Spending review. Salerno: “Per la sanità via obbligata: meno Lea e ticket per redditto”
di Nicola Salerno (Cerm)
La revisione della spesa sanitaria non può non partire dal "perimetro dei Lea". Occorre un universalismo selettivo a tutto raggio, basato su copayment graduati in funzione delle condizioni economiche e sanitarie e coinvolgente anche le prestazioni sociali
15 MAG - Il Governo ha reso pubblica nei giorni scorsi la prima documentazione relativa alla spending review. Viene stimata in 295 miliardi di Euro la spesa pubblica cosiddetta “rivedibile” (dentro la quale cercare le opportunità di efficientamento) nel medio periodo. Nell’immediato, la spesa “rivedibile” è significativamente inferiore e pari a circa 80 miliardi di Euro. Su questi 80, il Governo prevede di poter ottenere risparmi per circa 4,2 miliardi (il 5,25%) entro la fine del 2012.
Mentre per il medio periodo (sarebbe meglio fissare un orizzonte in termini di anni!) si presenta uno spaccato settoriale della spesa “rivedibile”, la stessa cosa non avviene per il breve, e quei 4,2 miliardi di risparmi promessi per il 2012 non è ancora chiaro da dove giungeranno. Dovranno comunque concorrere tutte le Amministrazioni Pubbliche. Nel medio periodo, la spesa sanitaria darà conto – sempre secondo le valutazioni governative – di oltre il 33% della spesa “rivedibile”, circa 98 miliardi di Euro concentrati nei capitoli del costo del lavoro, 28 miliardi, e dei consumi intermedi, 69 miliardi. Il costo del lavoro “rivedibile” è pari al 76,5% del costo del lavoro totale a carico del Ssn (36,6 miliardi nel 2010). I consumi intermedi “rivedibili” sono pari a oltre il 61% della spesa corrente complessiva registrata a consuntivo (112,3 miliardi).
Nel breve periodo non è chiaro se e in quale proporzione la sanità sarà chiamata a contribuire; nel medio periodo l’intenzione è impegnativa ma resta anche abbastanza generica, visto che si progettano interventi su oltre il 60% della spesa corrente, senza entrare nel dettaglio del come (almeno per adesso).
Proviamo a fissare dei punti guida:
(1) Il benchmarking econometrico tra sistemi sanitari regionali (la serie dei modelli SaniRegio di CeRM) mostra l’esistenza di cospicue sacche di inefficienza, collocate soprattutto nel Mezzogiorno ma anche, sia pure in misura minore, in Valle d’Aosta e in Trentino Alto Adige. Questa evidenza è confermata dal benchmarking su profili di spesa per fasce di età (la serie dei SaniMod di CeRM, costruiti a partire dai dati disponibili per la farmaceutica territoriale, l’ospedaliera convenzionata e accreditata, la diagnostica-specialistica convenzionata e accreditata);
(2) La soluzione di policy di risolvere le inefficienze per ridurre la spesa (in questo frangente in cui il bilancio pubblico va tamponato) trova almeno quattro obiezioni:
- in primo luogo, la spesa sanitaria pubblica (corrente e capitale) dell’Italia è, oggi, in linea in termini di Pil, anzi leggermente inferiore, rispetto alla media dei Paesi ad economia e welfare sviluppati. Efficientare per ridurre sotto l’urgenza della crisi, senza contemporaneamente gettare le basi per una nuova architettura sistemica (selettività e multipilastro, cfr. infra), può nascondere delle insidie per la tenuta sociale del Paese;
- le Regioni più inefficienti sul lato della spesa sono le stesse che devono colmare i divari più acuti nella qualità delle prestazioni. In queste Regioni, l’efficientamento è tanto indifferibile quanto necessario a liberare risorse per innalzare la qualità e l’affidabilità delle cure;
- una medesima considerazione può esser fatta per la dotazione strumentale (infrastrutture e tecnologie), anch’essa significativamente sperequata tra territori, per colpe spesso attribuibili agli stessi territori ma con conseguenze che andrebbero superate per guardare avanti. Più che a ridurre tout court la spesa, l’efficientamento dovrebbe puntare alla sua ricomposizione interna, liberando risorse endogene da riversare nello stesso sistema sanitario come investimenti (sarebbe oltretutto una scelta anticiclica e di rilancio dell’economia);
- oltre alla ricomposizione tra corrente e capitale, tutti i sistemi sanitari regionali, e in particolar modo quelli più arretrati del Mezzogiorno, hanno bisogno di una riqualificazione interna ai capitoli di spesa corrente, per dare copertura a funzioni sottodotate o addirittura assenti, come l’assistenza ai non autosufficienti, la prevenzione sul territorio, il coordinamento con gli Enti Locali sulle prestazioni di assistenza sociale;
(3) Se le proiezioni a medio-lungo termine indicano che il fabbisogno sanitario sarà il capitolo da cui arriveranno le pressioni più forti sulla tenuta dei conti (per l’Italia ci sono le recenti elaborazioni sino al 2030 del CeRM), efficientare per ridurre una spesa che già oggi stenta a star dietro al fabbisogno non risolve e, anzi, potrebbe addirittura compromettere le fondamenta su cui costruire un nuovo impianto sistemico pronto le sfide future;
(4) Per raccogliere i risultati di azioni di efficientamento, ci vuole tempo. Non si deve trattare di sole riduzioni di finanziamento, nella speranza che i vincoli di bilancio stretti inducano gli Enti decentrati di spesa a comportamenti virtuosi. Questa è la logica “meccanica” e di breve periodo del Patto di Stabilità Interno che, nei suoi oltre dieci anni di funzionamento, non è riuscito a far maturare nuove e proficue relazioni di governance tra Stato, Regioni e Enti Locali. Non si deve commettere l’errore di puntare ancora su questa stessa logica;
(5) Efficientare la spesa per il personale è compito arduo. Si tratta di contratti di lavoro, la maggior parte dei quali di pubblico impiego e a tempo indeterminato. Argomenti che sfociano in riforme in cantiere da lungo tempo (la riforma del lavoro, la riforma del pubblico impiego) e sulle quali il dibattito appare ben lungi dall’avviarsi a conclusioni pronte per la policy. A ben vedere, anche sul fronte dell’efficientamento degli acquisti di fattori esterni (beni e servizi) non ci sono vere e proprie novità. Il compito del Commissario Enrico Bondi riguarda funzioni sulle quali la Consip è attiva già molti anni e che, in modalità sicuramente perfezionabili, sono già perseguite da “gruppi di acquisto” riunenti più Asl e/o più Ospedali. Non si vuole gettare pessimismo su propositi che vanno senza dubbio nella giusta direzione (sono cose doverose, da farsi), ma non sarà facile raggiungere risultati ad un anno e anche nei prossimi due/tre anni, in particolar modo in un ambito complesso e già oggetto di compressioni di finanziamenti come la sanità. Auguriamoci nel medio termine.
Alla luce dei precedenti punti, la verità è che si continua a non voler fare i conti con lo snodo più importante, che potrebbe realizzare effetti virtuosi nell’immediato e gettare le basi migliori per la riorganizzazione strutturale del sistema sanitario nei prossimi anni, sia lato spesa che lato finanziamento. È un compito ai limiti della temerarietà quello di efficientare una voce di spesa grande come la sanitaria, quando il sistema aspira a coprire la quasi totalità delle prestazioni (i Lea sono di fatto onnicomprensivi), mantenendole per giunta quasi completamente gratuite per tutti, senza alcun distinguo, senza alcun ordine di priorità, senza alcun coordinamento tra Regioni. Si chiama universalismo assoluto e, in momenti in cui le risorse scarseggiano e in stagioni in cui il sistema necessiterebbe di un profondo ridisegno funzionale, la sua pretesa di assolutezza diventa presto di “cartapesta”.
La prima spending review da fare in sanità consiste in due scelte/azioni: da un lato, la revisione del perimetro dei Lea; dall’altro, l’avvio dell’universalismo selettivo a tutto raggio, basato su copayment graduati in funzione delle condizioni economiche e sanitarie, e coinvolgente anche le prestazioni sociali. La prima azione serve a concentrare le risorse pubbliche sulle prestazioni davvero essenziali, la qual cosa non implica necessariamente che il nuovo perimetro debba diventare piccolo, ma che esso risponda ad un chiaro ed esplicito ordine di priorità. La seconda azione serve a rendere chiari ed espliciti anche i flussi di redistribuzione generati dal funzionamento della sanità pubblica, a garanzia dei principi di equità orizzontale e verticale tra cittadini.
La selettività non attiva solo un trasferimento di quote di costo/spesa dal pubblico al privato liberando risorse pubbliche (effetto statico), ma innesca un processo di responsabilizzazione individuale di tutti i soggetti lungo tutta la filiera sanitaria, perché veicola loro il “segnale di prezzo”, e li stimola a utilizzare nella maniera più efficiente-efficace beni, servizi, prestazioni. Il cittadino che paga diviene più attento, anche a valutare l’operato dei medici, degli amministratori, dei decisori politici. In questa prospettiva, il copay è uno strumento in perfetta sintonia con la riforma (sospesa) federalista, perché contribuisce a creare la garanzia che dappertutto le risorse stanziate vengano utilizzate in maniera oculata, nelle Regioni che alimentano la perequazione tra territori e soprattutto nelle Regioni che ne beneficiano. Selettività equivale a microfondazione della regolazione.
Il passaggio dall’universalismo assoluto al selettivo è il primo passo per ridare chiarezza a un sistema la cui governance si è trascinata per troppo tempo all’interno di un quadro normativo vago e spesso contraddittorio. Per risolvere alla luce del sole le compatibilità tra fabbisogni e risorse stanziabili; per migliorare la programmazione e ridurre a livelli fisiologici i ripiani ex-post; per liberare risorse, a parità di stanziamenti del Fsn, e così creare spazio per riplasmare la composizione della spesa, tra corrente e capitale e tra funzioni (ospedale, territorio, prevenzione, Ltc, assistenza sociale).
Si avvii subito l’universalismo selettivo. Se nell’immediato si decide che non si può fare a meno di coinvolgere ancora la sanità nella compressione di spesa, almeno si avrà la garanzia che questo intervento sarà realizzato salvaguardando al massimo le fasce di reddito più basse e i soggetti con fabbisogni più acuti.
Nel frattempo, si potrà lavorare in profondità per la riorganizzazione dei sistemi sanitari regionali, dagli aspetti più “semplici” a quelli di architettura sistemica: dall’ottimizzazione degli acquisti, alla scelta di regole chiare e stabili per la programmazione delle risorse e il loro riparto tra Regioni, al pieno coinvolgimento della leva fiscale regionale per la copertura anno per anno delle sovraspese, alla responsabilizzazione di mandato/ufficio per politici e amministratori inadempienti rispetto ai target, al varo di veri e propri Programmi di Stabilità e Qualità regionali dedicati alla sanità con vaglio annuale e conseguenti policy obligations. Insomma, tutti quegli snodi irrisolti al centro dell’attività legislativa degli ultimi anni, a partire dalla Legge n. 42-2009 con le susseguente scia attuativa. Quel processo, rimasto in sospeso, aveva avviato, su basi diverse e più strutturate anche se non prive di lacune, una spending review che ruotava attorno alla standardizzazione della spesa. Come si pone la spending review riavviata adesso rispetto a quel processo? Che fine fanno la 42-2009 e la sua scia? Restano norme formalmente in vigore ma in realtà derogate, come già accaduto a lungo, troppo a lungo, per il Decreto Legislativo n. 56-2000, che dieci anni prima si era misurato con le stesse problematiche?
La cosa più di buon senso da fare è il passaggio alla selettività. Essa si innesterebbe, tra l’altro, nel processo di diversificazione multipilastro del finanziamento della sanità, una trasformazione strutturale necessaria non solo per l’Italia ma per tutti i Paesi a economia e welfare sviluppati. Completato il quadro normativo e regolamentare di riferimento del pilastro privato ad accumulazione reale, il copay potrebbe trovare copertura non nei redditi di lavoro prodotti anno per anno dal singolo cittadino, ma nei frutti di investimenti di lungo termine, sostenuti dall’agevolazione fiscale (non si entra nel dettaglio, e si rimanda ai suggerimenti di lettura in calce).
Da ultimo, e guardando a interventi che potrebbero generare risparmi di spesa in tempi brevi, non si dimentichi che da un riforma completa della distribuzione al dettaglio dei farmaci (fascia “A”) si potrebbero stabilmente liberare risorse per oltre 1 miliardo di Euro all’anno, il 25% dei risparmi che il Governo spera di fare emergere sino a fine 2012. Una azione di modernizzazione, attesa da troppi anni, che stimolerebbe le farmacie a impegnarsi nel nuovo modello “de servizi” e lì ricercare, attraverso la generazione di valore aggiunto utile, anzi necessario, al sistema sanitario, nuovi congrui redditi. La farmacia dei “servizi” è un tassello importante per condurre e portare a compimento il processo di deospedalizzazione dell’offerta sanitaria, con rafforzamento della copertura territoriale/domiciliare e della prevenzione. Qualità, adattamento ai bisogni delle persone, ottimizzazione dei costi. Le cose più ovvie e corrette purtroppo restano, anche in periodi così duri in cui tutti “stringono la cinghia”, montagne invalicabili.
Nicola C. Salerno
Direttore area Finanza Pubblica e Regolazione del CeRM
Alcuni suggerimenti di letturedal sito istituzionale del CeRM:
(a) Open Capitalisation Funds, Covering both Pension and Health Care Provisions
(b) L'integrazione pubblico-privato in sanità e assistenza alla persona
(c) Il copayment a difesa del sistema sanitario universale
(d) Scala del Paygo e Riforma del Welfare
(e) La spesa sanitaria pubblica in Italia: dentro la "scatola nera" delle differenze regionali
(f) Le differenze regionali nella governance della spesa sanitaria
(g) (Ri)Qualificazione della spesa e fondi per le non autosufficienze e gli asili nido
(h) Le Farmacie nel Diritto dell'Economia
(i) La Sostenibilità dei Sistemi Sanitari Regionali
(l) La sostenibilità del welfare system nel Programma di Stabilità 2012
(m) Risorse liberabili da riforma farmacie
(n) La sanità in Italia - tra federalismo, regolazione dei mercati e sostenibilità delle finanze pubbliche
15 maggio 2012
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