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Quel “payback” sui farmaci in odore di eresia

di Fabrizio Gianfrate

La programmazione della spesa sanitaria e il suo controllo sono certamente indispensabili. Tuttavia dovrebbero essere non solo ben più accurate (la farmaceutica ospedaliera sfonda del 40-50% ogni anno), ma soprattutto includere tutte le voci concorrenti nell’intero percorso diagnostico-terapeutico del paziente

06 SET - Ponete che dovendovi comprare un bene di necessità, che so l’auto o la pastasciutta, abbiate magicamente il potere di deciderne voi i prezzi, le regole d’acquisto e le quantità. Tempo dopo, digerita la pasta e usata la macchina, pretendete indietro i soldi dalla Barilla o dalla Fiat.
 
In fondo è un po’ così il “payback” sulla farmaceutica, il cui decreto che ne dirime la questione pregressa è in vigore dal 21 agosto. Un miliardo e mezzo, centesimo più centesimo meno, del triennio 2013-2015, quasi interamente per la farmaceutica ospedaliera, che le industrie dovranno restituire all’erario.
 
La misura nasceva da necessarie quanto legittime esigenze di controllo della spesa pubblica, introducendo al tempo una sorta di auto controllo a “feedback” della stessa. Tuttavia dal punto di vista della dottrina economica odora alquanto di eresia. Per varie ragioni.
 
Primo. Addossa alla sola offerta l’intera responsabilità dei consumi, determinati invece dal combinato disposto tra la stessa e la domanda. Con l’aggravante ulteriore, appunto, che la tradizionale entità di mediazione tra le due grandezze, il prezzo, è definito dall’acquirente, per di più  monopsonico (lo Stato), che ne controlla anche la rimborsabilità, le quantità in ospedale e sul territorio, le regole delle relative transazioni (gare, licitazioni, trattative dirette, ecc.).
 
Lo Stato è insomma l”’owner” dell’intero processo, appunto controllandone e gestendone tutte le componenti di domanda e offerta: regole, prezzi, volumi, acquisti. Le regole dal legislatore centrale e/o locale, i prezzi e la rimborsabilità dall’AIFA, i volumi, ovvero la domanda, da suoi dipendenti, i medici prescrittori ospedalieri e non, gli acquisti ancora da proprio personale dirigenziale, sia medico sia amministrativo, in Regioni, ASL e Ospedali.
 
È pertanto pacifico come ogni dinamica di spesa, nel nostro caso gli sforamenti, sia quindi da ascrivere solo alla mano pubblica. Per eccesso di prescrizioni o per gestione impropria degli acquisti o, ex ante, per cattiva pianificazione. Oppure per carente controllo di tutti i suddetti elementi.
Nessun nesso di causalità, quindi, tra eccesso di spesa e filiera produttiva-distributiva alla quale invece è imputato lo sforamento e perciò richiesto il relativo “payback”.
 
Secondo. La misura intende risolvere in modo prospettico un problema retrospettivo. Agisce domani (“payback”) su un problema di ieri (sforamento). Al di là delle complicazioni contabili di cassa e competenza, incluse quelle di carattere fiscale, il ripiano interviene comunque “ex post”, l’anno successivo, ovvero in un contesto di mercato mutato, quindi diverso, da quello causa della misura, alterandone potenzialmente il quadro di riferimento e le dinamiche interne, ad esempio di concorrenza tra produttori.
 
Terzo. Le diverse industrie farmaceutiche col “payback” forniscono di fatto gratis una certa quantità di propri farmaci, addossandosene i relativi costi. Ma dato il loro diverso portafoglio prodotti l’onere è ineguale tra esse, producendo un ulteriore effetto anticoncorrenziale.
 
Quarto. Il “payback” da circa un miliardo e mezzo in tre anni si riferisce quasi interamente alla spesa ospedaliera, oltre il 10% del suo stesso ammontare complessivo. Si può perciò affermare, come “proxy” indicativa, o funzione limite, che almeno il 10% dei pazienti in ospedale sia stato curato con farmaci forniti al SSN gratis dalle relative industrie. Anche in questo caso in misura difforme l’una dall’altra, secondo i rispettivi portafogli prodotto, e pertanto con ineguale concorrenzialità.
 
Quinto. Il meccanismo a feedback avrebbe teoricamente un senso economico più compiuto se in caso di sforamento del tetto, alla restituzione degli incassi in eccesso da parte del venditore corrispondesse dall’acquirente la restituzione dei beni comprati oltre quel limite, in una sorta di “stop” al mercato una volta raggiunto il limite prestabilito. Il che annullerebbe però quel beneficio del punto quattro per il SSN di trattare gratis e a carico delle industrie una quota di pazienti.
 
Inimmaginabile un simile “payback” in altri settori, o in altre culture, il Willy Loman commesso viaggiatore di Arthur Miller simbolo di una certa America, o capitani d’industria alla Marchionne che maltrattano i propri manager perché hanno venduto troppe auto (o pc o telefonini etc.) che quindi saranno di fatto regalati. Antitetico ai principi base dell’economia di mercato, anche se fortemente pianificata come naturale nelle sanità pubbliche. Direbbe Adorno la “discrasia tra teoria e pratica, con la “praxis” che prende a calci nel sedere la “theorie”.
 
Ma c’è un aspetto cruciale, più trasversale, sul quale invito a riflettere. In questa logica di economia pianificata, condivisibile nel principio data la valenza sociale del bene, è certamente indispensabile la programmazione della spesa. Tuttavia dovrebbe essere non solo ben più accurata (la farmaceutica ospedaliera sfonda del 40-50% ogni anno), ma soprattutto includere tutte le voci concorrenti nell’intero percorso diagnostico-terapeutico del paziente.
 
Non solo i farmaci, quindi, ma l’intero set di beni e servizi, visite, diagnostica, ospedalizzazioni, ecc. a cui serve ricorrere. Il “disease management”, quei PDTA sui quali definire i veri costi standard e perciò la spesa standard, ciò che in molti confondono ancora assurdamente col prezzo ballerino della famigerata siringa. O, appunto, con la sola spesa per i medicinali.
 
Il “payback” sui farmaci agisce invece in modo parcellizzato solo su una delle molteplici voci concorrenti,  tra l’altro minoritaria (16%) e perciò di relativa efficacia nel controllo dell’intera spesa SSN, probabilmente quella più facile da monitorare e aggredire. Andrebbe invece sostituito con un processo assai più trasversale, quindi efficace, di pianificazione, gestione e controllo sia della domanda sia dell’offerta.
 
Altrimenti si penalizza solo una componente, le industrie, che, almeno in questo, non hanno colpe. Va riveduto quindi quel “payback”, allora, prima che quelle industrie siano tentate anch’esse di andarsene via, anche in questo settore. Come hanno fatto in tanti altri. Come la Fiat di cui sopra. E senza neanche nessuno che le abbia chiesto indietro i soldi delle tante 500 vendute.
 
Prof. Fabrizio Gianfrate
Economia Sanitaria

06 settembre 2016
© Riproduzione riservata


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