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Trapianti. Allarme degli esperti: "Liste d'attesa troppo lunghe e i pazienti muoiono"


Focus al 4° Congresso della Società Italiana per la Sicurezza e la Qualità dei Trapianti (SISQT). Ma l'attenzione si pone sulle liste d'attesa per il trapianto: "Sono troppo lunghe e spesso i pazienti muoiono mentre aspettano l’organo giusto". Fondi per il settore tagliati del 70%.

11 MAG - Sono 9.000 le persone in lista d’attesa per un trapianto: la maggior parte di queste dovrà aspettare anni (dai due ai tre a seconda del tipo di organo) prima che arrivi l’occasione giusta, mentre addirittura 500 l’anno muoiono durante l’attesa (vedi i dati). Eppure, quest’anno i fondi destinati alle regioni per le attività di trapianto sono stati tagliati del 70%, che in numeri assoluti vuol dire che ci sono tre milione di euro in meno. Anche per discutere di questo problema, si tiene in questi giorni a Milano il 4° congresso della Società Italiana per la Sicurezza e la Qualità dei Trapianti (SISQT).
 
Conciliare i costi– in un periodo di crisi economica – con la qualità e l’organizzazione di metodologie e strutture, si può? Secondo gli esperti sì, e non è una possibilità, ma una necessità. “La sicurezza, intesa come insieme di regole che garantiscono l’affidabilità del sistema in termini di efficacia terapeutica e organizzativa, anche in un’ottica di contenimento dei costi, è la parola chiave per affrontare le sfide presenti e future della medicina trapiantologica e assicurarsi che essa possa sopravvivere in un momento di crisi economica globale”, ha affermato Franco Filipponi, Presidente SISQT, docente di Chirurgia Generale dell'Università di Pisa e direttore della UOC di Chirurgia Epatica e dei Trapianti di Fegato della AOU Pisana.
Per farlo però bisogna prima di tutto imparare a gestire in manieraappropriata le liste d’attesa: i pazienti devono essere inseriti in maniera precoce e tempestiva, prima cioè che sia sottoposto al degrado fisico e al trauma psicologico che ne deriva nei casi tardivi. “Il trapianto oggi non può più essere considerato una ‘soluzione estrema per malati estremi’, ha continuato l’esperto. “Tanto più il paziente arriva malato all’intervento, con gravi e numerose patologie concomitanti, maggiore è il dispendio di risorse umane e strutturali necessarie per curarlo, con risultati clinici e sociali poco incoraggianti”.
Ma non solo le liste d’attesa vanno ottimizzate. Bisogna assicurare una maggiore sinergia delle rete assistenziale sanitaria tra servizi primari e ad alta specialità che prendono in carico il paziente prima e dopo il trapianto, una maggiore vigilanza da parte delle rianimazioni ai fini dell’individuazione dei potenziali donatori e la prevenzione e la gestione degli eventi avversi possono essere considerate le mosse basilari non solo per garantire la salute del cittadino, ma anche per evitare sprechi di risorse umane e economiche che rischiano di minare il sistema.
 
L’esempio perfettoper spiegare di cosa avremmo bisogno e per valutare i costi in ambito trapiantologico, secondo gli esperti, è trapianto di fegato: è al secondo posto in termini di impatto economico dopo quello di polmone, ma lo precede per la numerosità degli interventi eseguiti ogni anno (che sono in media in Italia circa 1.000 l’anno, contro i 100 circa di polmone). Recenti studi hanno dimostrato che il costo del paziente trapiantato di fegato aumenta in relazione al suo stato di gravità clinica al momento del trapianto. Se si considera il punteggio MELD, che valuta la gravità del paziente candidato al trapianto su una scala che va da  6 a 40, si può avere un’idea ancora più chiara: un paziente che arriva al trapianto di fegato con un MELD inferiore o uguale a 25 ha un costo – calcolato sui 5 anni post trapianto – di 228.434 euro; un paziente con MELD inferiore a 15 ha invece un costo di 169.541 euro. “E chiaro che non si può ridurre il vantaggio di un trapianto ad una cifra ma è anche vero che controllare le risorse è fondamentale per mettere in campo tutte le tecniche e le competenze scientifiche per poter rendere il settore trapiantologico di alta qualità e sostenere al meglio i pazienti in un momento storico di scarse donazioni”, ha precisato Giorgio Ettore Rossi,  direttore della UOC di Chirurgia Generale e dei Trapianti di Fegato della Fondazione IRCCS Cà Granda-Ospedale Maggiore Policlinico di Milano. “Basti pensare, ad esempio, al cosiddetto ‘split liver’ che riguarda circa il 10% dei trapianti di fegato e che può salvare due riceventi o al ricondizionamento dei ‘polmoni marginali’ che permette di utilizzare polmoni che diversamente verrebbero scartati”.
 
In più i trapiantisi basano su un processo molto complesso che è fatto di diversi step, dalla valutazione dell’idoneità del donatore, al prelievo e trasporto dell’organo, all’intervento chirurgico, etc.
Ecco perché una buona pratica clinica esige che si investa sempre di più nella prevenzione del rischio e nella sicurezza del paziente, delineando al meglio gli strumenti che aumentano le frontiere del controllo. “L’ultrasicurezza in un sistema che deve essere ad alta affidabilità come quello dei trapianti necessita di un  diverso approccio culturale alla sicurezza stessa”, ha commentato Riccardo Tartaglia, Vice Presidente SISQT e Direttore del Centro Gestione Rischio Clinico e Sicurezza del Paziente della Regione Toscana. “La focalizzazione sui cosiddetti fattori umani (Human Factor), mutuati dall’aeronautica, settore tradizionalmente ad alto rischio, è una metodologia che può incidere concretamente ad alzare la soglia di guardia del singolo verso l’errore, ma soprattutto educa al lavoro di squadra in ambienti a rischio dove sono indispensabili il continuo scambio di informazioni, la presa di decisioni ed il supporto reciproco. Questa metodologia applicata nella formazione del personale sanitario (dai chirurghi agli infermieri)  è un vero e proprio punto di forza contro l’errore, anche attraverso l’analisi degli eventi avversi finalizzata alla revisione e al miglioramento di protocolli e procedure”.

11 maggio 2012
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