Dolore neuropatico, controllarlo con il digiuno. Lo dice lo studio dell’Università Vanvitelli di Caserta
Nello studio, condotto su animali da laboratorio, si dimostra anche che la stimolazione farmacologica da maggiori risposte proprio in regime alimentare controllato, ossia una sorta di digiuno intermittente. Sui topi si parla di due giorni di digiuno, che nell’uomo corrisponderebbero a circa 4-5 giorni di digiuno.
27 LUG - Il digiuno non solo come fattore di rallentamento dei processi di invecchiamento cellulare ma anche come analgesico. Un regime alimentare controllato, fatto di pochissime calorie, per periodi intermittenti, potrebbe essere utile a combattere il dolore cronico di tipo neuropatico. Questo il risultato di uno studio condotto dal gruppo di ricerca coordinato da
Sabatino Maione, ordinario di Farmacologia dell’Università campana Vanvitelli, che ha identificato il possibile coinvolgimento di un nuovo recettore che sembra avere un potere analgesico importante in condizioni di neuropatia periferica, come sciatalgie, nevralgie, dolori provocati da ernie.
“Ad oggi – spiega Maione – la patologia è scarsamente trattata farmacologicamente in quanto non risponde alla maggior parte dei classici farmaci analgesici. Di fatto, i trattamenti prevedono farmaci antidepressivi, anticonvulsivanti e terapie di supporto psico-cognitivo. Di conseguenza c’è un notevole interesse della ricerca al fine di identificare nuovi meccanismi molecolari e substrati cellulari e anatomici per meglio comprendere la natura del dolore neuropatico”. Nello studio, condotto su animali da laboratorio, si dimostra anche che la stimolazione farmacologica da maggiori risposte proprio in regime alimentare controllato, ossia una sorta di digiuno intermittente.
“Sui topi si parla di due giorni di digiuno – spiega Livio Luongo, uno dei ricercatori del gruppo di studio – che nell’uomo corrisponderebbero a circa 4-5 giorni di digiuno. Il recettore HCAR2, quello indentificato per la prima volta come potenziale analgesico, riduce significativamente le alterazioni della soglia meccanica associate a dolore neuropatico nel topo. La accuratezza del dato è rafforzata dall’utilizzo di topi mancanti di tale recettore che sono stati ottenuti grazie ad una collaborazione con Stefan Offermanns del Max Planck Institute (che ha concesso l’utilizzo di questi preziosi topi transgenici)”.
La ricerca, in pubblicazione sulla rivista scientifica FASEB, rappresenta una prima evidenza del coinvolgimento del recettore HCAR2 nella fisiopatologia del dolore neuropatico, e potrebbe aprire nuove strade per il trattamento di questa patologia cronico-degenerativa che vede combinare la farmacologia con regimi alimentari condizionati come il digiuno o la stessa dieta chetogena.
“Proprio nei topi abbiamo avuto conferma che questo recettore – continua Luongo – HCAR2, è stimolato dal beta-idrossi-butirrato (BHB) un chetone che viene prodotto in maggiori quantità dal digiuno prolungato o da una dieta chetogena. In questo caso il dolore diventa minore, ma anche molto trattabile con farmaci. Per molte persone invece, che soffrono di dolore cronico neuropatico, cioè nevralgie, sciatalgie, mal di schiena o cervicali causati da ernie, ma anche dolore di arti amputati, ci sono pochissime opportunità terapeutiche e spesso i pazienti sono refrattari. Questa ricerca e i risultati raggiunti ci fanno sperare in una serie di possibili terapie che renderebbero la vita migliore a questo tipo di pazienti”.
27 luglio 2018
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