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Covid 19. Oltre 200 positivi legati a un impianto Aia del trevigiano. Bovo (Sivemp Veneto): “Veterinari pubblici a rischio”

Intervista alla segretaria regionale del Sindacato veterinari di medicina pubblica, Maria Chiara Bovo, che nei giorni scorsi ha inviato una nota ai direttori generali delle Ulss del Veneto, nella quale, oltre a chiedere le indispensabili tutele per i veterinari in servizio, ha avanzato una serie di proposte “operative”, a cominciare dall’esecuzione di test sierologici sulla totalità del personale degli impianti di lavorazione delle carni. LA LETTERA

di Endrius Salvalaggio
02 SET - Dall’inizio dell’emergenza Covid, prima all’estero e poi anche in Italia, si sono verificati diversi focolai negli impianti di macellazione e lavorazione delle carni. Recentemente anche nello stabilimento Aia di Vazzola (Treviso) sono stati individuati oltre 200 positivi tra il personale che lavora nell’impianto e i loro familiari. Ad oggi uno dei più grandi focolai Covid in una struttura di macellazione in Italia e uno dei più importanti in Europa. Una situazione che ha spinto il segretario veneto del Sindacato veterinari di medicina pubblica, Maria Chiara Bovo, a inviare una nota ai direttori generali delle Ulss del Veneto, nella quale, oltre a chiedere le indispensabili tutele per i veterinari in servizio, ha avanzato una serie di proposte “operative”.

Dottoressa Bovo, il vostro sindacato ha espresso preoccupazione per la sicurezza dei veterinari e, più in generale, del personale che lavora nei macelli. Può spiegarci meglio le ragioni dei vostri timori?
Per quel che riguarda il macello Aia di Vazzola (Treviso) si tratta di una realtà produttiva con oltre 650 dipendenti ai quali si aggiunge altro personale addetto alla logistica, che utilizza e frequenta locali in comune adibiti alla macellazione e lavorazione delle carni, spogliatoi, mensa, ristoro, uffici ecc. A questi si sommano i veterinari e tecnici che svolgono i controlli ufficiali. E’ risaputo che le particolari condizioni di temperatura (nelle sale di lavorazione le temperature non superano i 12°), l’elevata umidità (acqua, vapori, sangue, materiale organico) e la relativa difficoltà di ventilazione, possono favorire la circolazione e la diffusione del virus. Tutte queste criticità devono essere valutate caso per caso e hanno indotto le autorità sanitarie degli Stati membri europei, compreso il Ministero della salute italiano, a considerare gli stabilimenti di macellazione a significativo rischio di diffusione del virus Sars Cov 2.

I servizi veterinari pubblici, che nei loro turni di lavoro con presenza continua, svolgono l’attività di controllo ufficiale dall’arrivo degli animali al macello all’uscita delle carni lavorate, sono a stretto contatto con il personale dei vari reparti. Per questo motivo nel corso dell’emergenza abbiamo sollecitato, in più occasioni, le aziende sanitarie a dotare il personale medico veterinario e i tecnici di adeguati dispositivi di protezione individuale sulla base del livello di rischio stabilito dal DVR.

Questo invito riguarda anche i veterinari impegnati nella vigilanza sanitaria negli impianti di produzione presenti sul territorio, allevamenti compresi. Molte attività di controllo ufficiale di animali e alimenti di origine animale sono state ritenute inderogabili per garantire la salubrità della produzione agroalimentare e l’approvvigionamento nei punti di vendita e non sono cessate neanche nel periodo del cosiddetto lockdown.

Quali le vostre richieste in questa nuova lettera alle direzioni Ulss?
Prima di tutto chiediamo iniziative rigorose adeguate basate sulla valutazione dei rischi per tutelare e mettere in sicurezza i veterinari ufficiali e, più in generale, tutto il personale in servizio nei macelli veneti, compresi i loro familiari, rispettando l’obbligo di rendere sempre disponibili, in ogni azienda sanitaria, tutti gli adeguati dispositivi di protezione individuale e le procedure di sicurezza specifiche a tutela dei veterinari nello svolgimento delle loro attività. Sollecitiamo inoltre l’esecuzione dei test diagnostici per i colleghi in servizio, compresi quelli sierologici, con frequenza costante e cadenza ravvicinata.

Lei avanza anche alcune proposte?
Si. Riteniamo che, a livello più generale, l’esecuzione di test sierologici sulla totalità del personale degli impianti di lavorazione delle carni sarebbe di grande utilità dal punto di vista epidemiologico per comprendere la reale dimensione e l’estensione temporale del contagio. La Regione Veneto aveva già emanato proprie linee guida sulle strutture di macellazione, avviando un monitoraggio sierologico negli impianti avicoli del veronese. A nostro parere il monitoraggio sierologico va esteso a tutto il settore delle carni, così come avviene già nella vicina regione Emilia Romagna. Questa attività fornirebbe preziosi elementi di conoscenza e studio delle misure da attuare per ridurre il contagio. In campo preventivo riteniamo importante poi la caratterizzazione dei fattori di rischio strutturali, ambientali e gestionali presenti negli impianti. A proposito del focolaio di Vazzola nei giorni scorsi la Commissione europea ha sollecitato, ad esempio, le aziende al miglioramento degli impianti di ventilazione e condizionamento”.

La mancata chiusura dello stabilimento di macellazione e lavorazione carni di Vazzola ha fatto nascere molte polemiche, a partire dalle proteste dei sindacati dei lavoratori. Una sua considerazione?
Focolai Covid si erano verificati, nei mesi scorsi, in vari impianti negli Usa, in Germania, in Sud Italia, nel Mantovano, nel Modenese. In questi casi le strutture sono state temporaneamente chiuse, per un tempo adeguato a monitorare l’estensione del contagio, permettere il completamento del contact tracing, garantire la completa sanificazione degli impianti.

A Vazzola invece l’Ulss e l’azienda Aia Veronesi, in una riunione svoltasi in Prefettura, hanno concordato di mantenere il sito produttivo in attività, riducendo le lavorazioni del 50% (peraltro anche a fronte delle centinaia di operai a casa in isolamento), intensificando alcune misure di sicurezza anti-covid e riprendendo il monitoraggio con tamponi rapidi su tutto il personale. A quanto si legge dalla stampa le previsioni fatte dall’Ulss 2 sono di chiudere il focolaio in 2-3 settimane. Una decisione che, atteso l’alto numero di positivi, non trattandosi di un ambiente di lavoro ristretto e confinato, alla luce della valutazione dei rischi, potrebbe aver reso più complesso il controllo e la risoluzione in tempi brevi del focolaio.

Endrius Salvalaggio

02 settembre 2020
© Riproduzione riservata

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