Una Fase 2 in cerca d’autore. Cinque spunti di riflessione per un riavvio dei servizi sanitari
di Federico Vola e Sara Barsanti
Bilanciamento tra bisogno sanitario e socio-sanitario e rischio di infezione per gli utenti e i lavoratori; rafforzamento del pesonale ormai allo stremo; integrazione tra servizi Covid e "no" Covid; revisione del sistema Rsa; far diventare un'opportunità stabile le innovazioni organizzative e tecnologiche adottate in fase di emergenza. Tutte cose sulle quali l’Italia può offrirsi come un laboratorio e come un pioniere. Ma dobbiamo muoverci bene, e in fretta
28 APR - “A maggio potremo fare il bagno al mare?”, “Per andare a correre servirà la mascherina?”, “Ma il cappuccino al bar quando me lo posso andare a prendere?”: a meno di una settimana dal fatidico 4 maggio, il clima al tempo stesso di sollievo e di incertezza portato dalla Fase 2 innesca dubbi e stimola riflessioni su quasi ogni ambito della vita economica del nostro paese.
Quasi. Al momento mancano infatti indicazioni chiare per guidare il processo di riavvio proprio dei servizi sanitari. Se da una parte è condivisa da tutti l’esigenza di riattivare progressivamente l’“altra sanità” – ovvero quella non-COVID, quella dedicata alle acuzie del vivere quotidiano e alla gestione della “ordinaria pandemia” di patologie croniche –, dall’altra non abbiamo al momento raccomandazioni chiare sul come riattivare i servizi sospesi.
Sappiamo infatti che per circa due mesi l’attenzione del nostro sistema è stata virata sull’emergenza, congelando (riprendiamo
l’espressione di Tonino Aceti) tutte le attività considerate differibili: dalla prevenzione all’attività elettiva, dalla diagnostica ambulatoriale alla gestione delle cronicità. Una sanità per il momento accantonata, sacrificata alla contingenza, ma che si sta già ripresentando con prepotenza, chiedendo il conto della nostra forzata negligenza.
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Eppure un programma chiaro per guidare la riattivazione dei servizi non sembra al momento esserci. Lo stesso piano in 5 punti proposto dal
ministro della Salute Roberto Speranza si inserisce nell’alveo della produzione prescrittiva di ampio respiro sulla Fase 2, senza però entrare nel merito dell’organizzazione dell’offerta di servizi sanitari.
Il rischio è che, in assenza di indicazioni puntuali da parte delle istituzionali nazionali e regionali, queste delicatissime scelte siano demandate alla responsabilità del
management aziendale e del cosiddetto
middle management.
Abbiamo allora una Fase 2 in cerca di autore. Il processo di ripartenza richiede indicazioni quanto più possibile fondate, solide e condivise: se non un “piano per la ripartenza dei servizi sanitari”, quantomeno indicazioni chiare rispetto alle questioni più pressanti. L’estrema complessità del sistema di offerta sanitaria richiederà linee guida puntuali, in riferimento alle singole aree di domanda e di offerta (le raccomandazioni sulla riattivazione degli screening oncologici non potranno essere le stesse rivolte all’attività di trapianto…), ma ci sono almeno cinque ambiti che meritano una riflessione urgente, cinque nervi scoperti del percorso di riadattamento dell’offerta sanitaria di fronte al contesto endemico.
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Proviamo a elencarli, nella speranza che possano fornire qualche spunto di riflessione.
1. Il bilanciamento. La prima sfida sottesa alla Fase 2, sfida che la stessa
task force guidata da
Vittorio Colao ha dovuto affrontare, richiede di scegliere
quali attività vengano riavviate, e
come. Il primo punto, con riferimento all’ambito sanitario, esige un delicato bilanciamento tra bisogno sanitario e socio-sanitario, da una parte, e rischio di infezione – per gli utenti e i lavoratori – dall’altra. Il secondo punto chiama in causa tutte le misure di gestione del rischio clinico, che pertengono innanzitutto gli spazi e i processi di presa in carico. La situazione di endemia reclama indicazioni chiare sulla riorganizzazione degli spazi – il distanziamento delle degenze, per fare un esempio, o la riorganizzazione delle sale d’attesa –, dei processi (triage sistematico anti-COVID per la gestione degli accessi in ospedale, ad esempio, o definizione di percorsi dedicati) e del personale, ospedaliero e non (DPI e dispositivi igienizzanti, gestione della turnistica, alloggi dedicati, supporto psicologico).
In questi mesi sono state emanate preziosissime raccomandazioni sia sulla gestione dei pazienti COVID,
[3] sia sul riavvio delle attività economiche non sanitarie:
[4] da queste possono essere tratte indicazioni fondamentali alla gestione di pazienti non-COVID, al tempo del COVID, indicazioni che necessariamente dovranno essere rapidamente contestualizzate nelle realtà organizzative locali (PDTA regionali/aziendali).
2. Il personale. La seconda questione da affrontare quanto prima pertiene il personale del SSN. Il sistema di offerta di servizi sanitari – a differenza degli altri comparti economici – non è stato sospeso in questi mesi, ma radicalmente sbilanciato. Ci affacciamo al 4 maggio con risorse umane in parte esauste. Questo significa che Stato e Regioni dovranno collaborare per individuare rapidamente le aree più in sofferenza, individuare quelle che con il progressivo riavvio dei servizi dovranno essere rafforzate e programmare da subito una convinta politica di irrobustimento e valorizzazione del personale.
3. L’integrazione. La terza sfida che la Fase 2 pone al SSN – anche questa specifica del settore sanitario – ha a che fare con il fatto che nei prossimi mesi dovranno essere integrate “due sanità”: i due sistemi di offerta relativi ai pazienti COVID, e a quelli non COVID. Da un punto di vista organizzativo, questo significa innanzitutto gestire da subito quale debba essere l’integrazione dei percorsi e gestire l’integrazione delle strutture e dei professionisti (USCA e MMG, COVID hospital VS stabilimenti “normali”). In secondo luogo, la consapevolezza della presenza latente del virus e il ragionevole rischio di recrudescenze autunnali invitano alla programmazione, da subito, di una disponibilità attivabile di posti letto in terapia intensiva e una scorta di DPI, macchinari e farmaci facilmente distribuibili, attraverso canali pre-testati.
4. La revisione. Le RSA sono state duramente colpite. Il modello necessita di una revisione condivisa nel breve e nel lungo periodo. Oltre a possibili requisiti minimi che potranno essere resi essenziali, quali ad esempio spazi per l’isolamento eventuale, dovranno essere discusse eventuali forme di integrazione e collaborazione con il SSN, sia in termini di procedure che di personale di base e infermieristico, cercando anche di modellizzare livelli di intensità dell’assistenza con l’offerta adeguata. Investimenti sulla qualità offerta, e sulla misurazione della stessa, sulla costruzione di banche dati integrate con il SSN, in formazione del personale e in innovazione legate alle ICT dovranno necessariamente essere tutelati e anzi portati sul tavolo politico e istituzionale.
Ma oltre a vedere al futuro, si pone per la Fase 2 anche una questione più contingente. In tutte le forme di residenzialità, i nuovi accessi sono stati drasticamente limitati in via precauzionale. Inoltre i servizi semi-residenziali, quali ad esempio i centri diurni, sono stati chiusi. È quindi necessario capire velocemente le alternative di medio periodo che possono andare in aiuto alle famiglie coinvolte e agli anziani soli, potenziando ancora soluzioni residenziali e semiresidenziali, magari attraverso la costituzione di piccoli gruppi “chiusi”, per limitare il contagio, sia attraverso il potenziamento ulteriore, laddove possibile, della domiciliarità e del supporto delle reti sociali della comunità.
5. La finestra di opportunità. C’è probabilmente un quinto punto che differenzia il processo di riavvio dei servizi sanitari rispetto a quello degli altri settori dell’economia italiana. Lo shock della fase emergenziale ha infatti permesso innovazioni tecnico-organizzative che sembravano oramai impantanate. Si pensi per esempio alla prescrizione elettronica dei farmaci e alla telemedicina diffusa.
Sulla scorta di questa esperienza, e senza cadere in facili e retorici entusiasmi, il SSN potrà paradossalmente sfruttare la fase dell’endemia per rilanciare innovazioni organizzative rimaste per anni nel cassetto. Alcune parole chiave: sanità diffusa, domiciliarizzazione dei servizi, telemedicina,
[5] proattività della presa in carico,
[6] lean management (per l’eliminazione delle code e degli assembramenti), rinnovata centralità dell’ADI, autogestione/
empowerment dei pazienti. In particolare, avremo nel medio periodo un’enorme responsabilità della medicina di base sul lato prescrittivo, nella misura in cui l’offerta di servizi specialistici sarà probabilmente limitata rispetto al periodo pre-COVID: rilanciare un patto per l’appropriatezza sarà la condizione perché la razionalizzazione soppianti progressivamente il razionamento dei servizi, con un ruolo centrale giocato dalle forme di governo clinico della medicina generale, quali le AFT, e le forme di integrazione dei servizi territoriali, come le Case della Salute. In sintesi, la fase endemica potrà anche essere l’occasione per una maggiore integrazione della medicina generale nel sistema.
[7]
Tutto questo sarà possibile nel breve periodo solo se Stato e Regioni sapranno valorizzare le migliori pratiche maturate sul territorio, dare indicazioni chiare agli attori del sistema e impegnarsi in investimenti mirati.
In conclusione, anche per quanto concerne la riorganizzazione dell’offerta sanitaria in tempi di endemia, l’Italia può offrirsi come un laboratorio e come un pioniere, di fronte agli altri sistemi sanitari dei paesi sviluppati. Ma dobbiamo muoverci bene, e in fretta.
Durante questi mesi abbiamo visto la nostra palestra, il nostro cinema o il nostro ristorante trasformarsi in
Fitness app,
Netflix o
JustEat. Ugualmente, forse vale la pena cogliere l’occasione per provare a progettare una
JustCare, un’assistenza diffusa per una sanità più a portata di mano.
Federico Vola e Sara Barsanti
Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa
Le opinioni espresse in questo articolo sono degli autori e non riflettono necessariamente le posizioni dell’istituzione di appartenenza.
[6] In prima battuta andare cioè a riprendere il filo del percorso assistenziale dei pazienti cronici e multicronici, senza aspettare che si riaffaccino alla porta dello studio, in seconda battuta andare proattivamente a rilevare i nuovi bisogni generati dal periodo di isolamento.
[7] Va probabilmente in questo senso l’apertura a una sede congiunta di contrattazione: “Per rendere omogene tale equipes lo strumento migliore sarebbe avere a disposizione una intesa programmatica unica ed unitaria, concordata, condivisa e concertata sottoscritta con le OO.SS. e le Regioni, da sviluppare nella sede del Ministero della Salute, con il supporto di ARAN e SISAC, nella quale concordare ruoli e competenze professionali sulla base della convergenza delle normative previste dai vigenti CCNL del personale dipendente del SSN e dagli ACN del personale a convenzione (medici di famiglia, pediatri di libera scelta e specialisti ambulatoriali): una vera e propria Intesa tra Ministero della salute, Regioni e Sindacati per la gestione uniforme delle USCA sul territorio nazionale, strumento normativo ed operativo che avrebbe una valenza maggiore di una circolare ministeriale come è avvenuto per le terapie intensive; se questo, malauguratamente, non fosse possibile a livello nazionale comunque dovrebbe essere previsto un analogo accordo a livello regionale.” (http://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=84166)
28 aprile 2020
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