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Se la medicina è una macchina per generare profitti, inessenziale è il ruolo del medico

di Roberto Polillo

In meno di venti anni il capitale professionale non è più il driver del sistema sanitario. Il medico ha cessato di essere  una risorsa insostituibile per divenire uno delle componenti di un campo istituzionale il cui core non è la salute intesa tradizionalmente come “la vita nel silenzio degli organi”, per usare una espressione di Leriche,  ma la sua capacità di generare discorsività sugli oggetti che ne fanno da riferimento e su tutto ciò che si configura come bios

14 GIU - Nel generale processo di svalutazione del lavoro umano anche il lavoro sanitario ha subito un processo di deprezzamento. Nulla a che vedere, ovviamente, con il lavoro schiavizzato delle piane di Gioia Tauro o con le condizioni di sfruttamento dei giovani riders delle aree metropolitane. E’ tuttavia innegabile che le condizioni di lavoro nei presidi ospedalieri e nelle strutture territoriali sono significativamente peggiorate nel corso degli anni, con punti  di vera sofferenza e burnout  nei servizi di emergenza/urgenza.
 
E’ l’intera civiltà del lavoro ad avere subito una regressione senza precedenti. Il lavoro ha perso valore e di questo dobbiamo trovare le cause profonde che, come vedremo, non sono legate soltanto alla crisi dell’ultimo decennio. Serve dunque un approfondimento di analisi (purtroppo assente nel dibattito) che vada oltre il fatto contingente per concentrarsi sulle cause remote di un fenomeno di tale portata. Una riflessione che va oltre l’interesse di studio e che diventa invece indispensabile se il comune obiettivo è impedire che l’intero sistema di welfare si sgretoli con le politiche del giorno per giorno
 
La svalorizzazione del lavoro medico come fatto compiuto
In meno di venti anni il capitale professionale non è più il driver del sistema sanitario. Il medico ha cessato di essere  una risorsa insostituibile per divenire uno delle componenti di un campo istituzionale il cui core non è la salute intesa tradizionalmente come “la vita nel silenzio degli organi” per usare una espressione di Leriche,  ma la sua capacità di generare discorsività sugli oggetti che ne fanno da riferimento e su tutto ciò che si configura come bios.
 
Sono le profonde trasformazioni introdotte con l’economia de-materializzata ad avere determinato un radicale cambio di passo in cui la componente professionale tradizionale non è più il gate keeper del sistema e l’ordinatore di spesa legittimato, ma un ostacolo alla libera circolazione di pratiche discorsive, sempre più pervasive sulla salute e sulle sue possibili declinazioni, applicazioni e strategie manipolative.
 
Salute fisica nei suoi diversi apparati e nel corpo fisico come rappresentazione del sé verso l’esterno; salute mentale nei suoi possibili elementi di differenziazione  (umore, irritabilità, vigore sessuale, deficit di attenzione e concentrazione dei bambini, scarso rendimento scolastico, socialità e disinibizione); strategie manipolative personalizzate e diversificate  sotto forma di  metodi per mantenersi in salute, fitness, alimentazione e dietetica alternativa, esercizi  di meditazione e soprattutto farmacologizzazione della vita quotidiana con uso  di  integratori e  farmaci “naturali” o di sintesi  con cui curare tutto dalla svogliatezza e disattenzione dei bambini ai deficit erettili dell’adulto, dalla caduta dei capelli alla pancia gonfia e via dicendo
 
Una trasfigurazione, talvolta grottesca, dell’antico detto mens sana in corpore sano e delle regole  del regime degli antichi romani fatto di dietetica bilanciata (il caldo, il freddo, l’umido e il secco), esercizio fisico, tecniche evacuative, termalismo, e pratiche  sessuali  improntati al rispetto della prudenza e soprattutto della massima  aurea del tempio di Delfi conosci te stesso.
 
I media e la medicina discorsiva
La riduzione della medicina a dispositivo  discorsivo è testimoniata dall’attenzione che i media riservano ai suoi  oggetti mostrando verso di essi un interesse  quasi onnivoro. Tutto è oggetto di analisi e approfondimento con un isomorfismo piatto che mette sullo stesso piano stranezze anatomiche, curiosità cliniche specie se riferite alle celebrità, procedure  diagnostiche d’avanguardia, pratiche esoteriche,  guarigioni miracolose, sofisticate procedure chirurgiche e  fallimenti terapeutici.
 
Dispositivi  discorsivi  anonimi e onnipresenti  che rendono familiari i campi  della medicina ma che  modificano anche il mood del paziente e che spesso  fanno si che il medico sia costantemente  in ritardo rispetto alle aspettative/necessità/decisioni del paziente.  Il suo  interpello ha sempre più  il passo dell’ ex-post e non più dell’ex ante non cercandosi più in lui il parere tecnico sul che fare in un campo scarsamente accessibile e riservato fino a ieri a una  cultura sapienziale,  ma una conferma a un’idea che è maturata, spesso  altrove, sul web, alla televisione o attraverso la trasmissione orale dei tanti apprendisti stregoni che amano cimentarsi con la medicina volgarizzata.
 
Nella medicina discorsiva, sempre più centrale è il momento dell’enunciato e delle tecniche che ne consentono la diffusione.  Un enunciato che, attraverso una accurata strategia comunicativa, acquista  valore per sé,  indipendentemente e spesso aldilà dei suoi contenuti di verità. Le diete gluten-free, gli alimenti a basso contenuto di  nichel, le intolleranze alimentari, le medicine alternative, il rischio connesso alle vaccinazioni e all’uso di antibiotici, sono tutti topics su cui ognuno fa affermazioni asseverative senza averne mai approfondito i contenuti.
 
Argomenti complessi su cui non c’è ancora chiarezza anche in campo scientifico e che pure vengono semplificati e offerti al pubblico dibattito senza alcun riguardo alla solidità scientifica di quanto affermato,  all’autorevolezza delle fonti citate  e alla robustezza delle evidenze riportate.
 
Non si vuole con questo celebrare la medicina paternalistica e il regime di segregazione in cui veniva confinato il paziente rispetto al sapere medico! Si vuole solo segnalare come uno dei tanti  paradossi questa semplificazione della medicina, che avviene proprio ora che la biologia  ha spinto le sue conoscenze fin dentro il campo dell’ultrasottile dimostrando un livello di complessità di difficilissima gestione anche per gli esperti del settore.
 
I numeri del  declino
Il declino della professione medica e sanitaria non è solo nella sua volgarizzazione ma è anche nel riflesso dei numeri che la riguardano. Il calo degli organici del servizio sanitario nazionale, andato di  pari passo con la perdita di status,  si  è progressivamente accentuato col tempo. Gli ultimi  dieci anni di crisi, poi,  hanno fatto il resto,  desertificando il campo sanitario e ponendo le basi per una estrema difficoltà nel ripopolarlo.
 
I dati del Conto annuale della ragioneria dello Stato evidenziano che nel periodo 2009-2016 la riduzione  dell’organico del SSN è stata pari a 45.000 unità. Nel 2016 (ultima rilevazione) le perdite sono state pari a 4.131  di cui oltre 1.700 infermieri. Gli unici ad aumentare (ironia della sorte) sono stati  i manager, mentre le retribuzioni hanno registrato una ulteriore contrazione con i  medici che perdono 183 euro e gli infermieri 50 euro l’anno. Il mancato ricambio generazionale è testimoniato dal sensibile aumento dell’età media del personale che passa da 43,5 anni a 50,6 anni.
 
Ancora peggiori le prospettive del futuro prossimo. Entro 5  anni, causa i pensionamenti per raggiunti limiti  di età,  mancheranno all’appello 45mila medici, tra specialisti e medici di famiglia e 14 milioni di italiani rischieranno di restare senza medico. Una carenza che si accentuerà ulteriormente nel periodo successivo per toccare  il top  nel  2028 quando  a mancare  saranno  80.676 unità, per il pensionamento di  33.392 medici di base e 47.284 medici ospedalieri.
 
Una catastrofe con la certezza di non riuscire a garantire più un livello minimo di assistenza a cui  il decisore politico sembra totalmente disinteressato anche quando si cimenta con la retorica del tribuno ma senza trarne le dovute conseguenze  nella difesa del SSN.
 
Il de-finanziamento del sistema
Non è solo il capitale culturale e professionale ad essere stato decimato. E’ anche il capitale finanziario investito in sanità ad avere raggiunto un livello di grave insufficienza. Non c’è rapporto di Istituto di ricerca accreditato che non attesti la grave crisi di de-finanziamento del SSN.
 
Per quanto riguarda il finanziamento pubblico la curva della spesa pubblica si è appiattita dopo il 2008: a un incremento percentuale del 47,7% nel periodo 2000-2008 ha fatto  seguito un miserrimo  7,9% nel periodo 2009-2016. Di fatto dal  2010 ad  oggi il finanziamento del SSN è cresciuto meno del tasso di inflazione (1% versus 1,19%), ma non solo, perché lo Stato oltre ad essere avaro,  spesso usa anche  l’astuzia del baro che con una mano leva  quanto ha dato con l’altra.
 
Fatto senza precedenti accaduto con la Legge di Stabilità 2016 che a fronte di un finanziamento del SSN  per il 2016 di €  111 miliardi (comprensivi di € 800 milioni da destinare ai nuovi LEA) ha stabilito  che «Le Regioni e le Province autonome [...] assicurano un contributo alla finanza pubblica pari a 3.980 milioni di  euro per l’anno 2017 e a 5.480 milioni di euro per ciascuno degli anni 2018 e 2019, in ambiti  di spesa e per importi proposti, nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza».
 
Ambiti di spesa che le regioni hanno identificato, guarda caso,  quasi esclusivamente a carico del capitolo sanità. A questo ha fatto seguito il DM 5 giugno 2017  con cui il finanziamento pubblico del SSN è stato ridotto di € 423 milioni per l’anno 2017 e di € 604 milioni per  l’anno 2018 e successivi e, dulcis in fundo,  il DEF 2018 che ha confermato la progressiva riduzione del rapporto spesa sanitaria/PIL, estendendo al 2021 il 6,3% già stimato per il 2020 nella precedente nota di  aggiornamento.
 
Al de-finanziamento pubblico si è inevitabilmente aggiunta l’esplosione della spesa privata. Un macroaggregato di 40 miliardi che ricomprende al suo interno un po’ di tutto: tickets, intramoenia, visite private, fondi integrativi etc. e di cui nessuno può giudicare il rapporto costi/benefici e che viene utilizzata per dimostrare tutto e il contrario di tutto
 
Comunicazione umana e profitti
Il medico ha perso dunque la sua centralità. Questo tuttavia  non è conseguenza dell’emergere di altri saperi, o dell’affermarsi di altre discipline che ne contendono il campo. Il medico e tutti gli altri operatori del settore sono stati stritolati dal diverso modo in cui oggi si estrae valore  e che rende inessenziale il contributo del lavoro umano.
 
La creazione del profitto non è più legata in modo prevalente  alla produzione materiale di beni (la vecchia fabbrica fordista che produceva lavatrici e automobili destinate a durare) ormai soffocata da una perpetua crisi di  iperproduzione  ma ad altre forme di accumulazione: da un lato alla speculazione finanziaria in cui il danaro genera danaro attraverso il complesso gioco dei movimenti dei capitali apolidi; dall’altro alla fornitura di servizi che hanno per oggetto la vita nella sua espressione plurale: la salute, il benessere, i desideri, le aspettative  e le ansie dell’uomo.
 
Questi nuovi bisogni sono ora divenuti mezzo per estrarre valore  e per questo essi vengono investiti da pratiche discorsive che ne accentuino il significato di urgenza e necessità. Si creano e si amplificano bisogni  perché qualcuno possa alfine soddisfarli e trasformarli in profitti.
Un modello produttivo in cui il ruolo del lavoro è diventato progressivamente più inessenziale per il semplice motivo che è lo stesso fruitore del servizio ad essere l’agente della produzione.
 
Facebook,  Google, Istagram sono le nuove corporations che estraggono valore dalla comunicazione umana e dalle pratiche discorsive che ne riempiono i contenuti. Queste grandi aziende, con fatturati superiori a quelle delle multinazionali dell’auto, riescono ad  accumulare profitti non trasformando materia prima in manufatti, ma mettendo  in contatto gli uomini tra loro, consentendo loro di raccontare e raccontarsi.
 
Utenti di comunità virtuali in cui si sono arruolati volontariamente per soddisfare il loro bisogno di esprimere la propria soggettività e libertà e che invece attraverso  il loro linguaggio si ritrovano a produrre valore.
Grande illusione della partecipazione! Si è convinti di essere attori che nuotano in una rete senza confini e ci si ritrova a essere lavoratori non pagati in un mondo artificiale creato a tavolino  per estrarne profitto.
 
La medicina e l’economia dal bios
Nell’economia del bios gli oggetti della salute rappresentano il campo privilegiato per la valorizzazione del capitale. Un capitale che per  crescere  ha bisogno di creare nuovi mercati e che quindi richiede che il discorso sulla medicina sia libero, pervasivo  e privo di vincoli.
 
Questa libertà che oggi richiede il mercato è tuttavia profondamente diversa da quella di cui si discuteva agli albori del processo di aziendalizzazione in sanità. Allora, la libertà era intesa come la scelta dell’utente/cliente nei confronti dell’erogatore di prestazioni di cui si chiedeva la parità indipendentemente dalla sua natura pubblica e privata.
 
Oggi la libertà ha una declinazione diversa e invade campi che prima erano preclusi.
1. E’ la libertà del complesso farmaco-sanitario-industriale privato di interagire direttamente con il cittadino/cliente offrendo soluzioni all’insieme delle problematiche/ aspettative/ desideri che solo marginalmente hanno a che fare con la salute. Un processo di farmacologizzazione in cui si affida alla molecola il potere magico  di modificare le nostre  caratteristiche  psicofisiche e quelle dei nostri figli saltando qualsiasi idea di cura di sé stesso o di lavoro su sé stessi.
 
2. E’ la libertà di rompere il tradizionale rapporto di dipendenza dal medico disintermediando quanto più possibile l’accesso a servizi, prestazioni e cure per permettere che il mercato sanitario si espanda come qualsiasi altro settore produttivo senza alcuna considerazione su appropriatezza ed efficacia clinica.
 
3. E’ la libertà del cittadino di scegliersi il proprio fondo assicurativo anche se questo va ad erodere, attraverso la decontribuzione, le già misere risorse dedicate alla sanità.
 
4. E’ la libertà del cittadino di potersi non vaccinare togliendo allo Stato l’esercizio di prelazione sulle scelte del singolo anche quando si tratta di interesse pubblico perché la sanità deve diventare un sistema aperto autoregolato  solo ed esclusivamente sul principio dell’incontro di  domanda e offerta.   
 
 
Conclusioni
L’indebolimento del nostro sistema di welfare non è soltanto il segno del ritiro dello Stato sotto i colpi della crisi che per anni ha attraversato l’Europa.
Se questo fosse, basterebbe attendere la ripresa del ciclo economico, da tutti ormai quasi data per certa anche se inferiore alle attese, per ricominciare. Nell’eterno rincorrersi di carestia e prosperità, il tirare la cinghia non sarebbe allora una scelta deliberata, ma una condizione transitoria  imposta dalla penuria, di cibo o risorse poco importa.
 
La crisi del nostro welfare state è invece qualcosa di diverso, una sorta di immagine chirale del mutato rapporto di forza tra capitale e lavoro e sul meccanismo di valorizzazione del capitale. Un rapporto ora profondamente diverso da quello che ha caratterizzato il lungo periodo fordista in cui l’accumulazione era il frutto del plusvalore, della differenza cioè  tra i costi della merce-lavoro e dei materiali necessari alla produzione e il prezzo di vendita del prodotto finito.
 
Oggi ha prevalere è l’economia del bios al cui sviluppo sono di ostacolo i professionisti e lo Stato nelle sue funzioni di regolatore, perché nulla deve opporsi all’incontro tra domanda e offerta.
 
Una domanda veicolata essenzialmente dal linguaggio a cui deve rispondere un’offerta complementare in un gioco libero senza intermediazione in cui a fronteggiarsi siano solo il produttore e il consumatore.
 
Roberto Polillo

14 giugno 2018
© Riproduzione riservata


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