Conferenza nazionale per la Salute mentale, una falsa partenza
di Collegio Nazionale Dipartimenti Salute Mentale
La Conferenza è stata la prima occasione dopo vent’anni di confronto tra tutte le componenti della società civile sul nostro sistema di salute mentale. Ma le prime azioni successive alla Conferenza non sono propriamente state coerenti con questa impostazione. Anzi abbiamo assistito a qualche preoccupante ribaltamento logico. Ecco perché
16 LUG - Il Collegio Nazionale dei Dipartimenti di Salute Mentale ha partecipato attivamente e con convinzione alla Conferenza Nazionale tenutasi il 25 e 26 Giugno ed ha poi aperto un confronto interno in merito alle sue risultanze, dal quale sono scaturite le seguenti considerazioni.
Va dato merito al Governo, ed in particolare al Ministero della Salute, di avere riacceso i riflettori su un ambito della sanità pubblica particolarmente negletto negli ultimi decenni, riportandolo tra le priorità da affrontare nel più vasto ambito della riorganizzazione del SSN all’interno del PNRR. In questo senso particolarmente significativa è la decisione del Governo di porre il tema della salute mentale come argomento chiave alla attenzione dei Paesi del G20 in occasione dell’incontro presieduto dal nostro Paese nel prossimo Settembre.
La Conferenza è stata la prima occasione dopo vent’anni di confronto tra tutte le componenti della società civile sul nostro sistema di salute mentale. Vi hanno partecipato articolazioni governative, regioni, aziende sanitarie, ordini professionali, società scientifiche, componenti del Terzo e del Quarto settore, movimenti per la tutela dei diritti. Per questa sua natura giustamente inclusiva sono risaltate: la dimensione valoriale, la definizione di principi e strategie generali, la affermazione di un modello di salute mentale di comunità da difendere, consolidare e rilanciare.
Le componenti tecnico-professionali e scientifiche che il nostro Collegio intende rappresentare si sono, per così dire, “messe in ascolto del” ed “al servizio della” società civile, nelle sue varie espressioni, inclusa quella politica. Ne è uscita con chiarezza la conferma di una policy di salute mentale comunitaria, ideale proseguimento delle politiche di deistituzionalizzazione e di psichiatria territoriale succedutesi nei decenni scorsi. E’ a questa linea politica che il Collegio intende contribuire fornendo tutti gli elementi di conoscenza e di esperienza tecnica e scientifica che i Dipartimenti hanno accumulato in oltre quarant’anni di attività sul campo.
Per questo rigettiamo ogni contrapposizione che alla politica di salute mentale comunitaria vorrebbe opporre una psichiatria scientifica (o meglio, scientista), generando polemiche e divisioni ostative alla riconquista della priorità che il tema salute mentale indiscutibilmente merita.
E’ questo il momento di guardare avanti, di valorizzare ciò che accomuna ed unisce i professionisti, non di creare artificiose fratture alimentate da minoranze di nostalgici delle antiche lotte al manicomio da un lato e profeti di una pura scienza psichiatrica dall’altra.
I Dipartimenti di Salute Mentale ben sanno che la tutela della salute dei nostri cittadini è meglio garantita da un sistema comunitario, diffuso, capillare, qualificato tecnicamente e scientificamente, capace di cogliere i bisogni della popolazione di riferimento e dialogare con le istituzioni locali. E’ questa la policy italiana dal 1978 e la Conferenza la ha riaffermata, trattandosi ora di procedere a realizzare gli impegni che sono stati enunciati.
La situazione da cui si parte è stata ben illustrata nei materiali introduttivi predisposti dal Tavolo Tecnico insediatosi al Ministero lo scorso gennaio. Non è una situazione confortante. Negli ultimi vent’anni, a fronte di bisogni crescenti c’è stato un generale disinvestimento e depauperamento dei servizi di salute mentale, documentato in modo inequivocabile dai dati su strutture, personale e utenza raccolti attraverso il SISM. L’intensità delle prese in carico, la specificità degli interventi, la personalizzazione dei percorsi e l’orientamento all’empowerment degli utenti risultano largamente deficitarii nella maggior parte delle regioni.
La Conferenza ha esplicitamente identificato le cause di tale insoddisfacente situazione nelle carenze di programmazione a livello nazionale e regionale, di governance del sistema, di sostegno culturale, economico e politico alla azione tecnica dei Dipartimenti. Se davvero si vuole rifondare la sanità territoriale, ed il sistema di salute mentale al suo interno, è su questa filiera che dal livello nazionale arriva fino alla prossimità ai cittadini che occorre intervenire, rafforzandola e qualificandola.
Le prime azioni successive alla Conferenza non sono propriamente state coerenti con questa impostazione. Anzi abbiamo assistito a qualche preoccupante ribaltamento logico.
Ad esempio, nei giorni scorsi abbiamo assistito ad una azione di verifica, di per sé assolutamente legittima, dei NAS su vari Centri di Salute Mentale, SPDC e Strutture Residenziali. Come è stato fatto notare da autorevoli studiosi, non vorremmo che tali azioni servissero ad occultare tutto ciò che sta a monte di possibili disservizi, in quella catena che, ribadiamo, parte dalle carenze di programmazione, governance e finanziamento che la Conferenza ha messo in luce.
Questo è il momento in cui i professionisti dei servizi, dopo un anno e mezzo di duro impegno e sostanziale tenuta durante la pandemia, vanno sostenuti, rafforzati, incoraggiati a procedere nel perseguimento di obiettivi più ambiziosi. Avere lanciato una azione inquisitoria lascia la sensazione che l’effetto (le carenze rispetto a standard di qualità e quantità) venga messo al posto della causa (l’impoverimento finanziario e sociale degli ultimi vent’anni).
Ci attendiamo quindi che gli impegni presi in sede di Conferenza da parte dei ministri convenuti vengano onorati e che si passi direttamente alla loro realizzazione.
In particolare il Ministro Speranza ha preso alcuni impegni di notevole significato: rafforzare la struttura ministeriale che si occupa di salute mentale (tema in merito al quale il Collegio ha presentato una sua proposta in Conferenza), qualificare i servizi dal punto di vista delle risorse e degli habitat (ovvero standard organizzativi, di risorse e qualitativi), innovare i percorsi formativi, favorire la ricerca sui servizi, privilegiare il “partire dal basso” mediante la partecipazione dei fruitori alle decisioni che li riguardano (altro tema su cui il Collegio ha presentato una proposta in Conferenza).
Il Ministro ha anche sottolineato l’impossibilità di attuare azioni di riforma a parità di risorse, identificando la necessità di reperirne di aggiuntive da più fonti: fondi 2021 vincolati agli obiettivi di carattere prioritario e nazionale, fondi ex art. 20 (edilizia sanitaria) per la riqualificazione delle strutture sanitarie, fondi strutturali per le 7 regioni del Sud con specifici progetti di intervento. Inoltre, ci è parso particolarmente significativo l’intervento del Ministro Orlando in merito all’accesso della popolazione in trattamento alle risorse dei servizi sociali, nell’ottica della integrazione sociale e sanitaria, vero obiettivo strategico alle soglie del PNRR.
Il Collegio vigilerà su questi obiettivi, affinché le affermazioni di principio non rimangano tali o non si limitino alle pur fondamentali azioni di carattere etico-politico.
Ci riferiamo, ad esempio, al condiviso impegno per il superamento della contenzione meccanica, esplicitato nel documento che pochi giorni fa è stato inviato alle Regioni, documento che però, a nostro avviso, presenta importanti contraddizioni con quanto affermato dal Ministro, soprattutto laddove richiede che tale obiettivo venga raggiunto “a parità di risorse” e laddove lo si collega ad un modello specifico di organizzazione dei CSM.
I Dipartimenti sanno molto bene che superare la contenzione è possibile, più facilmente fuori dai grandi contesti metropolitani, affrontando con impegno e risorse adeguate i problemi legati alla intossicazione da sostanze, alle disabilità intellettive ed alle demenze con comportamenti problematici ed alla disponibilità di alternative al ricovero, tutte cose che possono essere realizzate solo con finanziamenti e formazioni adeguate.
Tutti i professionisti desiderano sostituire la contenzione relazionale a quella meccanica o farmacologica. Per farlo ci vuole innanzitutto una adeguata conoscenza di cosa succede nella realtà ed a tutt’oggi non abbiamo, se non in alcune regioni, un monitoraggio accurato del fenomeno, azione che potrebbe essere affidata all’Istituto Superiore di Sanità.
Ci vogliono poi un numero adeguato di professionisti, luoghi di cura accoglienti e dignitosi, programmi di formazione che coinvolgano tutta la comunità e l’insieme dei servizi sociali e sanitari, dal Pronto Soccorso alle geriatrie, dalle Polizie Municipali, ai servizi per le disabilità. Insistere sulla “parità di risorse” e sulla adozione di un modello organizzativo unico fa percepire ancora una volta un senso di profonda distanza tra la realtà lavorativa quotidiana e l’attività di programmazione nazionale.
La Conferenza ha inoltre messo in luce due problemi che hanno radici lontane ma che si sono acuiti nei mesi della pandemia: la sofferenza degli adolescenti e la sofferenza delle persone detenute. Anche qui c’è il forte rischio di un ribaltamento nei fatti dei principi enunciati. Se davvero vogliamo praticare una politica di salute mentale comunitaria, dobbiamo affrontarli con i mezzi della comunità, non limitarci a clinicizzare il problema.
Sui giovani ciò significa lavorare con le famiglie, le istituzioni educative, gli Enti Locali, l’associazionismo, creare opportunità di promozione della salute, di riduzione dei fattori di rischio, di rafforzamento dei fattori protettivi. La soluzione non sta nel pur necessario rafforzamento dei servizi clinici territoriali ed ospedalieri. Ma per affrontare comunitariamente il problema servono risorse adeguate e modelli organizzativi funzionali, in merito ai quali il Collegio ha idee ben chiare esposte in Conferenza.
Sul carcere, l’intervento della Ministra Cartabia ci ha suscitato ben più di una perplessità. La Ministra ha attribuito la situazione di estrema sofferenza che detenuti e operatori vivono in carcere, ivi inclusi i fenomeni di aggressività ed autolesionismo, a carenze di intervento psichiatrico nei penitenziari. Al netto delle difficoltà che quotidianamente incontriamo nell’operare in un sistema così complesso come quello carcerario, non si possono occultare tutte le contraddizioni che fanno dei penitenziari un concentrato di sofferenza e violenza, invocando un intervento risolutore della psichiatria. In sostanza si identifica la psichiatria come soluzione per gli atti di violenza, come controllore, come se la mission della psichiatria fosse il controllo della violenza comportamentale.
Non riusciamo ad immaginare ribaltamento più palese della logica di salute mentale comunitaria. Comprendiamo che l’affermazione del Ministro riflette una posizione popolare in buona parte della Amministrazione Penitenziaria, ma confidiamo che non rappresenti la posizione del Governo Italiano. Sarebbe una clamorosa smentita delle politiche che dal 1975 hanno portato alla Riforma dell’ordinamento penitenziario (quanto attuata?), alla Riforma psichiatrica, al trasferimento della Sanità penitenziaria al SSN, alla chiusura degli OPG.
Per tutti questi motivi il Collegio Nazionale dei Dipartimenti di Salute Mentale conferma il proprio impegno a lavorare con spirito di leale collaborazione e costruttiva critica al processo innestato dalla Conferenza. Ne comprendiamo la complessità, ma sentiamo di esprimere i valori e le aspirazioni di coloro che più di altri sono chiamati a dare corpo ai principi che la Conferenza ha ribadito, i professionisti dei DSM italiani.
Collegio Nazionale dei Dipartimenti di Salute Mentale
Il presente documento è stato approvato nella Assemblea dei soci del 15 luglio 2021
16 luglio 2021
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