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24 NOVEMBRE 2024
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I Forum di QS. Quale ospedale per l’Italia? Cognetti: “Andare oltre l’ospedale minimo”

di Francesco Cognetti

Per recuperare a un tempo arretratezze culturali ma anche carenze strutturali, organizzative e funzionali dobbiamo andare oltre “l’ospedale minimo” perché se restiamo al minimo diventeremo come servizio pubblico cronicamente inadeguati nei confronti di un futuro che tutti ci dicono non sarà meno problematico di questo presente ma soprattutto nei confronti di una domanda di salute che si farà senza dubbio più acuta, esigente e pressante

15 GIU - L’ampio articolo del Prof. Ivan Cavicchi grande esperto di politiche sanitarie, che ha inaugurato il Forum di QS dedicato agli ospedali, stimola una serie di riflessioni e di considerazioni relative al futuro della nostra Sanità, già messa a dura prova dallo stress test della pandemia che ne ha minato efficienza e capacità di reazione.
 
 
Il Prof. Cavicchi, in particolare, affronta il problema del finanziamento per gli ospedali previsto alla missione 6, punto C2 del PNRR ed esprime alcune opinioni riguardanti il divario tra il contenuto del PNRR e la situazione attuale degli Ospedali Italiani cui inevitabilmente si rivolgono tutti i cittadini quando hanno un problema serio di salute.
 
Riafferma quindi il valore strategico del lavoro professionale svolto dai medici ed infermieri negli Ospedali Italiani e la estrema necessità di sviluppare una politica sanitaria che valorizzi dal punto di vista scientifico, organizzativo ed operativo in prima istanza le discipline mediche che gli ospedali esprimono. Naturalmente come clinico che opera da più di 40 anni negli Ospedali Italiani non posso che vedere con estremo favore questa iniziativa e l’enunciazione di questi principi.
 
Come ho sopra accennato, l’emergenza della pandemia Covid ha prodotto danni molto gravi agli 11 milioni di cittadini italiani affetti da patologie croniche quali i pazienti oncologici, ematologici e cardiologici che la FOCE (Confederazione degli oncologi, cardiologi e ematologi) rappresenta e tutela. Nel corso di questo anno e mezzo durante la prima, la seconda e anche la terza ondata abbiamo assistito purtroppo a:
- ritardi e cancellazioni di oltre 100.000 interventi chirurgici per tumore, fenomeno ancora in atto per la sospensione in molte Regioni degli interventi di elezione tra i quali molti su pazienti oncologici;
 
- ad un’elevata mortalità extraospedaliera per eventi cardiologici acuti quasi raddoppiata rispetto agli anni precedenti, come sottolineato dalla Società Italiana di Cardiologia;
 
- al ritardo di molti trattamenti oncologici e all’arresto e/o forte rallentamento per la prevenzione dei tumori;
 
- è stata inoltre la Corte dei Conti a valutare  di recente in circa 150.000 le prestazioni ambulatoriali perse ed in circa 500.000 i ricoveri urgenti e 800.000 i ricoveri programmati non effettuati tra il 2019 e il 2020.
 
Queste cifre rendono conto di un’incredibile disastro clinico assistenziale che già ha significato, per quel che riguarda il settore dell’oncologia, diagnosi più tardive e tumori più avanzati, con conseguenze che non potranno non  tradursi in un aumento significativo della mortalità per tumore nei prossimi mesi o anni.
 
L’ISTAT già ha calcolato che nel corso del 2019 la mortalità per malattie cardiovascolari, oncologiche ed ematologiche era stata di 413.000 cittadini italiani mentre altri 123.000 erano deceduti per altre malattie per un totale di 556.000 morti all’anno.
 
Noi già sappiano che se i dati di mortalità osservati da  marzo a dicembre 2020 vengono confrontati con la media della mortalità dello stesso periodo dei cinque anni precedenti, emerge una mortalità in eccesso del 21 % e cioè  108.178 morti in più dei quali il 75% dovuti al Covid e il 25% dovuti a patologie non Covid (per ora prevalentemente solo cardiovascolari).
 
Questa mortalità non Covid del nostro Paese è tralaltro la più alta tra tutti Paesi Europei, ma purtroppo il nostro Paese detiene anche il primato della maggiore mortalità direttamente correlata al contagio da Covid in Europa mentre è quarta al mondo dopo Messico, Perù e Sudafrica.
 
L’ Italia inoltre è seconda in Europa dopo la sola Repubblica Ceca ed insieme al Belgio per la percentuale di morti di Covid rispetto alla popolazione. Peraltro è da osservare come l’Italia sia stata soltanto il 9° Paese in Europa per contagi in rapporto alla popolazione.
 
Cito questi dati perchè è di tutta evidenza che essi esprimono quanto sia stata debole la reazione del nostro Sistema Sanitario nel suo complesso alla pandemia e soprattutto  del comparto ospedaliero nonostante l’incredibile abnegazione dimostrata dal personale tutto (medici ed infermieri) fino al sacrificio personale delle tante vittime cadute durante lo svolgimento del loro servizio.
 
Del resto tutte le epidemie hanno lo stesso svolgimento e cioè un andamento multistep che attraversa almeno tre stadi. C’è una prima fase che è quella della crisi dovuta alla diffusione del virus nella quale sono prioritarie le misure di contenimento e della tracciatura dei contatti.
 
Ma se questa fase fallisce subentra la fase della grave crisi dell’intero Sistema Sanitario e della difficoltà della gestione clinico - assistenziale soprattutto da parte degli ospedali; questa fase può durare molti mesi o addirittura anni in relazione alla tempestività e qualità dei provvedimenti correttivi che vengono messi in atto.
 
Poi subentra la terza fase della crisi sociale ed economica che può durare anch’essa molti e molti anni.
 
Noi siamo quindi attualmente nella seconda fase quella della crisi grave degli Ospedali, pur mitigata ora dalla diminuita pressione del COVID, ma alle prese con il recupero di molte decine di migliaia di prestazioni mancate ed in una situazione strutturale ed organizzativa molto carente, in assenza di specifici interventi che nel corso di questo anno e mezzo sono stati completamente dimenticati; di questa crisi infatti ancora oggi nessuno a livello dei decisori parla e nessuno affronta questi aspetti, essendo tutti concentrati, tecnici compresi, sul controllo della pandemia; è quindi prevedibile che questa problematica abbia una lunga durata.
 
Di fatto le carenze storiche del comparto ospedaliero, preso di mira dalla politica nel corso degli ultimi anni con tagli irresponsabili e privi di qualsiasi giustificazione, è testimoniato da alcuni numeri che sono da tempo a disposizione di tutti e che forse vale la pena di ricordare:
 
- il numero complessivo di posti letto ordinari per 100.000 abitanti nel nostro Paese è molto più basso rispetto alla media europea (314 vs 500) e ci colloca al 22° posto tra tutti i Paesi Europei;
 
- il numero di posti letto di terapia intensiva sarebbe passato durante la pandemia da 8.6 a 14 in realtà come sancito di nuovo dalla Corte dei Conti nonostante lo stanziamento di notevoli finanziamenti (circa 700 milioni di euro) ne risulterebbero attivati solo il 26 % di quelli previsti e cioè circa solo 922 su 3.591. Il nostro Paese quindi si trova a questo riguardo ancora abbondantemente dietro rispetto ai Paesi dell’ Europa Occidentale;
 
- il numero complessivo dei medici specialisti ospedalieri è di circa 130.000, ben 60.000 mila in meno rispetto alla Germania e 43.000 della Francia. Carenze della stessa entità per gli infermieri operanti negli Ospedali. Di nuovo la Corte di Conti ci viene in aiuto per fornirci dati aggiornati sui medici neo-assunti durante la pandemia dove circa 20.000 medici neoassunti, il 50% è rappresentato da specializzandi o medici solo abilitati alla professione e neppure specializzandi e quasi tutti con rapporti di collaborazione o incarichi a tempo determinato. Circa i nuovi infermieri (circa 30.000) solo il 27% ha instaurato un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Siamo quindi ben lontani dal reclutamento di professionisti qualificati e dall’offrire loro contratti dignitosi oltretutto in forza di una legge assurda che istituiva il numero chiuso nell’iscrizione alla Facoltà di Medicina, con conseguenze catastrofiche; infatti solo 9-10.000 sono annualmente i laureati nelle nostre Università e molti di essi preferiscono trasferirsi all’estero dopo la laurea. Il ritmo dei pensionamenti è oltretutto di molto superiore rispetto a quello dei nuovi accessi.
 
I chirurghi ospedalieri hanno recentemente lanciato un allarme sulla carenza di medici, anestesisti ed infermieri applicati nelle sale opertorie al recupero del  milione circa di interventi persi (100.000 su pazienti oncologici).
 
Complessivamente i professionisti impiegati nelle sale operatorie sono ormai solo 7.000 visti i pensionamenti di molti di loro e le poche unità nel frattempo reclutate.
 
La spesa complessiva per il Servizio Sanitario Nazionale per il 2017 al era al 15° posto in ambito europeo e per la percentuale sul PIL 8.8% vs una media europea del 9.9% ma da considerare che nel caso dell’Italia più di due punti si riferiscono alla quota parte a carico dei privati cittadini per cui la spesa pubblica risulta essere attorno al 6% circa, valore molto più basso rispetto a quello degli altri Paesi dell’Europa occidentale che vede l’Italia davanti solo ai Paesi dell’Europa dell’Est.
 
Per quel che riguarda le spese correnti finali per la Sanità nel 2017 sono  state in Italia di 153 miliardi di euro vs i 369 della Germania e i 260 della Francia. Inoltre la spesa sanitaria corrente per ciascun abitante è di circa 2.500 euro vs i 3.800 del Regno Unito e Francia e i 4.100 in Germania e i 5.100 della Svizzera.
 
Si tratta quindi di recuperare un gap molto consistente e significativo per rimettere in sesto il nostro Servizio Sanitario Nazionale danneggiato da continui tagli orizzontali che ne hanno minato per anni capacità di azione e reattività.
 
Alla luce di quanto rappresentato appare abbastanza sorprendente che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza nato solo a causa di una terribile emergenza tutta medico-sanitaria, destini per la Sanità complessivamente solo circa l’8% dell’intero ammontare del fondo.
 
Di più, la cifra stanziata per gli ospedali di 8,63 miliardi è finalizzata al rinnovamento del parco tecnologico, agli IRCSS e al rafforzamento degli strumenti per la raccolta, l’elaborazione e l’analisi dei dati ed appare inadeguata perchè omette di affrontare i tre temi principali che, come ben ha sottolineato il Prof. Cavicchi,  sono rappresentati dall’elevato valore strategico delle professionalità mediche, dalla modernizzazione degli ospedali e dal necessario rinnovamento di moltissime strutture la cui vita media ha ben superato ogni limite plausibile, rendendoli spesso inadeguati anche solo ad ospitare le nuove tecnologie.
 
Un argomento di non minore rilevanza è anche quello della revisione della Governance medica degli ospedali, che necessita, vista l’elevata complessità, di modelli di gestione molto più avanzati e simili a quelli vigenti nella maggior parte dei Paesi occidentali che vedono una forte e decisa presenza a livello decisionale e gestionale della dirigenza medica stessa.
 
Strutture degli ospedali, professioni, tecnologie e discipline mediche sono i 4 fondamentali elementi su cui investire con l’obiettivo della necessaria modernizzazione di queste strutture. E’ da aggiungere che molti di questi investimenti sono da considerarsi ascrivibili a spese correnti e non in quota capitale a differenza di quanto previsto nel PNRR.
 
Di nuovo esiste la necessità di risolvere e non acuire l’annoso problema della contrapposizione tra Ospedali e Medicina Territoriale, elemento divisivo che non ha luogo d’essere. Anche il necessario sviluppo della Medicina Territoriale non può prescindere da una sua completa rifondazione e dal trasferimento di funzioni e ruoli finora svolti dagli Ospedali quali per esempio le attività di screening e diagnosi precoce dei tumori, di follow-up e riabilitazione dei pazienti oncologici, cardiologici ed ematologici, nonché l’assistenza domiciliare e le cure palliative anche in strutture residenziali in collaborazione strutturale con i Medici di Medicina Generale e le organizzazioni no profit, già da tempo coinvolte in queste attività.
 
Deve essere anche previsto un intervento di ampio e lungo respiro che riguarda il sostegno alla non autosufficienza insieme con una profonda riforma dell’assistenza agli anziani.
 
È chiaro quindi che la Medicina Territoriale deve cambiare completamente volto rispetto al passato ma tutte queste nuove funzioni non possono essere trasferite senza un collegamento strutturale tra medici di medicina generale e medici ospedalieri specialisti; senza un modello avanzato tipo dipartimentale di organizzazione congiunta di elementi pur funzionalmente autonomi (Ospedale e Territorio).
 
Ciò naturalmente sarà reso possibile anche attraverso sistemi avanzati di tecnologia informatica e di telemedicina. Anche in questo caso la Governance di un sistema così complesso non potrà prescindere dal contributo diretto della Dirigenza Medica.
 
In conclusione,  sono decisamente convinto che  sull’intera partita della sanità, non solo sull’ospedale,  si debba  “voltare pagina”  cioè  si debba dare corpo ad un nuovo spirito riformatore che a partire  dai pesanti insegnamenti della pandemia, che non possono essere ignorati, curi l’interesse dei cittadini  e degli ammalati, interesse reale quindi non coniugato esclusivamente con retorica e ci guidi nel modificare  tante cose: normative obsolete come ad esempio  il DM 70, politiche mortificanti i professionisti, come quelle fatte fino ad ora a discapito dell’ospedale,  atteggiamenti amministrativi sbagliati, approcci culturali discutibili, sottovalutazioni inaccettabili come quelle che riguardano ad esempio il ruolo delle professioni e in particolare di quella medica.
 
Una cosa è certa per recuperare a un tempo arretratezze culturali  ma anche carenze strutturali, organizzative e funzionali  dobbiamo andare oltre “l’ospedale minimo” perché se restiamo al minimo diventeremo come servizio pubblico cronicamente inadeguati nei confronti di un futuro che tutti ci dicono non sarà meno problematico di questo presente ma soprattutto nei confronti di una domanda di salute che si farà senza dubbio più acuta, esigente e pressante anche sulla base della notevole spinta della ricerca e dell’innovazione, i cui risultati potranno e dovranno essere trasferiti con immediatezza alla pratica clinica.
 
 
Prof. Francesco Cognetti
Professore di Oncologia Medica
Università La Sapienza di Roma
 
Vedi agli altri articoli del Forum Ospedali: Fassari, Cavicchi.

15 giugno 2021
© Riproduzione riservata


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