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Intramoenia, liste d’attesa e una legge “dimenticata”

Nonostante esista una norma ad hoc a tutela dei tempi di attesa del malato, attualmente la stessa è ancora troppo poco conosciuta e poco applicata a causa della limitata trasparenza da parte delle amministrazioni sui diritti dei cittadini, che restano le fasce più penalizzate da un sistema di norme e di procedura di difficile interpretazione e conoscibilità

di Endrius Salvalaggio
03 DIC - Le liste d’attesa sono sempre state un problema nel nostro Paese, anche se il diritto alla salute è tutelato dalla nostra Costituzione. L’ordine di rispetto delle prenotazioni sanitarie è oggi determinato da una scala prioritaria regionale che tutte le AULSS devono osservare. Capita tuttavia, anche spesso, che i tempi relativi al codice di priorità non vengano rispettati con conseguenti disagi e proteste dell’utenza, sempre più costretta ad attese per ottenere, in ambito istituzionale, l’erogazione delle prestazioni richieste. Molto si è discusso e si continua a discutere sulle cause di questo problema, che il più delle volte vengono additate nella libera professione intramuraria dei medici ospedalieri.
 
Per ovviare a tali disagi e ritardi nelle prestazioni di diagnostica strumentale e di laboratorio e in quelle specialistiche erogate in regime ambulatoriale e ricovero diurno finalizzato ad accertamenti diagnostici, e quindi quando i tempi di attesa sono superiori a quelli stabiliti dalla Regione, il malato può̀ pretendere che la stessa prestazione sia fornita in regime di intramoenia (tra le mura) e senza costi aggiuntivi.
 
Nel 1998, il Legislatore di allora ritenne opportuno dotarsi di uno strumento legislativo molto semplice che, tuttavia, oggi come allora, è poco conosciuto dagli utenti (che peraltro va a loro favore) e dagli stessi medici; si tratta del Decreto Legge 124/ 1998 (art. 3 comma 13), ancora in vigore, il quale stabilisce che “…..qualora l'attesa della prestazione richiesta si prolunghi oltre il termine fissato dal direttore generale ai sensi dei commi 10 e 11,  l'assistito può  chiedere  che  la  prestazione  venga resa nell'ambito dell’attività libero professionale intramuraria, ponendo a  carico  dell'azienda  unità  sanitaria  locale  di appartenenza e dell'azienda unità  sanitaria locale nel cui ambito è richiesta la prestazione,  in  misura eguale, la differenza tra la somma versata a titolo di partecipazione al costo della prestazione e l'effettivo costo di quest'ultima, sulla scorta delle tariffe vigenti. Nel caso l'assistito sia esente dalla predetta partecipazione l'azienda unità sanitaria locale di appartenenza e l'azienda unità sanitaria locale nel cui ambito è richiesta la prestazione corrispondono, in misura eguale, l'intero costo della prestazione (…)”.
 
Se per il Legislatore tale strumento avrebbe dovuto ovviare alle problematiche sopra denunziate, il Segretario Regionale di Anaoo Assomed, Dr. Adriano Benazzato analizza così la questione: “Non c’è alcuna correlazione tra liste d’attesa e l’intramoenia poiché si tratta di attività che viene svolta al di fuori dell’orario di lavoro istituzionale del medico. Contrariamente a quanto si dice, questa attività contribuisce alla riduzione delle stesse liste di attesa, poiché intercetta quella quota di utenza che optano per la libera professione. Il fenomeno è da ricondurre, semmai, principalmente alla crescente e cronica carenza di personale medico”.
 
Senza alcuna pretesa di scienza, una possibile soluzione potrebbe essere quella di assumere più medici, potenziando il servizio ospedaliero, compresa l’attività ambulatoriale. Sempre secondo Benazzato: “la scelta, quindi, di affidare quote sempre più importanti di attività ambulatoriale al privato, sottraendole al pubblico è sostanzialmente una scelta voluta se non imposta dalla politica. Quest’ ultima, se lo volesse veramente, potrebbe in tempi brevi, rigenerare o riproporre dal punto di vista legislativo questo articolo del DL 124/1998 in sede nazionale o regionale da utilizzare limitatamente per quelle attività prestazionali istituzionali che hanno superato in modo significativo i tempi di rispetto programmati. In questo modo l’azienda sanitaria potrebbe soddisfare i suoi utenti nei tempi previsti dalla normativa vigente sui tempi di attesa, le risorse sarebbero investite e spese all’interno della stessa azienda sanitaria, con buona pace e soddisfazione per gli utenti che potrebbero ottenere nei tempi corretti una risposta ai loro bisogni ed anche per i medici ospedalieri che vedrebbero incrementare la loro, generalmente scarsa o modesta, attività libero professionale interna. Le liste di attesa non scomparirebbero del tutto, ma sarebbero sicuramente ridotte moltissimo se non in certi casi azzerate. Anche le proteste e le tensioni si ridurrebbero tra azienda sanitaria, personale sanitario, che ci mette la faccia tutti i giorni della settimana e si relaziona direttamente con la popolazione, e l’utenza. Ma c’è un ma. La politica lo vuole? Non mi sembra visto che sempre più nel Paese, in ogni regione, si tende a favorire ed implementare in modo sostitutivo l’attività del privato accreditato a scapito di quella pubblica. Fenomeno crescente nel nostro paese che si chiama” Privatizzazione”. Ma c’è un altro ma. Ma perché?”.
 
In conclusione, nonostante esista una norma ad hoc a tutela dei tempi di attesa del malato, attualmente la stessa è ancora troppo poco conosciuta e poco applicata a causa della limitata trasparenza da parte delle amministrazioni sui diritti dei cittadini, che restano le fasce più penalizzate da un sistema di norme e di procedura di difficile interpretazione e conoscibilità.
 
Endrius Salvalaggio

03 dicembre 2018
© Riproduzione riservata

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