Osservasalute: italiani in buona salute, ma grassi, vecchi e pigri
Alcol, fumo e altri tipi comportamenti a rischio sempre più diffusi tra i giovani e tra le donne. Tanto che l'aspettativa di vita delle signore, negli ultimi 5 anni, è aumentata di appena tre mesi contro i 7 mesi di vita guadagnati dagli uomini. Alcune Regioni, soprattutto al Sud, rischiano la catastrofe scosse dai problemi della sanità regionale. È questa la situazione che emerge dall’VIII edizione del Rapporto Osservasalute (2010), presentato oggi al Policlinico Gemelli-università Cattolica di Roma.
08 MAR - La salute degli italiani, per quanto ancora discreta, si va sgretolando a colpi di cattivi comportamenti (in fatto di alimentazione, sedentarietà e consumo di alcol in eccesso soprattutto tra i giovani). Queste abitudini sbagliate, oltretutto, sembrano divenute “normali” (e accettate per tali) agli occhi dei cittadini del Bel Paese che, quindi, non si applicano per cambiarle. Anche la salute delle donne perde terreno, infatti ha smesso di crescere la loro aspettativa di vita, basti pensare che negli ultimi 5 anni, l’aspettativa di vita delle donne è aumentata di appena tre mesi (da 84 anni nel 2006 a 84,1 anni nel 2009, 84,3 nel 2010), mentre per gli uomini è aumentata di sette mesi nello stesso arco di tempo (da 78,4 anni nel 2006 a 78,9 anni nel 2009, 79,1 nel 2010).
E le donne, incuranti della propria salute, stanno sempre più assumendo stili di vita che ricalcano quelli maschili, per esempio il consumo di alcol: sono infatti aumentate le donne adulte (19-64 anni) con consumi di alcol a rischio (si ritengono a rischio le donne che eccedono il consumo di 20 grammi di alcol al giorno, 1-2 Unità Alcoliche), la prevalenza è passata dall’1,6% nel 2006 al 4,9% nel 2008.
Ma i problemi di salute degli italiani non dipendono solo dalla loro cattiva volontà che li porta a essere sedentari e poco inclini a corretti stili di vita, bensì anche dal deteriorarsi, soprattutto nelle Regioni in difficoltà sul piano economico (soprattutto al Sud), di interventi adeguati per mancanza di investimenti nella prevenzione. A ciò si aggiunge il problema della chiusura degli ospedali che, sebbene concepita per razionalizzare il sistema, determina però poi la riduzione dei posti letto e della ricettività per le emergenze.
E' questa la situazione che emerge dall'VIII edizione del
Rapporto Osservasalute (2010), un'approfondita analisi dello stato di salute della popolazione e della qualità dell'assistenza sanitaria nelle Regioni italiane elaborato dall'Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane che ha sede presso l'Università Cattolica di Roma e coordinato
Walter Ricciardi, direttore dell’Istituto di Igiene della Facoltà di Medicina e Chirurgia.
“In dieci anni di federalismo sanitario, con la sanità ormai trasferita interamente alle regioni, il problema è che quelle deboli corrono il rischio di essere travolte, la sanità rischia cioè di essere l'elemento dirompente della Regione in toto”, ha affermato Ricciardi, secondo il quale "l'egemonia che hanno avuto i piani di rientro sul governo dei conti approfondisce il baratro dei servizi e della sostenibilità delle regioni, erodendo i servizi sociali e sanitari". Alla necessaria azione di risanamento dei conti, secondo l'esperto, "deve essere infatti affiancata, una coerente strategia di programmazione e controllo dei servizi sanitari, basata su evidenze epidemiologiche e scientifiche 'forti', senza le quali i problemi delle Regioni in difficoltà sono destinati ad aggravarsi in modo progressivo”.
Il Rapporto, presentato oggi a Roma, è frutto del lavoro di 203 esperti di sanità pubblica, clinici, demografi, epidemiologi, matematici, statistici e economisti distribuiti su tutto il territorio italiano, che operano presso Università e numerose istituzioni pubbliche nazionali, regionali e aziendali (Ministero della Salute, Istat, Istituto Superiore di Sanità, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto Nazionale Tumori, Istituto Italiano di Medicina Sociale, Agenzia Italiana del Farmaco, Aziende Ospedaliere e Aziende Sanitarie, Osservatori Epidemiologici Regionali, Agenzie Regionali e Provinciali di Sanità Pubblica, assessorati Regionali e Provinciali alla Salute).
Per quanto riguarda le condizioni della sanità regionale, dai dati raccolti si evidenzia che tre regioni da sole (Lazio, Campania e Sicilia) hanno generato il 69% dei disavanzi accumulati dal SSN nel periodo 2001-2009. In termini pro capite, disavanzi molto significativi si sono generati anche in Molise, Valle d’Aosta, Abruzzo e Sardegna. Solo nel Centro-Nord le regioni (tranne appunto Valle d’Aosta, nonché Piemonte, PA di Trento, Liguria e, nel 2009, Veneto) da alcuni anni chiudono i conti in sostanziale equilibrio, talvolta peraltro solo grazie all’integrazione rappresentata dalle risorse regionali “extra-fondo”. "Di qui - spiegano gli esperti - il carattere de facto “asimmetrico” del federalismo sanitario italiano. In linea di principio, tutte le regioni godono di un’ampia autonomia; nei fatti, moltissime regioni (quasi tutte del Centro-Sud) sono state private, almeno temporaneamente, di tale autonomia tramite l’assoggettamento ai Piani di rientro ed, in alcuni casi, il commissariamento".
Si conferma peraltro l’incapacità del Ssn di rispettare i tetti di spesa. Per le singole aziende, il disavanzo è la normalità anziché l’eccezione. Ma occorre sottolineare che "le aziende non hanno certezza sulle risorse effettivamente disponibili: da un lato, c’è l’aspettativa che nel corso dell’esercizio potrebbero venire stanziate risorse aggiuntive e che potrà esserci qualche forma di copertura dei disavanzi; d’altra parte, non c’è però certezza né sull’entità, nelle sulle tempistiche di queste coperture”, ha osservato
Eugenio Anessi Pessina, ordinario di Economia aziendale alla Facoltà di Economia dell’Università Cattolica.
C’è inoltre una frattura molto forte tra le regioni del Centro-Nord e quelle del Centro-Sud, e, secondo gli esperti, l’attuazione del federalismo comporterà, dunque, forti tensioni: "Alle regioni del Centro-Sud si chiederanno ulteriori sacrifici per proseguire nel percorso di rientro dai disavanzi; le regioni del Centro-Nord continueranno a poter destinare al proprio Ssr una quota di risorse (misurata, per esempio, dal rapporto tra spesa e PIL regionale) inferiore a quella di aree europee analoghe per ricchezza e sviluppo economico".
Complessivamente, per continuare a beneficiare di una sanità universalistica e di qualità sarà, quindi, necessario da un lato recuperare efficienza, sfruttando tutti i margini che proprio l’eterogeneità interregionale evidenzia; dall’altro governare, in chiave prospettica, l’evoluzione tecnologica e la long-term care, da cui primariamente dipende l’evoluzione della spesa nel medio-lungo periodo. Per fare tutto ciò, secondo gli esperti della Cattolica servono almeno tre condizioni: 1) regole di finanziamento stabili, eque e trasparenti; 2) volontà politica, da incentivare tramite opportuni meccanismi di premi e sanzioni sia per le collettività amministrate, sia più direttamente per gli amministratori; 3) capacità tecniche, da sviluppare tramite meccanismi di knowledge transfer tra le regioni, uno spostamento di attenzione dalle fasi di programmazione del “rientro” a quelle di effettiva implementazione e, più in generale, una nuova fase di sviluppo del management sanitario, di selezione e crescita di una classe dirigente competente e preparata rispetto ai problemi emergenti.
"Non sono queste condizioni impossibili da realizzarsi, ma - sottolineano gli esperti della Cattolica - necessitano di uno sforzo congiunto di Stato e Regioni che ponga effettivamente al centro dell’attenzione il cittadino e le sue esigenze di salute".
Gli italiani fotografati dall'VIII Rapporto Osservasalute
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08 marzo 2011
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