I Forum di QS. Quale ospedale per l’Italia? Palermo e Troise: “Ecco cosa manca nel Pnrr”
di Carlo Palermo e Costantino Troise
Se nell’analisi del Pnrr spostiamo l’attenzione da quello che c’è a quello che non c’è, salta agli occhi la risposta insufficiente alle criticità del sistema ospedaliero, evidenziate dal tremendo stress test cui la pandemia lo ha sottoposto. La rete ospedaliera è sottodimensionata in termini di posti letto, scarsamente flessibile e senza riserve nella capacità di risposta ad eventi emergenziali prolungati, vetusta, con più del 50% delle strutture costruite prima degli anni 60 del secolo scorso, in preda a problemi di sicurezza antisismica e antincendio
16 GIU - Se nell’analisi del Pnrr spostiamo l’attenzione da quello che c’è a quello che non c’è, salta agli occhi la risposta insufficiente alle criticità del sistema ospedaliero, evidenziate dal tremendo stress test cui la pandemia lo ha sottoposto.
La rete ospedaliera è sottodimensionata in termini di posti letto, scarsamente flessibile e senza riserve nella capacità di risposta ad eventi emergenziali prolungati, vetusta, con più del 50% delle strutture costruite prima degli anni 60 del secolo scorso, in preda a problemi di sicurezza antisismica e antincendio.
I finanziamenti del Pnrr dedicati a queste criticità, le uniche riconosciute all’ospedale, forse come premio per avere evitato il collasso sociale e sanitario, sono largamente insufficienti. Mentre si assegna alla sanità territoriale un terzo delle risorse disponibili non si restituisce alla sanità ospedaliera il maltolto in posti letto e personale nel decennio 2010/2019 né si apre ad una modifica della governance delle aziende sanitarie.
Certo, la sicurezza delle cure passa anche attraverso un ammodernamento degli edifici e delle tecnologie, ma le risorse non sono la bacchetta magica capaci di trasformare edifici antisismici in ospedali se privi di posti letto, personale, flessibilità organizzativa. Senza vedere che l’ospedale è diventato, da luogo per eccellenza dell’ospitalità, inospitale per pazienti e medici che, su fronti opposti della barricata, condividono le stesse difficoltà. Specie al Sud che avrà dal Pnrr 80 mld, ma nessun finanziamento dedicato alla eliminazione delle diseguaglianze nella aspettativa di vita, nell’accesso alle cure, nelle condizioni di lavoro.
Ma è all’intera Missione salute che sono toccate risorse scarse, minori di quelle concesse al superbonus edilizio. Il “principale investimento per il nostro futuro, la chiave della crescita e della coesione sociale, il Servizio sanitario nazionale, il bene più prezioso che abbiamo” (Roberto Speranza) è stato giudicato degno di risorse inferiori a quelle riservate ai condomini e alle ville.
Ciò che più colpisce è, però, l’assenza di quel capitale umano che delle organizzazioni complesse, come la sanità, rappresenta la maggiore risorsa. Senza di esso, i Presidi ospedalieri, ancorché antisismici, sono destinati a essere quinte teatrali, le nuove tecnologie elementi di arredo, il territorio puro riferimento geografico. Evidente la contraddizione tra la scelta di allocare risorse e politiche del capitale umano che non la seguono.
La crisi della sanità pubblica si sovrappone e si confonde con la crisi del medico pubblico, sull’orlo di un burnout che lascia spazio solo alla fuga, verso l’estero per i giovani e verso il privato per i meno giovani. Senza soluzioni alla seconda non c’è futuro possibile per la prima. Eppure, l’unico investimento previsto per il personale medico è nella formazione manageriale, gradita alle Regioni e funzionale ad un modello aziendalistico fallimentare, che ha sostituito i diritti con i numeri, dove si misura tutta la distanza tra la retorica degli eroi e la condizione di dipendenti pubblici, schiacciati da una macchina che esige troppo e nemmeno li ascolta, frustrati da una organizzazione del lavoro che non ha tra le sue priorità i loro bisogni e le loro necessità.
La sanità, oggi, è, in pratica, governata alla insaputa dei medici, fattori produttivi estorti del valore del proprio lavoro, numeri chiamati a produrre altri numeri. In una condizione di scarsa democrazia, con non celate forme di autoritarismo, che ha trasformato in inutile ferrovecchio competenze e saperi, due dimensioni in cui si incardina il ruolo e la stessa autorevolezza sociale dei medici. Una sofferenza acuita dalla pandemia, che ha aumentato carichi di lavoro e complessita assistenziale, stress fisico e psichico. Non a caso fuggono dagli ospedali.
Lo scatto che serve alla sanità oggi è un’innovazione profonda dell’organizzazione e della governance per valorizzare il suo capitale umano, in una rotta nuova per la quale non servono risorse economiche, ma una merce altrettanto preziosa, per quanto più accessibile, come la volontà politica. Il lavoro dei medici del SSN reclama oggi un diverso valore, anche salariale, diverse collocazioni giuridiche e diversi modelli organizzativi che riportino i medici, e non chi governa il sistema, a decidere sulle necessità del malato. La rivoluzione copernicana, di cui giustamente parla il Ministro Speranza, deve partire da qui e ora.
Per “separare il passato dal futuro” (Francesco Boccia) molti sono i temi da affrontare.
Alcuni di sistema, quali gli assetti istituzionali, cioè i correttivi al federalismo imperante, anche nella versione moderna dell’autonomia differenziata, e alle diseguaglianze prodotte nella esigibilità di un diritto unico ed indivisibile come quello alla salute. E la mancanza di luoghi in cui il lavoro e le professioni del SSN abbiano voce nei confronti delle scelte di politica sanitaria, sul modello di quel Consiglio Sanitario Nazionale previsto dalla L.833/1978 come soggetto terzo, dal punto di vista istituzionale, tra Stato e Regioni.
Altri riguardano, in maniera specifica e diretta, il lavoro dei medici e dirigenti sanitari dipendenti.
1. Una stagione di assunzioni che recuperi i tagli del passato, come ci chiede la UE, escluda il precariato non contrattualizzato e riduca l’eterogeneità nei rapporti di lavoro ospedaliero. La pandemia ha portato poco più di 1.000 medici con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, insufficienti financo a coprire il turnover prodotto dalla gobba demografica e dalla fuga dei medici ospedalieri verso lavori meno disagiati e più gratificanti. I dati del Conto Annuale dello Stato del 2019 mostrano che le uscite dal sistema ammontano a circa 8.000 medici, di cui circa 5.000 per pensionamento e circa 3000 per dimissioni anticipate. Nel frattempo, siamo stati costretti a limitare gli accessi alle cure dei malati con patologie non-Covid, con conseguenze negative in termini di morbilità e mortalità che continueranno negli anni a seguire, e già oggi 140 milioni di prestazioni rinviate presentano il conto.
2. Una riforma del sistema di reclutamento, che dia riduzione e certezza dei tempi, in modo da affrontare l’elevato turnover che ci aspetta fino al 2024. Una risposta concreta alla carenza di specialisti di cui soffre da anni il sistema, forse l’unica possibile, è la contrattualizzazione nella rete ospedaliera degli specializzandi dell’ultimo biennio del corso. Un anticipo della riforma della formazione post laurea, oggi terreno di coltura per il neocolonialismo delle Scuole di Medicina che mirano a occupare il mondo ospedaliero.
3. Una riforma dello stato giuridico che accentui fortemente il carattere “speciale” della dirigenza del SSN, delineato dall’art. 15 del D.lgs 229/1999, rafforzandone l’autonomia, sia nel profilo professionale che gestionale, valorizzando la peculiarità della “funzione” svolta a tutela di un bene costituzionale.
4. Un riconoscimento di un ruolo decisionale nella governance delle aziende, ripensando l’attuale modello, un potere assoluto verticistico e monocratico su cose e persone, attraverso forme di partecipazione a modelli organizzativi ed operativi che riprendano il tema del “governo clinico”. La complessità del mondo sanitario non può, in sostanza, essere governata con i soli strumenti della cultura aziendalista escludendo dai processi decisionali le categorie professionali, nell’illusione di costruire maxi aziende con mini medici.
5. Rimedi all’impoverimento della categoria, causa principale della fuga dal SSN, attraverso l’aumento dei livelli retributivi, la detassazione del salario accessorio, già riconosciuto ai medici della sanità privata, per favorire il riassorbimento delle liste di attesa accumulate durante la pandemia, il riconoscimento economico del rischio contagio, elemento contrattuale già goduto dagli infermieri, la valorizzazione del lavoro notturno e festivo per premiare chi affronta con generosità e abnegazione il lavoro disagiato.
6. L’assunzione del Ccnl come strumento di innovazione del sistema, parte di un progetto rifondativo dell’impianto unitario del SSN, elemento di governo partecipato, costitutivo del Pnrr, anche attraverso lo spostamento del tavolo contrattuale al Ministero della salute. Cominciando con risolvere la questione della composizione delle aree contrattuali, che non necessita di forzose modifiche antisindacali.
7. Il completamento della L. 24/2017 sulla responsabilità professionale con il passaggio a un sistema “no fault” sul modello europeo, superando l’eccezionalità dello “scudo Covid”.
Lavorare come dirigente medico, veterinario e sanitario pubblico non deve essere una punizione o una sofferenza perchè sarà questo lavoro a portare la sanità pubblica fuori dall’emergenza pandemica. Ma il disagio crescente dei professionisti e la crisi di fiducia dei cittadini nell’affidabilità del sistema sanitario rappresentano una miscela in grado di eroderne la sostenibilità, quali che siano le risorse investite.
Carlo Palermo
Segretario Nazionale Anaao Assomed
Costantino Troise
Presidente Nazionale Anaao Assomed
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16 giugno 2021
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