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Rsa. Perchè serve la figura dell’infermiere coordinatore

di Andrea Merlo
29 APR - Gentile Direttore,
il tema delle RSA continua ad essere al centro del dibattito politico professionale anche per la cronica carenza di personale infermieristico supportata da proposte, che io definisco di “economia domestica” da parte delle associazioni datoriali.

Proposte come quella del Veneto dell’OSS specializzato, battezzato “infermierino” che si pongono come obiettivo, molto riduttivo a mio avviso, quello di economizzare aspetti semplici, familiari, della piccola comunità, mettendo a serio rischio la salute dei nostri anziani fragili e generando, nel lungo periodo, ingenti sprechi di risorse economiche a carico del SSN.

Proposte che non nascono da modelli approfonditi di analisi e ricerca, ma dalla fretta di tappare una falla ormai degenerata.

In un recente studio (Geriatric Nurse) del 2018 su 11.132 RSA americane è emerso che il 18% dei pazienti dimessi dall’ospedale verso RSA, rientra per aggravamento entro 30 giorni dalla dimissione, se nelle strutture non è garantito un adeguato staffing infermieristico.

Un’ adeguato numero di infermieri che permetta una corretta presa in carico assistenziale e monitoraggio dei segni premonitori di aggravamento. Uno staffing in grado di attivare tempestivamente gli interventi clinico/assistenziali volti a ridurre i re-ricoveri ospedalieri.

Anche in Italia, secondo il rapporto SDO 2018 del Ministero della Salute, il 12,6% dei ricoveri è costituito dal ritorno forzato in ospedale di un paziente dimesso, meno di 30 giorni prima, per una complicazione dovuta in genere a una cattiva gestione delle prime dimissioni.

La percentuale dei re-ricoveri di pazienti geriatrici risulta del 11,9%; 18,7% nelle medicine generali e 8,8% nelle lungodegenze. La re-ospedalizzazione dalla dimissione è un evento frequente che, oltre a ridurre la qualità dell’assistenza, determina ingente spreco di risorse economiche.

Come da tempo sostengo, la creanza di personale infermieristico in RSA è da imputare sia nell’aspetto contrattuale/economico di maggior sfavore rispetto allo standard ospedaliero, ma anche ad un mancato rinnovamento dei modelli di presa in carico assistenziale, in grado di mettere al centro l’infungibilità della professione infermieristica nel processo di assistenza.

Molto spesso l’infermiere di RSA si sente isolato e non parte attiva del sistema, pur operando in strutture accreditate, viene a mancare quel costante confronto con i colleghi dell’area territoriale e ospedaliera.
Ecco perché sono sempre più convinto che sia arrivato il momento di fare un ulteriore passo avanti e di istituire la figura dell’infermiere coordinatore, dando così forma ad un più articolato coordinamento tra il servizio Tutela Anziani territoriali e le strutture residenziali.

Una collaborazione d’intenti con l’ULSS di riferimento continua, che non si limiti alla sola presenza del medico coordinatore, ma che preveda anche la nomina  dell’infermiere coordinatore.

Un professionista con funzioni di particolare attenzione rispetto alla programmazione delle attività infermieristiche prestate all’interno delle Residenze Sanitarie, in grado di collegare i diversi processi in relazione al progetto assistenziale elaborato dalla UVMD e ai processi di dimissione ospedaliera, a garanzia della continuità di cura ospedale/territorio.

Un nuovo modello che preveda infermiere e medico coordinatore, due figure professionali esterne, che potrebbero operare in sinergia per supportare l’equipe delle RSA, nella verifica dei programmi assistenziali e sanitario/riabilitativi elaborati dalla Unità Operativa Interna (UOI) e nelle valutazioni periodiche interne alla struttura, al fine di promuovere la piena integrazione tra i servizi territoriali dell’ULSS  e l’organizzazione interna della struttura, sia essa di natura socio-sanitaria, che assistenziale e riabilitativa.

Dr. Andrea Merlo
Vice Presidente OPI Padova


29 aprile 2021
© Riproduzione riservata

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