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Né norma né scienza, dubbi sulla Dgr del Veneto per la tutela dei minori 

di Andrea Angelozzi
11 GEN - Gentile Direttore,
è difficile sottrarsi a una serie di dubbi leggendo la recente DGR 1556 del 23 dicembre 2023 della Regione Veneto, dedicata alla Cura, protezione e tutela dei bambini e dei ragazzi minori di età. Si tratta di Linee Guida che si propongono di sostituire quelle del 2008, quale strumento di riferimento procedurale ed operativo per quanti impegnati nei percorsi di protezione e cura dei minori e delle loro famiglie.

Ne risulta un documento molto complesso, di oltre 50 pagine, le cui basi risalgono ad un lavoro di gruppo nominato nel 2016, e che entra nella descrizione dei vari compiti delle figure istituzionali coinvolte, gli strumenti di cui si avvalgono per formulare i progetti, i tanti aspetti che riguardano la segnalazione alla autorità giudiziaria ed i problemi dei minori non accompagnati.

Trovo sempre lodevole che ci cerchi di delineare percorsi, specie quando i soggetti interagenti sono molti e la materia delicata; peraltro ci sono due macro aspetti che suscitano subito i primi dubbi: il primo è che - stando alla composizione indicata nella delibera stessa - del gruppo di lavoro non facevano parte tutti i vari soggetti di cui sono indicati compiti e modalità di interazione e di integrazione, ma solo personale della regione e delle ASL, aprendo quesiti su una modalità di integrazione che, già nelle sue premesse, non vede il coinvolgimento dei vari soggetti alla elaborazione o alla adesione alle conclusioni. Il secondo è che rimanesse deluso chi cercasse in queste Linee guida delle indicazioni circa la cura, che, a dispetto del titolo, risulta completamente assente.

Non intendo entrare negli aspetti e nei problemi tecnici del documento. La questione che invece vorrei affrontare è circa la natura effettiva di questo documento, e peraltro di tanti simili che popolano cassetti e computer degli operatori, dove questo caso specifico costituisce solo un esempio o un pretesto per riferirsi a tanto materiale analogo che esiste nel SSN in Italia.

Mi vengono in mente le riflessioni di Foucault in una lezione al Collège de France, quando descrive la perizia psichiatrica come un dispositivo che decide la vita delle persone collocandosi in uno spazio che di fatto che non appartiene né alla legge né alla scienza. Sfugge alla legge perché scritto da clinici cercando costantemente di forzare le norme entro linguaggi e condizioni che non sono loro. E sfugge alla scienza non appoggiandosi ad alcuna base scientifica ma solo al supporto retorico dell’autorità di chi scrive. In questi confini evanescenti consente quello scambio di ruoli per cui il giudice stabilisce la cura e il medico stabilisce la pena.

Il parallelo, con tutti i limiti che hanno queste estrapolazioni, è comunque suggestivo. Da una parte queste Linee Guida sono un documento che decide della vita delle persone e che di fatto afferma cose con conseguenze in ambito normativo/organizzativo ed in ambito scientifico, che però sembra sfuggire per tanti versi ad entrambi i versanti, collocandosi in una specie di limbo dei castelli di carte.

Nel definire infatti ruoli e competenze, la Regione, cui spetterebbe tale ruolo normativo/organizzativo, non dice nulla su cosa serva per poterle attuare adeguatamente, in che condizioni siano le strutture esistenti che dovrebbero agire, con quali risorse, come e per quante persone possano allo stato attuale funzionare.

E la mancanza di qualunque dato epidemiologico e di letteratura incide anche sulla sua possibile natura scientifica. Perché la organizzazione proposta dovrebbe funzionare e portare risultati? A quante persone si rivolge per quale prevalenza di problemi? Come trovano risposta attualmente? Non si ha alcun dato al riguardo pubblicato dalla Regione se non due report di 10 anni or sono, con dati che attualmente la Regione non rilascia ritenendoli una violazione della privacy dei minori. Ed ancora, non viene citata alcuna fonte di esperienza o di letteratura scientifica, non viene citato alcuno strumento per monitorare (al di là delle valutazioni sul singolo caso che le singole equipe faranno, tenendosele poi per sé) se una impostazione di questo tipo funziona sul serio.

Certo, parlare di percorsi ed integrazione in ambiti come la salute mentale, le dipendenze ed i minori, dove sono molti gli ambiti ed i soggetti che interagiscono, è un doveroso buon senso, ma questo non dice nulla sul tipo di organizzazione che le Regioni devono mettere a disposizione e con quali risorse, e quale sia poi la organizzazione ottimale che ha ottenuto in modo comprovato i migliori risultati. Il problema è che questi aspetti sembrano dati per scontato, con un errore che è aggravato dalla grave difficoltà che nota chi i servizi utilizza, ma che è difficile quantificare per l’assenza di dati.

Ma allora, nel domandarsi cosa siano questi dispositivi che non sono né normativi né scientifici, viene il dubbio che non traggano valore dal loro contenuto, ma dal fatto di essere gli unici documenti che si possono scrivere quando non si può mettere mano alle risorse o analizzare sulla base dei dati come effettivamente i servizi funzionano. Un castello virtuale dunque dove la carta domina quando mattoni e cemento scarseggiano ed il progetto non è disegnato con chiarezza.

Andrea Angelozzi
Psichiatra

11 gennaio 2024
© Riproduzione riservata

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