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Gli infermieri, i social e l’insofferenza verso il dissenso

27 MAR - Gentile Direttore,
le scriviamo per commentare l’articolo pubblicato nel suo giornale il 4 marzo scorso: “Infermieri. Facciamo gioco di squadra, anche sul web”, di Roberto Romano e Luca Fialdini, rispettivamente consigliere del collegio di Firenze e di Massa Carrara. L’articolo non ci  è piaciuto e le spieghiamo perché.
 
La prima cosa osservata è la mancata interrogazione su come si  comunica l’etica e la deontologia da parte dei due autori. A questo è conseguita la poca chiarezza  su ciò che si intende davvero comunicare  con questo articolo, considerando che è stato scritto da due consiglieri di collegio e quindi portatori di una carica istituzionale; portatori cioè di una responsabilità propria loro, e altrui.
 
Lo scopo dichiarato non ci è chiaro: “sensibilizzare l’intera categoria degli infermieri ad una maggiore coesione professionale attraverso il corretto utilizzo dei social network”.
Cioè, utilizzando  meglio i social, gli  infermieri, automaticamente dovrebbero diventare più coesi professionalmente?
 
La semplicità con la quale si intende risolvere la complessità del problema che la professione infermieristica sembra avere in termini di “coesione”  è spiazzante e inquietante allo stesso tempo, considerato che questo pensiero proviene da due autorevoli consiglieri di collegio  provinciali.
La coesione ha a che fare con la progettualità comune ed una identità chiara, non certo con il saper utilizzare meglio   i social.
 
Se a pensare bene lo scopo non è chiaro, a  pensar male invece potrebbe esserlo e non avrebbe a che fare con la coesione. Lo scopo sembra essere quello di rimproverare agli infermieri, non omologati, di manifestare  nei social il loro malessere perché rendono  evidente il disagio delle istituzioni professionali, come anche i collegi,  nel contenere le problematiche  e nel  collaborare per la loro risoluzione. Diciamo questo anche perché l’articolo è conseguito  ad una serie di discussioni critiche su FB.
 
Gli strumenti della disintermediazione, del fenomeno cioè di riduzione dei flussi comunicativi intermediati, il contatto diretto tra infermiere e collegio,  come avviene anche su FB, creano  non poco imbarazzo alle istituzioni  perché permettono  di dire qualitativamente e quantitativamente molto di più e molto di più autentico  di quanto si potrebbe  dire all’interno di un’ audizione in un collegio dove per regolamento si può parlare per soli 20 minuti e senza confronto, dove cioè è tutto più facilmente contenibile e liquidabile.
 
Nell’articolo seguono poi molte contraddizioni sostanziali: si dice  che le reti sociali telematiche hanno creato negli ultimi anni alcune problematiche, fra queste la caratteristica perdita del rapporto sociale, il contatto diretto e subito dopo si dice che  i professionisti e gli utenti hanno a disposizione un nuovo spazio virtuale dove potersi incontrare e scambiare informazioni.
 
Sul tipo d’informazioni, che potrebbero essere scambiate, si ha la padronanza di dire quali sono, facendo  notare che purtroppo queste piattaforme sono usate spesso in maniera poco professionale. Onestamente, non ci risulta che gli Infermieri li usino in maniera non professionale, quindi contro i malati, e se fosse è facile e giusto individuarli e punirli e non capiamo  perché dirlo su questo giornale e ledere un’ immagine decorosa di una professione giovane, per pochi sprovveduti, eventuali, e non risolvere la faccenda dall’interno come il compito istituzionale prevederebbe.
 
Si parla poi di  discrasia informativa  attribuendone la responsabilità agli infermieri che dicendo di tutto e di più  sui social  fanno  circolare  notizie vere e non vere, difficili da controllare.
 
Il rimedio al populismo quale sarebbe? Utilizzare il buon senso, ci dicono. E per buonsenso intendono l’utilizzo dei social per  gruppi di lavoro o per avvicinare gli ordini ai professionisti.
 
L’anomalia non è il fenomeno della discrasia e del populismo che si determinano, ma la mancata volontà di affrontarli, lo spendersi per trovare un efficace antidoto. Intendere per buon senso un non senso.
 
Se  gli infermieri rimangono attratti da forme di “populismo” vuol dire che mancano momenti e spazi di approfondimento e confronto per affrontare la complessità di cui  gli infermieri progressisti parlano,  perché  amano la complessità e non la semplicità. E se vi sono infermieri conservatori attratti da forme di  populismo, e che amano invece la semplicità, vuol dire che la semplificazione adottata dai sistemi di oggi non va più bene  e serve trovare un altro modo  per semplificare i problemi. Fb e la rete più in generale richiederebbero alle istituzioni professionali una lettura antropologica e non moralistica del fenomeno del dissenso.
 
Questo articolo non ci piace infine e soprattutto perché dimostra una lettura sbagliata della condizione dell’interlocutore a cui è rivolto. Gli infermieri non sono adolescenti ai quali i loro padri possono rimproverare un comportamento anomalo. Questo è un pensiero semplice che non appartiene alla postmodernità infermieristica.
 
Esterniamo alla Presidente Mangiacavalli  la preoccupazione ed il bisogno che abbiamo,  come infermieri progressisti e conservatori, che esprimono il proprio malessere dove possono,  che venga ridirezionata la cultura verso la  responsabilità, per chi vuole comunicare l’etica e la deontologia.
 
Mai come in questo momento l’etica e la deontologia sono esposte al rischio di degenerare in propaganda soprattutto quando privilegiando   la coesione comunitaria non fa caso ai metodi per raggiungerla (Vigna e Zanardo, 2008), anche in buona fede .
 
Marcella Gostinelli
Infermiera Firenze
 
Luca Sinibaldi
Infermiere Pisa

27 marzo 2017
© Riproduzione riservata

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