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Istat certifica aumento mortalità nel 2015: 54mila decessi in più rispetto al 2014. Una delle conseguenze dell’invecchiamento ma anche dell’effetto “rimbalzo”. Nuovo minimo storico per le nascite: sono state solo 488mila


Pubblicati oggi i dati sull’andamento demografico nazionale. I residenti in Italia sono 60,656 milioni, di cui 5,54 milioni stranieri. Spiccano due dati: il picco di mortalità e i 15mila neonati in meno rispetto al 2014. Nel primo caso, in attesa di conoscere le cause di morte, l’Istat spiega il dato con il progressivo invecchiamento degli italiani ma anche con un effetto di “rimbalzo” in avanti del numero dei decessi determinato dal recupero delle diminuzioni registrate nei due anni precedenti. IL REPORT.

19 FEB - Al 1° gennaio 2016 la popolazione in Italia è di 60 milioni 656 mila residenti (-139 mila unità). Gli stranieri sono 5 milioni 54 mila e rappresentano l'8,3% della popolazione totale (+39 mila unità). La popolazione di cittadinanza italiana scende a 55,6 milioni, conseguendo una perdita di 179 mila residenti. Lo rilevano i primi dati (ancora stimati) degli indicatori demografici 2015 pubblicati oggi dall'Istat.
 
I morti sono stati 653 mila nel 2015 (+54 mila). Il tasso di mortalità, pari al 10,7 per mille, è il più alto tra quelli misurati dal secondo dopoguerra in poi. L'aumento di mortalità risulta concentrato nelle classi di età molto anziane (75-95 anni). Il picco è in parte dovuto a effetti strutturali connessi all’invecchiamento e in parte al posticipo delle morti non avvenute nel biennio 2013-2014, più favorevole per la sopravvivenza.
 
Nel 2015 le nascite sono state 488 mila(-15 mila), nuovo minimo storico dall’Unità d'Italia. Il 2015 è il quinto anno consecutivo di riduzione della fecondità, giunta a 1,35 figli per donna. L'età media delle madri al parto sale a 31,6 anni.
 
Il saldo migratorio netto con l'estero è di 128 mila unità, corrispondenti a un tasso del 2,1 per mille. Tale risultato, frutto di 273 mila iscrizioni e 145 mila cancellazioni, rappresenta un quarto di quello conseguito nel 2007 nel momento di massimo storico per i flussi migratori internazionali. Le iscrizioni dall’estero di stranieri sono state 245 mila e 28 mila i rientri in patria degli italiani. Le cancellazioni per l'estero riguardano 45 mila stranieri e 100 mila italiani.
Gli ultrasessantacinquenni sono 13,4 milioni, il 22% del totale. In diminuzione risultano sia la popolazione in età attiva di 15-64 anni (39 milioni, il 64,3% del totale) sia quella fino a 14 anni di età (8,3 milioni, il 13,7%). L’indice di dipendenza strutturale sale al 55,5%, quello di dipendenza degli anziani al 34,2%.
 
Diminuisce la speranza di vita alla nascita. Per gli uomini si attesta a 80,1 anni (da 80,3 del 2014), per le donne a 84,7 anni (da 85). L'età media della popolazione aumenta di due decimi e arriva a 44,6 anni.
 

 
Ma vediamo i dati più in dettaglio, rimandando comunque alla lettura del rapporto integrale.
 
2015, l’anno del picco di mortalità. Il 2015 è stato caratterizzato da un significativo aumento dei decessi che ha messo in allarme sia gli operatori del settore (medici, epidemiologi, demografi) sia i media. Nel complesso, i morti stimati sono 653 mila, ben 54 mila in più rispetto al 2014 (+9,1%). L’andamento dei morti per mese nel 2015 evidenzia un costante incremento sul 2014, fatta eccezione per il mese di maggio. La variazione relativa è particolarmente accentuata nei mesi freddi e caldi. In particolare nei mesi di gennaio, febbraio e marzo si riscontrano incrementi rispettivamente del 10,4%, 18,9% e 14%. Nei mesi estivi, invece, l’incremento è del 20,3% a luglio e del 13,3% ad agosto. Il quadro complessivo del 2015 appare tuttavia meno eccessivo se confrontato con il 2012, anno in cui in complesso i decessi sono stati 612.883 (19.481 in più rispetto al 2011, +3,3%) mentre nel 2013 sono stati 600.744 (-12.139 rispetto al 2012, -2%) e nel 2014 sono stati 598.364 (-2.380 rispetto al 2013, -0,4%).
 
L’incremento di mortalità risulta omogeneo dal punto di vista del territorio. Rispetto al 2014 le variazioni oscillano da un minimo del +5,8% nella Provincia di Bolzano a un massimo del +18,7% nella Valle d’Aosta. Le zone più interessate dall’aumento di mortalità sono quelle del Nord-ovest, Piemonte e Lombardia registrano incrementi, rispettivamente, del 10,1% e del 10,6%. Nel Centro, Toscana e Umbria mostrano un aumento del 10,3% mentre nel Mezzogiorno un +10,7% si rileva in Campania.
 
Nel 2015 si stimano 310 mila deceduti di sesso maschile e 343 mila di sesso femminile. Il rapporto di composizione risulta dunque pari a 90 morti di sesso maschile ogni 100 donne decedute, in calo rispetto al 2014 quando risultò pari a 94. L’aumento dei decessi sull’anno precedente interessa soprattutto le donne: circa 34 mila in più (+10,9%) contro i 21 mila in più degli uomini (+7,1%). Occorre peraltro ricordare che nelle due annualità precedenti, 2014 su 2013 e 2013 su 2012, sono state riscontrate variazioni di segno negativo, rispettivamente -1.174 e -4.901 per gli uomini, -1.206 e -7.238 per le donne.
 
Ciò lascerebbe supporre che per le donne il minor numero di morti non avvenute nel 2013 e nel 2014 sembrerebbe parzialmente compensato nel corso del 2015. S’intravede, cioè, un effetto di “rimbalzo” in avanti del numero dei decessi, in particolare per le donne, parzialmente determinato dal recupero delle diminuzioni registrate nei due anni precedenti. In rapporto al numero di residenti la mortalità si attesta nel 2015 a 10,7 per mille abitanti, il valore più alto dal secondo dopoguerra a oggi. Il tasso generico di mortalità può presentare da un anno all’altro oscillazioni di natura congiunturale legate a molti fattori, ad esempio climatici o epidemiologici. Sotto questo punto di vista, i picchi di mortalità del 1956, del 1962 o del 1983 non sono dissimili da quello del 2015.
 
Va però sottolineato come la mortalità presenti, da almeno 30 anni, un chiaro andamento di fondo verso l’aumento progressivo. Ciò si deve al continuo miglioramento delle condizioni di sopravvivenza che, favorendo l’invecchiamento della popolazione, estende anno dopo anno la base delle persone anziane (e molto anziane) potenzialmente a rischio di subire l’evento di decesso.
 
Ciò che differenzia le due curve di mortalità nei due anni di calendario è l’incremento del numero assoluto di decessi nelle classi di età da 75 a 95 anni. Infatti, mentre nelle età giovanili e adulte le differenze risultano pressoché irrilevanti, l’aumento di decessi tra le classi di età dei molto anziani giustifica oltre l’85% della variazione totale. Tra i maschi di età compresa tra 75 e 95 anni la variazione è di circa 18 mila decessi in più, tenendo presente che dal 2014 al 2015 la variazione complessiva per gli uomini, ossia quella calcolata su tutte le età, è stata di 20 mila 500 unità. Per le donne, infine, l’aumento dei decessi tra le 75-95enni è pari a circa 30 mila unità in più, a fronte di una differenza complessiva di circa 34 mila.
 
Le cause dell’incremento di mortalità. Benché a oggi manchino alcuni elementi cognitivi per avvalorare le ragioni autentiche alla base del repentino aumento di mortalità del 2015 – come ad esempio i dati sulle cause di morte – i primi dati provvisori classificati per età permettono di ragionare almeno su alcune ipotesi. In primo luogo, il picco di mortalità del 2015 porta con sé significativi effetti strutturali, come l’analisi per età dimostrerebbe, vista la particolare concentrazione dell’incremento di mortalità nelle classi di età molto anziane. In secondo luogo, è accertato che il picco del 2015 rappresenti una risposta proporzionata e contraria alle diminuzioni di mortalità riscontrate nel 2013 e nel 2014 (effetto rimbalzo).
 
Le persone coinvolte dagli eventi, infatti, sono state quelle fisicamente più fragili, per le quali il rischio di mortalità accelera velocemente su base istantanea. Particolarmente interessante a questo riguardo è l’analogia con altri paesi come la Gran Bretagna o come la Francia dove, come per l’Italia, si è osservato un incremento della mortalità nel 2015.
 
Diminuisce la speranza di vita. Nel 2015 il peggioramento delle condizioni di sopravvivenza si traduce, per gli uomini come per le donne, in una riduzione della speranza di vita. Alla nascita quella dei primi si attesta a 80,1 anni, con una riduzione di 0,2 sul 2014; quella delle donne invece è di 84,7 anni, in calo di 0,3. Guardando i dati in serie storica (dal 1974, primo anno dal quale l’Istat dispone di una serie continua) non è la prima volta che la speranza di vita alla nascita registra variazioni congiunturali di segno negativo (nel 1975 e nel 1983; nel 1980, nel 2003 e nel 2005 limitatamente alle donne) ma mai di questa intensità, in particolar modo per le donne.
 
La riduzione della speranza di vita alla nascita è pressoché uniforme a livello territoriale. Incrementi di sopravvivenza si registrano soltanto per gli uomini della Provincia di Trento (+0,1) e per le donne della Provincia di Bolzano (+0,1) ma nel complesso anche la regione del TrentinoAlto Adige è caratterizzata da una riduzione rispetto al 2014 (-0,1). Vi sono poi alcune regioni dove la speranza di vita alla nascita rimane stabile sul dato dell’anno precedente, soprattutto per gli uomini (Lazio, Abruzzo, Molise, Calabria e Sardegna) e in una sola realtà (Molise) anche per le donne. Queste eccezioni non bastano, però, a impedire che a livello di grandi ripartizioni geografiche risulti un quadro di riduzione piuttosto omogeneo. Nel Nord-ovest del Paese la riduzione è pari, infatti, a -0,3 per gli uomini e a -0,4 per le donne. Meno sfavorevole, ma comunque negativo, è il risultato conseguito nel Mezzogiorno (rispettivamente, -0,2 e -0,3), e ancora meno quello nel Nordest e nel Centro (-0,1 e -0,3).
 
La riduzione che si registra nella speranza di vita alla nascita risulta replicata, di pari intensità, in tutte le classi di età. All’età di 65 anni, per esempio, l’aspettativa di vita residua di un uomo scende a 18,7 anni (-0,2 sul 2014), quella di una donna scende a 22 anni (-0,3). Ciò dipende, com’è stato già evidenziato, dal fatto che l’aumento di mortalità è concentrato prevalentemente nelle classi di età anziane.
 
Record negativo di nascite. Nel 2015 le nascite sono stimate in 488 mila unità, ben quindicimila in meno rispetto all’anno precedente. Si tocca, pertanto, un nuovo record di minimo storico dall’Unità d’Italia, dopo quello del 2014 (503 mila). Poiché i morti sono stati 653 mila, ne deriva una dinamica naturale della popolazione negativa per 165 mila unità. Il ricambio generazionale, peraltro, non solo non viene più garantito da nove anni ma continua a peggiorare (da -7 mila unità nel 2007 a -25 mila unità nel 2010, fino a -96 mila nel 2014). Aldilà delle ragioni di fondo che stanno ostacolando, dopo il 2010, una significativa ripresa della natalità nel Paese, è opportuno ricordare che il recente calo delle nascite è in parte riconducibile alla trasformazione strutturale della popolazione femminile in età feconda (15- 49 anni).
 
Le donne in questa fascia di età sono oggi meno numerose e mediamente più anziane. Si avviano a terminare l’esperienza riproduttiva le baby-boomers (nate a cavallo degli anni ’60 e ’70) e al loro posto subentrano, gradualmente, le ridotte generazioni delle baby-busters (nate negli anni ’80 e ’90). Il tasso di natalità scende dall’8,3 per mille nel 2014 all’8 per mille nel 2015, a fronte di una riduzione uniformemente distribuita sul territorio. Non si riscontrano incrementi di natalità in alcuna regione del Paese e soltanto Molise, Campania e Calabria mantengono il medesimo tasso del 2014.
 
In assoluto, con un tasso pari al 9,7 per mille, il Trentino-Alto Adige si conferma l’area a più intensa natalità del Paese, davanti alla Campania con l’8,7 per mille. Le regioni a più bassa natalità sono la Liguria (6,5) e la Sardegna (6,7). Oltre alla più bassa natalità, alla Liguria compete anche il più alto tasso di mortalità (14,4 per mille) e quindi anche il tasso d’incremento naturale più sfavorevole (-7,9 per mille), a fronte di una media nazionale pari al -2,7 per mille. La Provincia di Bolzano, invece, rappresenta l’unica realtà del territorio nazionale nella quale la natalità si mantiene ancora superiore alla mortalità (+1,9 per mille).

19 febbraio 2016
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