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La specialistica oltre l’ambulatorio e verso la ‘Community care’

Se n’è discusso a Venezia nel seminario conclusivo del corso di Alta Formazione organizzato dal Sumai-Assoprof insieme alle università italiane come Ca’ Foscari di Venezia, Università Alma Mater di Bologna, Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, Università Aldo Moro di Bari, Università Magna Grecia di Catanzaro.


06 OTT - Il futuro della specialistica ambulatoriale passa ineludibilmente verso l’integrazione con i medici di famiglia, i pediatri e le altre professioni sanitarie. Il tutto in un sistema omogeneo di regole, ma che al tempo stesso deve riuscire a garantire dinamicità e capacità d’intercettare l’evoluzione dei bisogni di salute. Ma a che punto siamo? E dove stiamo andando? Intorno alla questione si è svolto a Venezia presso l’Università Ca’ Foscari il seminario conclusivo della la serie di corsi Alta Formazione universitaria patrocinati dal SUMAI ‘La medicina specialistica nella community care’  organizzati da un consorzio di prestigiose università italiane come Ca’ Foscari di Venezia, Università Alma Mater di Bologna, Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, Università Aldo Moro di Bari, Università Magna Grecia di Catanzaro e sponsorizzato da SUMAI ed AGENAS.
 
“Oggi studiare dai vari punti di vista quali sono i problemi strutturali per erogare le cure territoriali è fondamentale”. Ha dichiarato il segretario nazionale del Sumai-Assoprof, Roberto Lala. “Ne parliamo dal 1978 ma i problemi non si sono risolti, forse è mancata programmazione. Non abbiamo capito per tempo che le cronicità s’impossessavano delle patologie e prendevano il posto delle acuzie. Ma queste criticità possono superate in modo appropriato con la medicina del territorio, ma questo va organizzato non basta enunciarlo vafatto concretamente”.
 
“Oggi non abbiamo un Ssn unico – ha ricordato Lala – e con la regionalizzazione mi sembra che si è tornati alle vecchie mutue. Cambieranno le patologie e i sistemi di cura – ha ricordato – che diventano pluri, multi professionali, con tante figure che intervengono nella presa in carico del paziente (che non è come trasportare un sacco di grano) ma significa prendere in carico i bisogni e ogni necessità e richiesta del paziente in ragione dell’art 32”.
 
E per realizzare tutto ciò per Lala occorre un “sistema dinamico che deve adattarsi ai diversi luoghi e bisogni di cura. Serve un sistema organizzato. No ad un sommergibile a compartimenti stagni”.
 
Riguardo all’attività specialistica Lala ha precisato che occorre una nuova visione del ruolo, non più solo consulenziale, e anche in ragione del fatto che già oggi gli specialisti non lavorano più solo nell’ambulatorio”.
 
Ma Lala ha ribadito anche le note dolenti che riguardano l’integrazione. A partire dai sistemi informativi. ”Purtroppo in Italia, soprattutto al centro sud, il sistema informativo non consente di avere i supporti essenziali per la presa in carico del paziente. Spesso si replicano le stesse cose e si continua a lavorare in comparti stagni”.
 
È chiaro – ha concluso – che l’assistenza territoriale è un’organizzazione complessa ma essa dev’essere semplice nella sua attuazione. Gli operatori a partire dai medici (che non possono più pensare di essere dei primi violini senza orchestra), devono avere chiari ruoli e percorsi per la presa in carico del paziente. Dobbiamo cambiare mentalità e anche nei confronti della medicina generale serve una strategia comune: Una community care”.
 
 
 
“La cronicità fa rima con trasversalità – ha dichiarato Guido Lucchini, presidente dell’Ordine dei medici di Pordenone - perché molti saranno gli operatori che interverranno. In questo momento mi viene in mente quali sono le criticità dei pazienti. “Quando parliamo di cronicità – ha ricordato - parliamo di persona che hanno 7-8 malattie e assumono 7-8 farmaci. Una complessità che può essere gestita con azioni semplici, ma portate avanti da una squadra”.
 
 
La cronicità necessita di un intervento multi professionale – ha detto Rosario Mete, presidente della Card Lazio – e il distretto deve prevedere un lavoro in team con pari dignità tra i professionisti che intervengono. Sembra facile ma nelle realtà regionali c’è molta diversità nell’applicazione dei sistemi organizzativi delle Asl. Nel Lazio dove lavoro ci sono 12 aziende che hanno previsto 12 sistemi territoriali differenti. Molti dg per esempio ritengono superati e non adeguati i Pdta, pur se la regione ha indicato questi tra gli obiettivi strategici. L’attività che si deve fare è culturale”.
 
 
“Approcciare ad un nuovo sistema di cura vuol dire accompagnare costantemente la persona – ha detto Maria Adele Schirru vice presidente Ipasvi - . Dobbiamo avere attenzione nelle acuzie trovando il percorso di continuità di cura più adatto non solo a livello terapeutico ma anche nella dignità della persona. E l’infermiere su questo può dare un grande contributo”
 
 
“In Italia non abbiamo solo ritardo su digitalizzazione ma anche sull’organizzazione – ha precisato Giacomo Milillo segretario nazionale della Fimmg - .E credo che negli anni cisaranno delle cose che cambieranno anche rispetto alla nostra volontà. Il punto è che forse siamo già in ritardo. Dobbiamo diventare evolutivi e dovremmo in ogni caso riprogettare i sistemi”.
 
E poi su fondi sanitari integrativi. “Possono essere un pericolo? Se non li governiamo non lo sapremo mai. Dipende da come si interviene”. “Sul distretto sono d’accordo – ha affermato – ma sono convinto che l’interprofessionalità avverrà oltre i conflitti che ci sono”. Milillo ha poi fatto un riferimento anche al rapporto tra medici e professioni sanitarie: “Non è cosa può fare il medico ecosa le professioni sanitarie. È la governance gerarchica o orizzontale la questione. Tutti dicono orizzontale ma ci propongono il verticale. Oggi c’è il tentativo di dividere”. Infine una battuta sulle nuove forme organizzative della medicina territoriale. “Aft e uccp? Ancora sono oggetto di concertazione. Ma oggi con la rete ha senso costruire muri? Con il web le professioni ne troveranno solo vantaggi”.

06 ottobre 2015
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