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Rapporto Pit Salute 2014. La salute costa troppo, i cittadini rinunciano alle cure


Le difficoltà di accesso alle prestazioni, ma soprattutto l’eccessivo peso dei ticket e spingono i cittadini a rinunciare alle cure e a sacrificare la propria salute. I lunghi tempi di attesa continuano a rimanere la preoccupazioni principale. Scendono invece le segnalazioni sulla presunta malpractice. È quanto emerge dal XVII Rapporto del Tdm Cittadinanzattiva

30 SET - Non sono solo le lunghissime attese per ricevere una prestazione con il Ssn a sfiancare i cittadini al punto di rinunciare a curarsi. Ora c’è un nuovo spettro che avanza prepotentemente e si chiama “ticket”. I loro costi elevati e in particolare gli aumenti di quelli per specialistica e diagnostica sono diventati per molti cittadini un ostacolo insormontabile che li allontana dalla possibilità di accedere alle cure. E il problema è avvertito ogni giorno di più, tant’è che in un anno il numero di persone che puntano il dito verso spese troppo alte è cresciuto di 20 punti percentuale. Ma anche l’assistenza territoriale incassa giudizi critici dai cittadini.
 
A disegnare i contorni dei bisogni soddisfatti e di quelli inevasi dei cittadini è la 17° edizione del Rapporto Pit Salute “(Sanità) in cerca di cura”, presentato oggi a Roma dal Tribunale per i diritti del malato-Cittadinanzattiva. Un rapporto dal quale emerge con grande evidenza che le difficoltà economiche, i costi crescenti dei servizi sanitari e le difficoltà di accesso spingono i cittadini a rinunciare alle cure e a sacrificare la propria salute.
 
Su oltre 24mila segnalazioni giunte nel 2013 ai PitI salute nazionale e regionali e alle sedi locali del Tdm, quasi un quarto (23,7%, +5,3% rispetto al 2012) riguarda le difficoltà di accesso alle prestazioni sanitarie determinate da liste di attesa (58,3%, -16% sul 2012), peso dei ticket (31,4%, +21%) e dall’intramoenia insostenibile (10,1%, - 5,3%). Al secondo posto delle problematiche segnalate dai cittadini ci sono le criticità dell’assistenza territoriale. Mentre i casi di presunta malpractice diminuiscono di 2 punti percentuale.
 
Il problema ticket. Sono il secondo ostacolo all’accesso alle prestazioni, dopo le liste d’attesa, in forte aumento di più di 20 punti in percentuale dal 10,3% del 2012 al 31,4% del 2013. In questo ambito, quasi la metà (44%) dei cittadini contatta Cittadinanzattiva per i costi elevati e gli aumenti dei ticket per specialistica e diagnostica, il 34,4% per avere informazioni sull’esenzione dal ticket, il 12,9% sul perché alcune prestazioni siano erogate a costo pieno (e non solo con il ticket) e l’8,6% sulla mancata applicazione dell’esenzione.
 
I costi. Nell’ultimo anno, il valore pro-capite della spesa sanitaria privata si è ridotto da 491 a 458 euro all’anno e le famiglie italiane hanno dovuto rinunciare complessivamente a 6,9 milioni di prestazioni mediche private. Dopo il restringimento del welfare pubblico, anche il welfare privato familiare comincia a mostrare segni di cedimento. Tra il 2007 e il 2013 la spesa sanitaria pubblica è rimasta praticamente invariata (+0,6% in termini reali) a causa della stretta sui conti pubblici. È aumentata, al contrario, la spesa di tasca propria delle famiglie (out of pocket): +9,2% tra il 2007 e il 2012, per poi ridursi del 5,7% nel 2013 a 26,9 miliardi di euro. Tre miliardi gli euro spesi dagli italiani per ticket sanitari nel 2013, con un incremento del 25% dal 2010 al 2013 (Corte dei Conti).
Oltre il 13% delle segnalazioni riguarda costi a carico dei cittadini per accedere a prestazioni sanitarie. Tra le voci di spesa “out of pocket” ci sono quelle sostenute per l’acquisto di farmaci e per le prestazioni in intramoenia. Poi quelle per pagare i ticket di esami diagnostici e visite specialistiche. In particolare i costi medi sostenuti in un anno da una famiglia sono di: 650 euro per farmaci necessari e non rimborsati dal Ssn; 901euro per parafarmaci (integratori alimentari, lacrime artificiali, pomate, etc.); 7.390 euro per strutture residenziali o semi-residenziali; 9.082 euro per l’eventuale badante; 1070 euro per visite specialistiche e riabilitative; 537 euro per protesi e ausili; 737 per dispositivi medici monouso, vale a dire pannoloni, cateteri, materiali per stomie.
 
I lunghi tempi di attesa. In testa alla classifica delle criticità segnalate dai cittadini ci sono le difficoltà di accesso alle prestazioni sanitarie. E tra le tante difficoltà i lunghi tempi di attesa continuano a rimanere in vetta alle preoccupazioni dei cittadini: a lamentare le liste di attesa è il 58,5%, quasi ugualmente ripartite fra esami diagnostici (34,1%), visite specialistiche (31,4%) e interventi chirurgici (27,1%).
Nella classifica dei tempi di attesa per esami diagnostici al primo posto figura la mammografia per la quale si può aspettare fin a 14 mesi. Ma non va meglio per Moc o Tac, in questo caso le attese arrivano ad un anno. Si aspetta fino a 11 mesi per una Colonscopia, 10 mesi per l’Ecodoppler e 9 mesi per Risonanza magnetica, Ecocardiogramma/Elettrocardiogramma e otto mesi per un’Ecografia. I tempi si allungano per le visite specialistiche si arriva ad aspettare fino a 20 mesi per una visita psichiatrica. Nove mesi per una visita Oculistica, 7 mesi per quella cardiologica e ortopedica, per l’oncologica si attendono 6 mesi. Si aspetta infino fino a due anni per un intervento di ernia discale o un intervento alle varici, un anno per una protesi ginocchia.
 
Assistenza territoriale. Al secondo posto, tra i problemi lamentati dai cittadini figura la grave situazione dell’assistenza territoriale (15,6%, in lieve aumento rispetto all’anno precedente); in particolare le segnalazioni riguardano l’assistenza ricevuta da medici di base e pediatri di libera scelta (il 25,7% delle segnalazioni, +2,3%). I motivi? I cittadini si vedono negata una visita a domicilio o il rilascio di una prescrizione; la riabilitazione (20,3%, +6,7%), in particolare per i disagi legati alla mancanza o scarsa qualità dei servizio in ospedale o alla difficoltà nell’attivazione di quello a domicilio; l’assistenza residenziale (17,3%, invariato rispetto al 2012).
 
Scendono le segnalazioni sulla presunta malpractice. Dopo essere stato per anni il primo problema per i cittadini, la presunta malpractice rappresenta la terza voce di segnalazione (15,5% delle segnalazioni nel 2013 vs al 17,7% del 2012). Sarà anche questo un effetto delle difficoltà di accesso ai servizi? Pesano ancora in modo preponderante in questa area i presunti errori terapeutici e diagnostici (66%, ossia i due terzi delle segnalazioni, +9% sul 2012); seguiti dalle condizioni delle strutture (16%, -7%), dalle disattenzioni del personale sanitario (10,4%, -2,1%), dalle infezioni nosocomiali e da sangue infetto (3,8%). In ambito terapeutico, i presunti errori riguardano in particolare l’area ortopedica (33,4%, +1,3%) e la chirurgia generale (16,8%, +5,6%); in ambito diagnostico, in particolare l’area oncologica (25,6%, -1,7%) e l’ortopedia (19,4%, +5,1%).
 
Le segnalazioni sull’assistenza ospedaliera passano dal 9,9% del 2012 al 13,1% del 2013. In questo ambito, crescono soprattutto le segnalazioni inerenti l’area dell’emergenza urgenza (dal 40% al 47,7%): l'attesa per l'accesso alla prestazione è il più rilevante dei problemi, ed è ritenuta eccessiva nel 40,7% dei contatti (38,4% nel 2012); seguono le segnalazioni per assegnazione non chiara del codice di triage: 30,9% nel 2013 (34,4% nel 2012), quindi i ritardi nell’arrivo delle ambulanze (15,4%); e per finire le segnalazioni di ticket per il pronto soccorso (13%).

30 settembre 2014
© Riproduzione riservata


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