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Cittadinanzattiva-Tdm: 4,3 milioni di italiani rinunciano alle cure per colpa di ticket e liste d’attesa. Spesa privata sopra la media Ocse


Sono soprattutto i cittadini delle Regioni del Sud a rinunciare. Ogni anno i cittadini a testa pagano in media oltre 50 euro come quota di compartecipazione in tutte le Regioni del Nord e del Centro, ad eccezione di Piemonte, Marche e PA Trento, con punte vicino ai 60 euro in Veneto e Valle D’Aosta, e in media 42 euro al Sud. Ecco il Rapporto 2015 dell'Osservatorio Civico sul federalismo in sanità.

23 FEB - Quasi un cittadino su dieci rinuncia a curarsi per motivi economici e liste di attesa. La prevenzione è sempre di più a macchia di leopardo, con un Sud che arranca e Regioni importanti come Lazio e Veneto che fanno passi indietro rispetto al passato. E non va meglio sul fronte dell’accesso ai farmaci innovativi, soprattutto per il tumore e l’epatite C: le differenze tra le Regioni sono marcate. E laddove il cittadino sborsa di più, per effetto dell’aumento della spesa privata per le prestazioni e della tassazione, i livelli essenziali sono meno garantiti che altrove.
 
È questa la fotografia del sistema salute scattata dal Rapporto 2015 dell’Osservatorio Civico sul federalismo in sanità, realizzato dal Tribunale per i diritti del malato-Cittadinanzattiva. Un Rapporto che descrive un federalismo non rispondente ai bisogni di salute dei cittadini e dove il codice di avviamento postale fa la differenza per accedere ai propri diritti.
 
“È ora di passare dai piani di rientro dal debito ai piani di rientro nei Livelli Essenziali di Assistenza – ha dichiarato Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato di Cittadinanzattiva – cruciali per la salute dei cittadini e la riduzione delle diseguaglianze. Per andare dietro alla sola tenuta dei conti, oggi alcune regioni in piano di rientro hanno un’offerta dei servizi persino al di sotto degli standard fissati al livello nazionale, ma con livelli di Irpef altissimi e ingiustificabili dai servizi resi. L’Irpef diminuisca proporzionalmente al diminuire del debito, sino a tornare, al momento dell’equilibrio, ai livelli precedenti al Piano di Rientro”.
 
La spesa sostenuta privatamente dai cittadini per prestazioni sanitarie in Italia è al di sopra della media Ocse (3,2% a fronte di una media Ocse di 2,8%). Molto diversificata anche la spesa privata per Regione (781,2 euro in Valle d’Aosta a fronte di 267,9 euro in Sicilia).
Per contro, la spesa sanitaria pubblica pro capite, nel 2013, assume valori massimi nella PA di Trento (2.315,27 euro) e Bolzano (2.308,21) o in Valle d’Aosta con 2.393,03, mentre presenta valori minimi in Campania (1.776,85 euro). Nelle Regioni in piano di rientro si registrano livelli di tassazione più elevati: l’addizionale regionale Irpef media più alta è stata registrata nel Lazio (470 euro per contribuente) seguita dalla Campania (440 euro). Nelle stesse regioni, l’aliquota Irap media effettiva ha raggiunto il suo valore massimo (4,9%).
In generale le Regioni in Piani di rientro, e la Campania in particolare, sono quelle che, a fronte di una minore spesa pubblica, spesa privata e di un’elevata tassazione, danno meno garanzie ai cittadini nell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza
 
“Alcune Regioni, ancora troppo poche, hanno saputo interpretare il federalismo sanitario come strumento per rispondere alle esigenze dei cittadini – prosegue Aceti – la sfida per il futuro del federalismo sanitario e del Ssn è portare le Regioni più critiche ai livelli delle più virtuose e proiettarle tutte verso il miglioramento dei servizi per i cittadini. Il primo passo per farlo è passare dall’approvazione all’implementazione uniforme delle norme: il Ministero della Salute deve esserne garante; le Regioni agire in modo sostanziale e non formale, con delibere copia-incolla. È emblematica la numerosità di norme che, da due anni, vogliono restituire centralità ed effettività ai Lea e quanto invece il monitoraggio e la garanzia siano ancora troppo formali. Nel sistema nazionale di monitoraggio Lea, mancano ad esempio il tasso di rinuncia alle cure, l’accesso alle terapie innovative, i tempi effettivi di attesa. Per fare un esempio le Marche, che hanno un buon punteggio Lea e sono tra la rosa di regioni benchmark, hanno al tempo stesso anche un alto tasso di rinuncia alle cure. Questo per i cittadini è paradossale”. È quindi evidente, per Aceti: la necessità di aggiornare gli indicatori di monitoraggio; ottimizzare i flussi informativi esistenti; garantire terzietà al monitoraggio Lea introducendo il punto di vista dei cittadini e prevedendo la partecipazione di rappresentanti di cittadini nella Commissione nazionale Lea.
 
“La riforma costituzionale in corso in ambito sanitario, qualora fosse confermata – prosegue Aceti – renderebbe più forte il livello centrale, e irrobustirebbe contemporaneamente quello delle regioni, attribuendo loro non solo l’organizzazione dei servizi, ma anche la programmazione sanitaria. Affidare però la soluzione di tutti i problemi alla sola approvazione di una legge, seppur di rango costituzionale, è illusorio. E il Rapporto lo dimostra chiaramente: troppe norme approvate e sbandierate negli anni come soluzioni sono rimaste solo sulla carta o utilizzate per far quadrare i conti”.
 
Il Rapporto in sintesi
 
Liste di attesa e ticket, motivo di rinuncia alle cure per milioni di italiani
Un cittadino su quattro, fra gli oltre 26mila che si sono rivolti al Tribunale per i diritti del malato nel 2015, lamenta difficoltà di accesso alle prestazioni sanitarie per liste di attesa (oltre il 58%) e per ticket (31%). In particolare sono i residenti in Calabria, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Marche, Sicilia, P.A. Trento e Bolzano e Veneto, a lamentarsi di attendere troppo per visite ed esami.
Per motivi economici, liste di attesa e ticket rinunciano alle cure il 7,2% dei residenti, pari a circa 4,3 milioni di persone: il 5,1%, ovvero circa 2,7 milioni di persone, lo ha fatto per motivi economici, la seconda causa sono le liste d’attesa. Nelle Regioni del Sud si riscontra la maggior quota di rinunce (11,2%); al Centro il 7,4% dei residenti e al Nord il 4,1%. L’attesa poi non è uguale per tutti: ad esempio, per una visita ortopedica i tempi minimi si registrano nel Nord-Est (poco più di un mese), quelli massimo al Centro (quasi due mesi); per una prima visita cardiologica con ECG si va dal minimo di 42,8 giorni nel Nord-Ovest al massimo di 88 giorni al Centro; per l’ecografia completa all’addome si attende da un minimo di 57 giorni nel Nord Est ad un massimo di 115 giorni al Centro; per la riabilitazione motoria si va dai quasi 13 giorni del Nord Est ai quasi 69 giorni del Sud. In generale, su un campione di 16 prestazioni sanitarie, i tempi minimi di attesa si registrano tutti nel Nord Est o Nord Ovest, i tempi massimi, in 12 casi su 16, sono segnalati al Centro. Nel Sud, e in particolare in Puglia e Campania, i cittadini ricorrono più di frequente agli specialisti privati per aggirare il problema dei tempi troppo lunghi nel pubblico (indagine Censis 2015).
 
Anche sui ticket si registrano notevoli difformità regionali: sulle stesse 16 prestazioni i ticket più bassi nel pubblico si registrano prevalentemente nel Nord Est (per 10 su 16 prestazioni), quelli più elevati nel Sud (per la metà delle prestazioni). Il livello di compartecipazione dei cittadini ai ticket fra 2013 e 2014 è diminuito solo nella PA Trento (-5,6%), in Sicilia (-2,2%), Piemonte (-2%) e Liguria (0,8%). In Valle d’Aosta si registra invece un +11,9%.
L’importo del ticket varia di regione in regione sia sulla farmaceutica che sulle prestazioni specialistiche ambulatoriali: nel 2014 abbiamo registrato un +4,5% dei ticket sui farmaci e -2,2% sulla specialistica. Ogni anno i cittadini a testa pagano in media oltre 50 euro come quota di compartecipazione in tutte le Regioni del Nord e del Centro, ad eccezione di Piemonte, Marche e PA Trento, con punte vicino ai 60 euro in Veneto e Valle D’Aosta, e in media 42 euro al Sud.
 
In alcune Regioni sono esenti tutti i disoccupati, i lavoratori in cassa integrazione o in mobilità o con contratto di solidarietà (come la Lombardia, l’Emilia Romagna e la Toscana); in altre Regioni sono esenti dalla partecipazione al costo i figli a carico dal terzo in poi (PA Trento); in altre sono esenti gli infortunati sul lavoro per il periodo dell’infortunio o affetti da malattie professionali (come la Liguria, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Umbria, Basilicata), i danneggiati da vaccinazione obbligatoria, trasfusioni, somministrazione di emoderivati, le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata e familiari, i residenti in zone terremotate.
Nelle regioni settentrionali il ticket sulla farmaceutica va da un minimo di 2 ad un massimo di 4 euro. In Emilia Romagna, Toscana ed Umbria sono le uniche tre regioni che prevedono ticket sulla farmaceutica diversi a seconda delle fasce di reddito, da 0 per le fasce più basse ad 8 per le fasce più alte.
 
Posti letto e giorni di degenza in ospedale “fai da te”
In un contesto di riduzione dei posti letto per acuti (di 13.377 unità tra 2010 e 2013), Basilicata e Sicilia rispettano lo standard di 3,0 posti letto per mille abitanti. La maggior parte delle Regioni non sottoposte a Piano di Rientro presenta valori più elevati: è il caso del Friuli Venezia Giulia (3,8), Valle D’Aosta (3,7) Emilia Romagna (3,6), Marche (3,3), Veneto, Toscana e Umbria (3,2), mentre Calabria, Puglia e Campania - Regioni sottoposte da anni a Piano di rientro - mostrano valori medi inferiori alla soglia, rispettivamente: 2,6; 2,9; 2,9. 
Il Regolamento sugli Standard ospedalieri inoltre riduce la media dei giorni di degenza per le acuzie a 7 giorni. Risultano in linea con tali standard, Piemonte (6,82), Toscana (6,87), Valle D’Aosta e Marche (6,99). Il Veneto mantiene una media più alta (8,26), seguono Liguria (7,63) e Friuli Venezia Giulia (7,58). Le Regioni del Sud sottoposte a Piano di Rientro presentano valori medi molto più bassi: Puglia (6,22), Campania (5,65) e per ultima la Calabria con soli 5,49 giorni medi di degenza per acuti.
Anche rispetto all’assistenza territoriale ed in particolare alle cure primarie, le regioni in Piano di Rientro, e nello specifico alcune regioni del Sud, non offrono risposte soddisfacenti ai bisogni della popolazione. A titolo di esempio, sulle 16 Regioni prese in esame dal Ministero nel 2013, sono 7 (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Lazio, Puglia) quelle che risultano “adempienti con impegno per l’erogazione dell’assistenza domiciliare
Ci sono ancora sei Regioni che nel Piano sanitario non prevedono l’integrazione socio-sanitaria: Abruzzo, Calabria, Lazio, Molise, Sicilia e PA Bolzano.
 
Sui punti nascita, gli standard ministeriali rispettati a macchia di leopardo
Su 531 punti nascita attivi nel 2014, 98 effettuano un numero di parti inferiore ai 500/anno. Sulle 16 Regioni prese in esame dal documento “Verifica ed Adempimento Lea”, 6 risultano inadempienti (Sicilia, Calabria, Puglia, Campania, Lazio, Abruzzo); 5 adempienti con impegno (Piemonte, Emilia Romagna, Molise, Basilicata). Tra le Regioni che hanno trasmesso il report relativo alla presenza dei punti nascita con meno di 500 parti/anno, la Basilicata ne ha attivi 3, l’Emilia Romagna 7, il Lazio 6, La Puglia e la Lombardia 9.
Anche rispetto all’utilizzo del taglio cesareo, per il quale le linee di indirizzo ministeriali indicano un valore standard da raggiungere del 20%, non si evidenziano miglioramenti. A livello nazionale nel 2014 siamo al 35,9% di parti effettuati con cesareo, in Campania si raggiunge il 62,3%, seguono Sicilia e Puglia (44%), Molise (43,7%).
Ancora, sulla distribuzione delle Terapie Intensive Neonatali, i dati del 2012 indicano che gli standard fissati di 1 TIN per almeno 5000/nati vivi non sono rispettati. La  media nazionale è infatti di 1 TIN ogni 3880 nati vivi l'anno; solo 4 Regioni (P.A. Bolzano, P.A. Trento, Marche e Sardegna) ne hanno per più di 5000 nati vivi; Liguria, Abruzzo, Molise e Sicilia hanno invece una TIN per un bacino di utenza compreso tra 2000-3000 nati vivi (superiore allo standard); le altre Regioni sono fuori standard.
 
Sulla prevenzione il Sud fatica, Lazio e Veneto fanno passi indietro
Su 16 Regioni monitorate dal Ministero della Salute nel 2013 sul fronte prevenzione, la metà risulta in linea con le indicazioni date dal Ministero rispetto ai Lea: si tratta di Basilicata, Emilia Romagna, Liguria, Lombardia, Marche, Toscana, Umbria e Veneto. Ma di queste, tre fanno passi indietro rispetto al 2012 (Basilicata -7,5%; Liguria -7,5%; Veneto -10%). E fra le otto inadempienti (Abruzzo, Calabria, Campania, Lazio, Molise, Piemonte, Puglia, Sicilia), quattro fanno ulteriori passi indietro (Puglia -15%, Sicilia -7,5%, Calabria e Campania -5%).
In particolare, solo Piemonte, Liguria, Toscana, Umbria, Lazio, Abruzzo, Molise, Basilicata e Calabria, Provincia Autonoma di Bolzano e Valle d’Aosta riescono a raggiungere il 95% per le vaccinazioni obbligatorie infantili. Inoltre, in 13 Regioni è stata introdotta la vaccinazione per varicella con offerta attiva e gratuita per tutti i nuovi nati: mancano all’appello regioni importanti come Lazio, Lombardia, Piemonte, Umbria, Emilia Romagna, Abruzzo e Valle D’Aosta. E’ solo uno degli esempi di offerta vaccinale nelle Regioni, che riguarda anche quella anti HPV per il maschio, antimeningococco, antipneumococco e herpes zoster.
Nel corso del 2013 sono stati inviati oltre 11 milioni di inviti per partecipare ai tre programmi di screening oncologici organizzati, mammografico, colorettale e cervicale, meno della metà delle persone si sono sottoposte alle prestazioni preventive. L’adesione ai 3 esami preventivi permane critica nelle regioni del Sud. Sullo screening mammografico, è marcata la differenza esistente al livello regionale: oltre alle regioni del Sud, Liguria, Bolzano, Marche, Veneto, Friuli Venezia Giulia e Umbria sono al di sotto della media nazionale per copertura. Il tasso di adesione allo screening colorettale è del 44% al livello nazionale: questi dati tuttavia, ancora una volta, mostrano variazioni significative nelle aree del Paese passando dal 53% del Nord, al 39% del Centro, al 31% del Sud.
 
Accesso ai farmaci innovativi, il caso degli oncologici e dell’Hcv
I tempi per l’inserimento nei Prontuari regionali dei farmaci innovativi oncologici variano in media dai 600 giorni di Toscana e Umbria ai 740 di Emilia Romagna, e sui tempi massimi le differenze si acuiscono: si passa dai 953 di Abruzzo e Toscana ai 2527 della Emilia Romagna.
Emblematico poi il caso dei nuovi farmaci per la cura dell’epatite C. Innanzitutto il numero delle strutture deputate alla prescrizione dei nuovi farmaci sono 204 su tutto il territorio nazionale, per una utenza di 297.954 persone residenti; ma nel Lazio ci sono 11 centri prescrittori per una media di 533.677 persone, mentre in Piemonte ci sono 10 centri a cui afferiscono 443.680 cittadini.
Differenze anche sui criteri per l’accesso ai farmaci per i non residenti: Marche, Piemonte (eccetto i trapianti di fegato), Lazio e Basilicata prevedono, nelle loro delibere, l’erogazione per i soli residenti; 11 Regioni invece non hanno deliberato nulla al proposito (Abruzzo, Emilia Romagna, Liguria, Lombardia, Molise, Puglia, Sardegna, Toscana, Umbria, Valle d’Aosta, Veneto).
Per quanto riguarda l’accesso alle nuove terapie per stranieri temporaneamente presenti ed europei non iscritti, solo 6 Regioni (Campania, Liguria, Lombardia, Marche, Puglia, Veneto) hanno espressamente deliberato al proposito, prevedendo in ogni caso un solo centro prescrittore.
 
Procreazione medicalmente assistita: differenze regionali fra numeri di centri, offerta privata e pubblica, sostegno economico alle coppie
I 2/3 dei centri sono concentrati in 5 regioni (Lombardia, Lazio, Campania, Sicilia e Veneto) ma con grande squilibrio fra centri pubblici, privati convenzionati e centri privati; il 68% dei centri nel Sud e il 58% nel Centro è privato; nel Nord Est sussiste parità di offerta tra pubblico e privato e nel Nord Ovest vi è prevalenza di offerta nel pubblico. Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Piemonte e PA di Trento e Bolzano hanno inserito la PMA nei lea regionali (le prime tre regioni sia l’omologa che eterologa, le due province autonome solo l’omologa). Inoltre, alcune (PA Trento e Bolzano, FVG; Emilia Romagna, Toscana, Umbria e Basilicata) prevedono un sostegno economico per le coppie che ricorrono alla PMA. Anche sull’età delle coppie le regioni applicano criteri diversi per consentire l’accesso alle tecniche di fecondazione assistita: Lombardia, Abruzzo e Campania non pongono alcun limite; in Veneto è consentita fino ai 50 anni; in Valle d’Aosta e Umbria fino a 41 anni.
La regolamentazione diversa per ogni regione e la differenza di offerta ha creato enormi difficoltà per le coppie che non hanno alcuna certezza su dove poter rivolgersi e quali costi sostenere. Ciò concentra l’offerta in alcune a discapito di altre, creando una forte disomogeneità di accesso e una discriminazione di fatto delle coppie che risiedono in regioni dove l’offerta pubblica è scarsa o addirittura nulla come in Molise. Vi sono regioni come la Sicilia in cui non si attuano le delibere predisposte da anni e altre dove i centri di PMA risultano ancora non autorizzati pur operando tranquillamente, come nel Lazio, che risulta essere al primo posto per disomogeneità di regole e accesso nello stesso territorio regionale.
 
Trattamento del dolore in ospedale: al Sud “ammesso” soffrire di più
Dalla indagine di Cittadinanzattiva “In-dolore” che nel 2014 ha coinvolto 214 reparti e 46 ospedali di 15 regioni sul trattamento e attenzione al dolore negli ospedali, emerge una scaletta discendente di performance man mano che si procede verso Sud.
Per quanto attiene all’esperienza diretta dei degenti, soltanto il 24,9% degli intervistati dichiara di essere stato informato sui propri diritti in merito al dolore con differenze territoriali significative: mediamente gli ospedali del Nord nell’area informazione hanno soddisfatto l’81% degli elementi richiesti, mentre tale dato scende vertiginosamente al Centro (47%) e al Sud (53%). Critico il trattamento del dolore nell’anziano: mancano protocolli specifici nel 76% dei reparti monitorati. Analizzando i dati per zona geografica, emerge un quadro interessante e preoccupante, in particolare al Sud (dove i protocolli sono attivi solo nel 7%), ma anche al Nord (26%) e nel Centro (42%).
Anche sul fronte della formazione e aggiornamento del personale, area più debole stando alla nostra rilevazione, ci sono differenze notevoli: 50% al Nord, 25% al Centro, 24% al Sud.

23 febbraio 2016
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