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Gli italiani fotografati dall'VIII Rapporto Osservasalute


08 MAR - Ecco una sintesi del quadro emerso dall'analisi dell'Università Cattolica sulla popolazione residente in Italia e il suo stato di salute.
UN PAESE IN CRESCITA - I risultati del rapporto danno conferma delle tendenze emerse negli anni scorsi: si riscontra un tendenziale aumento della popolazione residente in Italia rispetto al biennio 2007-2008, principalmente imputabile alla crescita della componente migratoria. Nel biennio 2008-2009 l’Italia presenta un saldo totale positivo (+6,0‰), frutto di un saldo naturale prossimo allo zero (-0,3‰), e un saldo migratorio positivo (+6,3‰), seppur in diminuzione se confrontato con quello del biennio precedente. In altre parole, la crescita della popolazione nel Paese, è imputabile proprio al movimento migratorio registrato, pur con differenze regionali, in alcuni casi, piuttosto spiccate. Sono molte le regioni che presentano un saldo naturale negativo: tra queste vi sono la Liguria con una popolazione estremamente invecchiata e comportamenti riproduttivi molto contenuti (-5,8‰), il Friuli Venezia Giulia e il Molise (entrambe con un valore pari a -3,1‰): al contrario, i saldi naturali più elevati, si registrano in entrambe le Province Autonome del Trentino Alto Adige e in Campania.

CRESCE ANCHE LA FECONDITÀ - Il tasso di fecondità totale (Tft) si attesta, nel 2008, su un valore inferiore al livello di sostituzione (ossia quello, circa 2,1 figli per donna, che garantirebbe il ricambio generazionale) che è pari a 1,4 figli per donna in età feconda.
Continua, quindi, il processo di ripresa dei livelli di fecondità che è iniziato a partire dal 1995 quando il Tft raggiunse il suo valore minimo di 1,2 figli per donna. Tale ripresa è imputabile sia alla crescita (specie nel Centro-Nord) dei livelli di fecondità delle over 30 anni che all’apporto delle donne straniere. Studi dimostrano che l’aumento del Tft registrato tra il 2001 e il 2006 è dovuto, in pari misura, alla crescita della fecondità delle donne con cittadinanza italiana e a quella delle cittadine straniere.
Nel 2008 i valori del Tft più elevati si registrano nelle Province Autonome del Trentino-Alto Adige e alla Valle d’Aosta, dove tale indicatore raggiunge il valore di circa 1,6 figli per donna. Le regioni dove si registra un Tft particolarmente basso (ossia inferiore a 1,2 figli per donna in età feconda) sono Sardegna e Molise.

L’ITALIA CONTINUA A INVECCHIARE E LE PREVISIONI NON SONO ROSEE – Anche il Rapporto 2010 mostra la tendenza all’invecchiamento della popolazione italiana, la quota dei giovani sul totale della popolazione è, difatti, contenuta, mentre il peso della popolazione “anziana” (65-74 anni) e “molto anziana” (75 anni e oltre) è consistente.
Complessivamente, la popolazione in età 65-74 anni rappresenta il 10,3% del totale, e quella dai 75 anni in su il 9,8 del totale. È facilmente prevedibile che si assisterà a un ulteriore aumento del peso della popolazione anziana dovuto allo “slittamento verso l’alto” (ossia all’invecchiamento) degli individui che oggi si trovano nelle classi di età centrali, che sono le più “affollate”. Al tempo stesso, si può supporre che nel futuro prossimo non si registrerà un numero di nascite e/o flussi migratori imponenti tali da contrastare il rapido processo di invecchiamento che si sta delineando visto che le nuove generazioni (ossia coloro che dovrebbero dar luogo a tali nascite) sono numericamente esigue.

AUMENTANO GLI ANZIANI CHE VIVONO SOLI: a livello nazionale oltre un anziano ogni quattro (27,8%) vive solo (+0,7 punti percentuali rispetto al 2007). È in Valle d’Aosta che tale percentuale raggiunge il suo valore massimo (33,4%), mentre valori superiori al 30% vengono registrati anche in Piemonte, nella Provincia Autonoma di Trento e in Liguria. Al contrario, valori contenuti caratterizzano la Toscana, dove la quota di anziani che vivono soli è pari a 23,6%: seguono le Marche (25,3%), il Veneto (25,6%), la Basilicata (25,7%) e l’Abruzzo (25,9%).
Solo il 14,5% (nel 2007 tale dato era pari a 13,6%) degli uomini di 65 anni e oltre vive solo, mentre tale percentuale è decisamente più elevata per le donne: 37,5%, contro il 36,9% del 2007.

SPERANZA DI VITA – Tanto per gli uomini quanto per le donne si evidenzia una condizione di migliore sopravvivenza nelle regioni centrali e del Nord-Est. Svantaggiato, invece, risulta il Sud.
Per gli uomini si passa da picchi intorno agli 80 anni, in alcune province dell’Emilia-Romagna, al valore di 76,4 anni per Napoli e Nuoro. Differenze notevoli si registrano anche per le donne con il massimo di 85,3 anni per la provincia di Forlì-Cesena, mentre il minimo, ancora una volta, si registra nella provincia di Napoli con 81,8 anni (a pari merito con Caltanisetta).
Al 2007 la speranza di vita alla nascita è pari a 78,7 anni per gli uomini e a 84 anni per le donne. Si confermano, quindi, i dati del precedente Rapporto Osservasalute 2009. Dal 1998-2000 al 2007 gli uomini hanno guadagnato, in media, 2,2 anni passando da 76,5 a 78,7 anni. Le donne nello stesso periodo hanno guadagnato, mediamente, 1,5 anni raggiungendo il valore di 84 anni partendo da 82,5 anni.
Sia per le donne sia per gli uomini, è il Sud a presentare la situazione di maggiore svantaggio con una presenza elevata di province in cui la speranza di vita alla nascita è inferiore al valore medio nazionale.

DIMINUISCE LA MORTALITÀ – Tra gli inizi degli anni 2000 e il biennio 2006-2007, al netto dell’effetto dell’invecchiamento della popolazione, la mortalità oltre il primo anno di vita è diminuita da 103,5 a 89,8 per 10.000 negli uomini e da 61,3 a 54,5 per 10.000 nelle donne (rispettivamente 13% e 11% di riduzione).
Per quanto riguarda la mortalità per le diverse malattie si evidenzia una generale riduzione dei tassi di mortalità sia negli uomini che nelle donne. Il tasso standardizzato di mortalità per le malattie del sistema circolatorio si riduce, significativamente, in pochi anni passando, tra il 1999-2001 e il 2006-2007, da un valore di 40,2 a 31,3 per 10.000 negli uomini e da 27,0 a 21,5 per 10.000 nelle donne. La riduzione dei livelli di mortalità per queste cause avviene in tutte le province e per entrambi i generi sebbene l’intensità di tale variazione sia diversificata sul territorio.
Per i tumori maligni si osserva una lieve riduzione della mortalità da 33,8 a 31,1 per 10.000 negli uomini e da 17,3 a 16,6 per 10.000 nelle donne. Tuttavia in molte province si registrano ancora tassi di mortalità crescenti; tra queste i maggiori aumenti si hanno, per entrambi i generi, a Viterbo e Cremona. Le aree a più elevata mortalità sia per gli uomini che per le donne, sono più frequentemente le province settentrionali del Paese.

LA SALUTE DELLE DONNE – Il dato storico, che vedeva le donne più longeve e più in salute, sta iniziando a subire delle modificazioni. La speranza di vita alla nascita vede un incremento rilevante negli ultimi dieci anni, incremento che tuttavia, contrariamente a quanto avvenuto in passato, è maggiore per il genere maschile (1,1 anno per le donne a fronte di 1,8 per gli uomini). Per di più la popolazione anziana, che per definizione necessita di impegno socio-sanitario, è costituita da un 37% di donne sole e monoreddito. Insomma, "i dati del Rapporto Osservasalute forniscono un quadro allarmante rispetto alla salute del genere femminile”, ha sottolineato Roberta Siliquini, ordinario di Igiene all’Università di Torino.
Che la salute delle donne perda terreno si vede anche da altri dati: “il tasso standardizzato di mortalità per tumore e per malattie del sistema circolatorio (le patologie killer dei nostri tempi)” – ha sottolineato Siliquini – “per quanto in riduzione negli ultimi anni, vede ancora il genere femminile svantaggiato dal momento che l’andamento mostra una riduzione molto più forte per il genere maschile”.
“Tali dati – ha spiegato l'esperta - pur tenendo conto dei dovuti tempi di latenza, non possono non essere correlati a mutamenti comportamentali che, nel tempo, stanno portando il genere femminile ad avere fattori di rischio tipicamente maschili: si pensi all’abitudine al fumo per la quale pare che le recenti politiche abbiamo avuto uno scarso successo sulle donne (percentuali di ex fumatori del 16% per le donne e 39% per i maschi) e alla ridotta abitudine a praticare sport (38% uomini vs 24% donne)”.
“Inoltre – conclude Siliquini - esistono ancora rilevanti problemi di prevenzione anche in ambiti strettamente femminili: il dato dell’estensione effettiva dello screening mammografico in Italia è basso, pari al 62% delle donne che dovrebbero fare la prevenzione, per di più con rilevanti differenze Nord/Sud; la percentuale di tagli cesarei è ancora elevatissima (media Italiana sopra il 40%) e tristemente in aumento, malgrado linee guida specifiche ormai diffuse da tempo”.

ITALIANI SEMPRE PIÙ PESANTI, GRASSI SIA ADULTI CHE BAMBINI – Ogni anno, nel nostro Paese, circa 50.000 decessi vengono attribuiti all’obesità, i cui tassi sono in preoccupante aumento soprattutto tra bambini e adolescenti. Tali soggetti, spesso colpiti fin dall’età infantile da difficoltà respiratorie, problemi articolari, disturbi dell'apparato digerente e di carattere psicologico, hanno una maggiore probabilità di sviluppare, precocemente, ulteriori fattori di rischio quali ipertensione, malattie coronariche, diabete di tipo 2 e ipercolesterolemia.
In Italia più di un terzo della popolazione adulta (35,5%) è in sovrappeso, mentre circa una persona su dieci è obesa; in totale, il 45,4% della popolazione adulta è in eccesso ponderale.
Nel confronto interregionale si osserva un importante gradiente Nord-Sud: le regioni meridionali presentano la prevalenza più alta di persone in sovrappeso (Molise 40,1%, Basilicata 41,0%) e obese (Campania e Emilia-Romagna 11,5%) rispetto alle regioni settentrionali (sovrappeso: Trentino-Alto Adige 32,0%, Piemonte 33,3% e Veneto 33,4%; obesità: PA Bolzano 6,9%, Trentino-Alto Adige 8,4% e Piemonte 8,7%). Confrontando i dati del 2008 con quelli dell’anno precedente (Rapporto Osservasalute 2009), si osserva la tendenza all'aumento delle persone in sovrappeso nella maggior parte delle regioni, senza differenze geografiche; una lieve, ma non significativa, diminuzione si riscontra in Campania e Sicilia. Per quanto riguarda le persone obese, dieci regioni presentano tassi maggiori rispetto allo scorso anno e dieci regioni registrano una minor prevalenza, lasciando il dato medio nazionale inalterato.
Nel periodo 2001-2008 la percentuale di persone di 18 anni e oltre in condizione di sovrappeso e obesità è andata aumentando passando, rispettivamente, dal 33,9% nel 2001 al 35,5% nel 2008 e dall’8,5% nel 2001 al 9,9% nel 2008.
Per quanto riguarda i bambini, la quota complessiva di quelli grassi è del 34%, il 2% in meno rispetto al precedente Rapporto. Tra gli otto e i nove anni sovrappeso e obesità riguardano rispettivamente 22,9% e 11,1% dei bambini, con ampia variabilità regionale: dall’11,4% di bimbi in sovrappeso nella PA di Bolzano al 28,3% in Abruzzo; dal 3,5% di piccoli obesi nella PA di Trento al 20,5% in Campania.


QUALCHE SPORTIVO IN PIÙ MA CONTINUA A VINCERE LA PIGRIZIA - Rispetto al Rapporto Osservasalute 2009 si registra un leggero incremento della quota di persone che svolgono solo qualche attività fisica e una conseguente riduzione nella quota di sedentari.
Nel 2008 il 21,6% della popolazione di 3 anni e oltre pratica uno o più sport con continuità, poco più di un italiano su cinque (era il 20,6% nel precedente Rapporto) mentre il 9,7% lo pratica in modo saltuario. Le persone che dichiarano di svolgere qualche attività fisica (come fare passeggiate per almeno 2 chilometri, nuotare o andare in bicicletta), sono il 27,7%. La quota di sedentari è pari al 40,2%.
Come negli anni precedenti si vede che nelle regioni meridionali si fa meno sport in maniera continuativa - in Sicilia lo pratica solo il 13,8%, in Campania il 15,1% e in Puglia il 15,8% - rispetto alle regioni settentrionali (Trentino-Alto Adige 33,5%) e centrali (Lazio 23,2%). Verosimilmente, l’analisi territoriale mostra come la sedentarietà aumenti man mano che si scende da Nord verso Sud, in particolare in Campania (53,9%), Calabria (54,6%) e Sicilia (61,8%) dove oltre la metà delle persone dichiara di non praticare nessuno sport.

LA DIETA MEDITERRANEA, UNA TRADIZIONE DA RICONQUISTARE – Aumentano di pochissimo i consumi di frutta e verdura degli italiani, nel 2008 solo il 5,7% delle persone (poco più di cinque su 100) mangia le cinque porzioni raccomandate al dì, con un +0,1% rispetto al 2007.
Si noti che per il 2008, nelle regioni dove è più diffusa l’abitudine di pranzare fuori casa (a mensa e al ristorante, sono soprattutto le regioni del Nord e il Lazio) si registra una percentuale più elevata di persone che dichiarano di mangiare 5 e più porzioni al giorno di ortaggi, verdura e frutta.
L’evoluzione dei consumi alimentari ha messo in evidenza il ruolo della mensa come luogo di consumo dei pasti in relazione all’assunzione giornaliera di verdura, ortaggi e frutta.
Le tendenze degli italiani a tavola non sono proprio virtuose, pur con qualche marginale segno di miglioramento: negli anni 2001-2009, i consumi degli italiani risultano molto lontani da una dieta equilibrata, che richiederebbe soprattutto l’incremento del consumo di vegetali e la riduzione del consumo delle fonti di grassi, di zuccheri semplici e delle bevande alcoliche. Si riscontra la diminuzione nei consumi di alcune fonti di grassi (salumi e formaggi), ma anche del consumo di latte e patate. Troppo esiguo inoltre il consumo di cereali (pane, pasta e riso), visto che una dieta equilibrata prevede che i carboidrati ammontino a circa l’84% del fabbisogno medio giornaliero. Inoltre si osserva un aumento delle persone che consumano dolci in quantità moderata, mentre risulta fortemente crescente il consumo di snack salati. Si osserva anche l’aumento del consumo di bevande gassate.
I giovani si imitano anche nelle cattive abitudini, infatti dal Rapporto emerge che le ragazze si stanno accostando alle abitudini meno salutari dei ragazzi loro coetanei: si osserva per le giovani di 18-24 anni la crescita del consumo di alcolici fuori pasto e alcolici diversi da birra e vino e di alimenti proteici.

ALCOL - I non consumatori risultano pari al 29,4% della popolazione (dati 2008), dato rimasto stabile rispetto al 2007 in tutte le regioni ad eccezione di Molise e Campania dove si registra un incremento statisticamente significativo dei non consumatori (Molise +4,5 punti percentuali; Campania +2,9 punti percentuali).
La prevalenza di consumatori a rischio raggiunge, nel 2008, il 25,4% per gli uomini e il 7,0% per le donne. Non si evidenziano differenze statisticamente significative rispetto al 2007 tra gli uomini, mentre si registra una riduzione complessiva, a livello nazionale, di 0,8 punti percentuali tra le donne e a livello regionale in Piemonte (-3,2 punti percentuali) e nelle Marche (-3,8 punti percentuali).
La prevalenza di consumatori a rischio 11-18enni raggiunge, nel 2008, il 18,0% per il genere maschile e l’11,4% per quello femminile e a livello regionale non si registrano differenze statisticamente significative rispetto al 2007. Il dato più elevato, rispetto alla media nazionale, si registra, per entrambi i generi, nella Provincia Autonoma di Bolzano (M = 33,2%; F = 33,2%).

FUMO - Nel 2008 si stima che, la quota di fumatori tra la popolazione di 14 anni e oltre, sia pari al 22,2%. Il dato è rimasto complessivamente stabile negli ultimi anni.
Non emergono grandi differenze territoriali, anche se si riscontra una leggera prevalenza nell’abitudine al fumo nelle regioni meridionali. Rispetto ai dati del 2007 (Rapporto Osservasalute 2009), si evidenzia un aumento dei fumatori soprattutto in Calabria (che passa dal 17,0% al 20,6%) e in Puglia (dal 20,8% al 22,5%) e una diminuzione in Liguria (dal 23,2% al 20,2%). Le persone che hanno smesso di fumare sono aumentate nel periodo dal 2001 (20,1%) al 2008 (22,9%), in modo lento ma costante, con una distribuzione degli ex-fumatori prevalentemente nelle regioni del Centro-Nord (Valle d’Aosta 25,7% e Umbria 27,3%) rispetto al Sud (Campania 18,9% e Calabria 17,9%). Il numero medio di sigarette fumate quotidianamente è di 13,5, quota che aumenta man mano che si scende verso Sud.
Notevoli sono le differenze di genere: gli uomini fumatori sono il 28,6%, mentre le donne il 16,3%. Rispetto al 2007 (Osservasalute 2009) si registra una sostanziale stabilità del fenomeno, sia per gli uomini che per le donne.

MALATTIE CARDIOVASCOLARI - In Italia, attualmente, le cause di morte più frequenti sono quelle connesse alle malattie del sistema circolatorio (39% di tutti i decessi registrati annualmente). In particolare, le malattie cardiovascolari (malattie ischemiche del cuore e malattie cerebrovascolari), costituiscono circa il 24% della mortalità generale. Tra le malattie del sistema circolatorio la cardiopatia ischemica e le patologie ad essa correlate rappresentano la causa di morte principale nel 33% dei decessi. In questa graduatoria seguono, poi, gli eventi cerebrovascolari con il 28% dei decessi.
Nel nostro Paese si stima che, annualmente, sono oltre 300 mila gli anni potenziali di vita perduta dalle persone di età non superiore a 65 anni decedute per patologie cardiovascolari. Coloro che, invece, sopravvivono ad una forma acuta di cardiovasculopatia divengono malati cronici, con qualità della vita decisamente ridotta e con alto consumo di risorse assistenziali, nonché farmaceutiche, a carico del Servizio Sanitario Nazionale e dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS). Dalle fonti dell’INPS emerge che, la spesa assistenziale per le pensioni di invalidità da attribuire alle patologie cardiovascolari croniche supera il 30%.
Per le malattie ischemiche del cuore il primo dato evidente è che i tassi di ospedalizzazione negli uomini continuano ad essere, come negli anni precedenti, più del doppio rispetto a quelli delle donne; un esempio sono i tassi di ospedalizzazione per l’infarto acuto (377,8 ospedalizzazioni per 100.000 uomini nel 2008, contro 151,7 ospedalizzazioni per 100.000 donne).
Nel 2008, i tassi più elevati di ospedalizzazione per malattie ischemiche del cuore, si registrano in Campania, sia per gli uomini che per le donne (1.410,5 per 100.000 e 512,5 per 100.000 rispettivamente), a cui si aggiungono Sicilia, Molise, Calabria e, in genere, le regioni del Sud. Per quanto riguarda l’infarto acuto le regioni con i maggiori tassi di ospedalizzazione sono le Marche per gli uomini (448,1 per 100.000) e la PA di Trento per le donne (192,8 per 100.000).
Tra il 2007 e il 2008 in tutte le regioni e in entrambi i generi, si evidenzia un trend decrescente dell’ospedalizzazione per malattie ischemiche del cuore nel loro complesso, con l’eccezione del Piemonte per gli uomini e della PA di Bolzano per le donne che registrano una leggera crescita dei tassi.

TUMORI – Nel nostro Paese (dati dell’Associazione Italiana Registri Tumore - AIRTUM), il 4,2% del totale della popolazione, ha avuto una diagnosi di tumore prima del 2006, pari a circa 2 milioni e 250 mila soggetti (987.500 uomini e 1.256.400 donne);
- quasi il 58% di questi pazienti (che corrisponde al 2,4% della popolazione totale) ha avuto una diagnosi di tumore da oltre 5 anni (lungo-sopravviventi);
- nelle donne, la prevalenza per tumore maligno, è doppia per la classe 60-74 anni rispetto a quelle delle classi più giovani (45-59), mentre negli uomini è doppia nei più anziani (75+) rispetto alla classe 60-74 anni;
- nei soggetti anziani (>=75 anni) la proporzione di coloro che hanno avuto un tumore risulta del 15%. La tendenza all’aumento di casi prevalenti, nella fascia avanzata d’età, pone problemi rilevanti per le politiche sanitarie: si tratta, infatti, di una frazione di popolazione dove spesso persistono più malattie e disabilità e che richiede approcci di sostegno adeguati;
- la variabilità geografica, nella prevalenza dei tumori, mostra proporzioni (negli uomini e nelle donne complessivamente) tra il 4-5% in tutto il Centro-Nord, tra il 3-4% in Trentino-Alto Adige e nel registro sardo (Sassari) e tra il 2-3% nel Sud e nel registro laziale (Latina);
- i tumori della mammella sono i più frequenti nelle donne (42% del totale) seguiti dai tumori del colon-retto (12%), dell’endometrio (7%) e della tiroide (5%). Negli uomini, il 22% dei casi prevalenti, è dovuto a tumori della prostata, il 18% a tumori della vescica e il 15% a tumori del colon-retto.

GLI ITALIANI E LA DEPRESSIONE – Continua il trend di aumento del consumo di farmaci antidepressivi, come già visto nel precedente Rapporto. L’aumento dell’utilizzo interessa, indistintamente, tutte le regioni.
L’utilizzo di questi farmaci, anche per le forme depressive più lievi di ansia e attacchi di panico, è spesso appannaggio dei Medici di Medicina Generale, più che degli specialisti, con una conseguente maggior diffusione nella popolazione.
Il loro crescente utilizzo può essere spiegato con i cambiamenti culturali poiché, patologie come ansia e depressione, sono meno stigmatizzate dalla popolazione, ma bisogna tenere in considerazione che questi farmaci vengono utilizzati anche per patologie non strettamente psichiatriche, come per la terapia del dolore, nei cui confronti si sta assistendo, nel nostro Paese, ad un cambiamento culturale nella prescrizione e utilizzo dei farmaci.
Le regioni del Centro-Nord (in particolare, PA di Bolzano, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria) risultano avere maggiori consumi rispetto a quelle del Sud (Puglia, Basilicata, Molise) nelle quali si registra, comunque, un trend in aumento, tranne che per la Sardegna, i cui consumi si avvicinano a quelli delle regioni settentrionali. Tale differenza potrebbe essere spiegata da un diverso utilizzo dei servizi psichiatrici e dai diversi stili di vita.

CONSUMI DI COCAINA - Per quanto riguarda il consumo di cocaina si assiste, dal 2005 al 2007, ad un aumento a livello nazionale e in quasi tutte le regioni. Le uniche eccezioni sono rappresentate dalla Provincia Autonoma di Bolzano, dal Friuli Venezia Giulia e dal Lazio che mostrano un trend in discesa degli utenti per tale sostanza e dalle Marche che mostra, invece, valori stabili al di sotto della media nazionale. In generale, l’accesso ai SerT per consumo di cocaina aumenta dal 2003 al 2007, anno in cui più di 4 abitanti su 10.000 sono in cura, così come confermato dalle indagini europee che mostrano un crescente aumento nell’abuso di questa sostanza, confermando il problema della diffusione di cocaina nella popolazione.
Le regioni che mostrano valori decisamente sopra la media sono: Lombardia (che mostra i valori più elevati nel contesto nazionale) e Campania, mentre il Lazio mostra un trend in discesa rispetto ai dati precedenti, con valori che restano comunque elevati. Regioni come Valle d’Aosta, Veneto, Abruzzo, Molise, Puglia, Calabria e Sardegna, pur mantenendo valori al di sotto o leggermente superiori alla media nazionale, hanno visto, negli ultimi due anni considerati (2005- 2007), raddoppiare l’accesso alle cure per dipendenza da cocaina.

QUASI UN ITALIANO SU 10 NON VA DAL DENTISTA, ANCHE SE DOVREBBE - Il ricorso alle cure odontoiatriche è un importante indicatore delle disuguaglianze nell’accesso ai servizi sanitari, infatti varia significativamente per età e status socio-economico, soprattutto perché in Italia il ricorso a queste cure è quasi sempre a carico delle famiglie. Infatti quasi un italiano su 10 (9,7% delle persone dai 16 anni in su) non ha potuto sottoporsi a una visita specialistica per la salute della bocca, pur presentandone la necessità.
Esiste un chiaro gradiente territoriale Nord-Sud. Sei regioni (Campania, Sardegna, Puglia, Sicilia, Calabria e Basilicata) presentano valori superiori a quello nazionale per quel che concerne la necessità insoddisfatta di una visita dal dentista, tutte queste aree si trovano nel Sud. Il valore più elevato si registra in Basilicata (16,1%), mentre quello più contenuto caratterizza la Valle d’Aosta (3,5%). Valori inferiori all’8% si registrano anche in Liguria, Umbria, Friuli Venezia Giulia e nelle due Province Autonome del Trentino Alto Adige.

 

08 marzo 2011
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