinico, riguardo al passaggio su l’incident reporting, che, se non modificato, sarebbe stato il vero ostacolo all’emersione dei potenziali errori e degli eventi avversi, vanificando il corretto percorso di risk management.
 
Uno dei punti ancora discussi - dopo aver accolto le indicazioni sull’incongruenza della definizione di colpa lieve a fronte della definizione di colpa perseguibile nella sua gravità - rimane il valore delle Linee guida (LG), pur di fronte a un significativo cambio di rotta che le ha ridimensionate al rango dovuto di raccomandazioni. Una visione più rispettosa della realtà clinica del malato e del complesso sistema di cura, nonostante il limite oggettivo della loro effettiva applicabilità, una volta che siano stabilite per legge. Questo in considerazione del fatto che non possono che essere un “supporto dinamico di comportamento”, che cambia col mutare delle conoscenze e delle esperienze che ne limitano l’estensiva applicazione. E il problema di fondo è che, essendo dinamiche e aggradabili, dunque temporanee, viene meno la loro certezza, tanto da non giustificarne l’applicabilità per quanto sia stabilita sempre per legge la loro validazione.
 
Il limite delle LG è essere strumento di giudizio per identificare o meno la colpa in quanto espressione di un comportamento teorico di fronte alla malattia, perché non possono tener conto della variabilità del malato e il cui giudizio di applicabilità è condizionato dalla valutazione del medico. Considerazione non di poco conto laddove entrino in gioco le valutazioni peritali, in cui non offre garanzie quel richiamo della proposta di art. 590 terdel Codice Penale (CP), che prevede che siano fatte salve le rilevanti specificità del caso concreto 1, che a sua volta riporta alla condotta del medico, motivata e mutuata dal giudizio clinico sul paziente.
 
Un passo avanti e uno indietro, dunque: avanti perché si tende a non rendere esclusiva la cura attraverso la pedissequa applicazione delle LG e indietro se, in punta di diritto, ci si uniforma al concetto di colpa rilevante penalmente, se considerata grave di fronte alla loro inosservanza, soprattutto perché, testualmente, definite e pubblicate ai sensi di legge[1]. Se ci si discosta cioè dalla considerazione che siano solo semplici raccomandazioni dinamiche alla base delle pratiche da seguire nelle varie forme morbose e il frutto di consigli con diversi gradi di attendibilità stabiliti dalle società scientifiche, portati a un rango superiore di dogmi per legge, ossia principi inalienabili e indifferibili, limitativi dell’agire medico e per assurdo nemmeno tutelanti il malato.
 
Meglio sarebbe prevedere, anche per legge, solo un organismo terzo di garanziacol compito di validare le varie LG in relazione al progredire della scienza, della ricerca e dell’esperienza clinica che tenga conto dell’EBM e della VBM, relegandole al rango che invece le compete di dotte raccomandazioni. Indicatori di comportamento con la limitante della persona ammalata, vero discrimine al loro uso appropriato, come anche al loro sempre appropriato non utilizzo.
 
Ulteriore spunto di riflessione è l’onere della prova in caso di supposizione di colpa, anch’esso da rivedere, come anche la rivalsa, sebbene l’attuale formulazione appaia snellita e meglio articolata.
Come correlato disposto è la grande questione delle assicurazioni. Non è stata ancora risolta la “vexata questio” della Balduzzi: a fronte dell’obbligatorietà ad assicurarsi per il medico (RCP), peraltro estesa alle professioni e alle strutture sanitarie, non esiste analogamente per le compagnie assicuratrici l’obbligatorietà “per legge” ad assicurare; per di più viene loro riconosciuta la discrezionalità di stipula e anche di disdetta delle polizze, in questo caso mettendo il medico nella condizione di non poter esercitare di fronte al rifiuto ad assicurarlo.
 
Da qui la contraddizione e la necessità di correzione di una situazione insostenibile sul piano del diritto, che non trova ristoro nell’ipotetica tutela legata ai postulati requisiti minimi di garanzia[2].
 
Né si comprende[3] il senso dell’inserimento della rivalsa da parte della Compagnia d’assicurazione verso l’assicurato, ed è singolare la motivazione “… nella misura in cui avrebbe avuto contrattualmente diritto di rifiutare o ridurre la propria prestazione”, esercitando così una sorta di prelazione su un diritto di recesso ex post con la giustificazione che se la situazione fosse stata conosciuta ex ante non sarebbe stata stipulata la Polizza RCP: una tutela del tipo “se avessi saputo prima…”, che pare davvero una cosa fuori dal buon senso e desta più d’una perplessità.
 
Ancora, dovrà trovare giustificazione l’art. 11, in caso di cessazione d’attività relativamente all’estensione della copertura assicurativa[4], per fatti accaduti e denunciati nei cinque anni successivi, e della previsione di un’ultrattività di dieci anni oltre il periodo di copertura della polizza, per fatti accaduti durante il periodo della sua valenza. Non è chiaro se a usufruirne o meno sia unicamente chi abbia smesso di lavorare o se si riferisca anche al disdettato o a chi abbia stipulato una successiva polizza con altra assicurazione. Domande lecite a cui una legge come questa dovrebbe dare risposte chiare e certe.
 
Una considerazione finale. Poiché il relatore in Senato pare apprezzi la buona musica, riprendendo il mio scritto precedente in cui parlavo di un ensemble di Penderecki, attribuendolo a un insieme di note e passaggi musicali piuttosto forti e di forte impatto, mi augurerei questa volta che il passaggio in commissione richiamasse alla memoria le arie più sobrie e rasserenanti dei concerti Brandeburghesi di Bach.
 
E richiamandosi a quelle note ci si augura che a dichiarazioni di soddisfazione, come per la legge Lorenzin, i cui echi giungono dal Senato, seguissero altrettante certezze e considerazione per medici ed esercenti le professioni sanitarie, naturalmente in ambito delle rispettive competenze. E magari chi di dovere dimostri soprattutto di saper ascoltare attentamente la professione.
 
Pierantonio Muzzetto
Consigliere nazionale Fnomceo, presidente Omceo Parma
  
[1] Dopo l’articolo 590-bis del codice penale è inserito il seguente: «Art. 590-ter. – (Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario). – L’esercente la professione sanitaria che, nello svolgimento della propria attività, cagiona a causa di imperizia la morte o la lesione personale della persona assistita risponde dei reati di cui agli articoli 589 e 590 solo in caso di colpa grave. Agli effetti di quanto previsto dal primo comma, è esclusa la colpa grave quando, salve le rilevanti specificità del caso concreto, sono rispettate le buone pratiche clinico-assistenziali e le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge»

[2] comma5dell’art. 10: Con decreto da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro della salute, definisce i criteri e le modalità per lo svolgimento delle funzioni di vigilanza e controllo esercitate dall’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (IVASS) sulle imprese di assicurazione che intendano stipulare polizze con le aziende, le strutture e gli enti di cui al comma 1 e con gli esercenti la professione sanitaria.
e comma 6 dell’art.10 :Con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro della salute e con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentiti l’IVASS, l’Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici (ANIA), la Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri, le Federazioni nazionali degli ordini e dei collegi delle professioni sanitarie e le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative delle categorie professionali interessate, nonché le associazioni di tutela dei pazienti, sono determinati i requisiti minimi delle polizze assicurative per le strutture sanitarie e per gli esercenti le professioni sanitarie.

[3]
 comma3dell’art. 12 in cui: “l’impresa di assicurazione ha diritto di rivalsa verso l’assicurato nella misura in cui avrebbe avuto contrattualmente diritto di rifiutare o ridurre la propria prestazione”

[4]
 art.11: “La garanzia assicurativa è estesa anche agli eventi accaduti durante la vigenza temporale della polizza e denunziati dall’assicurato nei cinque anni successivi alla scadenza del contratto assicurativo. Le imprese di assicurazione possono estendere l’operatività della garanzia assicurativa anche a eventi accaduti nei cinque anni antecedenti alla conclusione del contratto assicurativo, purché denunciati alla impresa durante la vigenza temporale della polizza. In caso di cessazione definitiva dell’attività professionale per qualsiasi causa deve essere previsto un periodo di ultrattività della copertura per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro i dieci anni successivi e riferite a fatti generatori della responsabilità verificatisi nel periodo di operatività della copertura”.


31 maggio 2016
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