Carenza Oss. Salemi e Bigon: “Si rischia uno tsunami sociale”
Per le due consigliere regionali l’emergenza Oss “è pari a quella relativa al personale medico”, anche tenuto conto dell’invecchiamento della popolazione e dunque dalla maggior domanda di queste figure professionali per garantire l’assistenza. “Serve investire risorse per costruire nuove leve sul lavoro”. Todesco (Fp Cgil): “Sicuramente l'aspetto economico scoraggia la scelta di questa professione, ma l'aspetto altrettanto deterrente sono le condizioni in cui questi professionisti si ritrovano a lavorare”.
di Endrius Salvalaggio
09 OTT - “La carenza di operatori sociosanitari ci pone di fronte a una vera e propria emergenza, pari a quella relativa al personale medico. Di fatto, il sistema convive con un vuoto di assistenza nei servizi alla persona che nei prossimi anni rischia di produrre uno tsunami sociale. Chi potrà assistere anziani soli, persone affette da disabilità, malati ricoverati nei centri servizi o nel sistema di cure domiciliari? Si tratta di un fenomeno diffuso a livello nazionale, ma che segna anche il Veneto”. Così si sono espresse le consigliere regionali del veneto
Orietta Salemi e
Anna Maria Bigon della V Commissione Sanità, che hanno fatto il punto sulla carenza di questa categoria.
A preoccupare Orietta Salemi e Anna Maria Bigon sono due questioni fra di loro dipendenti: se da un lato, negli ultimi anni, il numero di operatori sociosanitari cala, dall’altro aumenta il tasso di anzianità in Veneto. Al riguardo si richiama lo studio fatto nel 2018 dal Centro Studi e Formazione Nazionale di Anaao Assomed sulle fragilità demografiche, sanitarie e economico-sociali che interessavano i residenti della città di Padova. Oltre a queste due variabili indipendenti ma correlate, a complicare le cose sono le modifiche degli stili di vita, con famiglie sempre più “spezzettate”: i figli sono lontani dai propri genitori per ragioni occupazionali e non possono più prendersi in cura del familiare che è costretto a restare solo.
“Occorreva pianificare un sistema di incentivazione e non di dissuasione delle professioni sanitarie – ribadiscono Salemi e Bigon della V Commissione Sanità della Regione Veneto - condizionate anche da numeri chiusi, scarsità di investimenti per formazione e borse di studio. A questo si aggiungono gli effetti di quota 100”.
Cosa fare quindi di fronte a questa situazione? “Serve investire risorse per costruire nuove leve sul lavoro, magari permettendo a chi si accosta a queste professioni - rispondono Salemi e Bigon - di beneficiare di sgravi o contributi per abbattere i costi dei corsi di formazione che gravano sulle famiglie. Anche i Comuni potrebbero attivarsi per istituire borse di studio per queste professioni. E ancora: bisogna che la Regione si faccia promotrice di una massiccia campagna di promozione della figura dell’operatore sociosanitario e incentivi la formazione, prevedendo ad esempio nel caso di scarsa domanda un’ulteriore finestra”.
Interpellando chi di professione fa l’operatore socio sanitario, si capisce che il problema non riguarda solo la parte economica che penalizza la scarsa attrazione dei giovani alla professione di Operatore Socio Sanitario: a confermarlo è
Sonia Todesco, Segretaria Generale FP Cgil. “Sicuramente l'aspetto economico scoraggia la scelta di questa professione, ma l'aspetto altrettanto deterrente sono le condizioni di lavoro in cui questi professionisti si ritrovano a lavorare. Oggi, la spinta al contenimento dei costi del lavoro, ha ingenerato una corsa inarrestabile che ha fatto sì che gli standard assistenziali, ad esempio nelle case di riposo, già obsoleti rispetto alle richieste sempre più complesse in termini socio sanitari degli anziani ricoverati, siano sempre più insufficienti a garantire non solo qualità nella cura ma anche qualità delle condizioni di lavoro. La velocità con cui si deve erogare la prestazione, i tassi di malattia che aumentano, la fatica fisica, lo stress immesso da sistemi gestionali scarsamente attenti al valore del lavoro e del lavoratore e i bassi salari sono diventati un cocktail che sempre meno in Veneto vogliono “bere””.
Le soluzioni hanno tutte un costo che per ora nessuno vuole sostenere mentre le potenziali leve scelgono lavori che considerano più remunerativi ma soprattutto meno faticosi e stressanti. Secondo le ultime stime della Cisl FP Veneto, gli operatori sociosanitari che mancano, per coprire i cessati, quota 100 e tempi di vestizione, sono circa 1500 unità.
Endrius Salvalaggio
09 ottobre 2019
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