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Cancro. Innovazione nelle cure e ricadute sui sistemi sanitari dei nuovi farmaci oncologici. Europa meglio degli Usa con costi inferiori del 20/40%. Il rapporto dell’Ims

di Maria Rita Montebelli

L'Institute for Helthcare Informatics fa un'ampia analisi delle tendenze mondiali del mercato dei farmaci oncologici. L'oncologia diventerà la prima voce di spesa sanitaria nel 2017 nei paesi industriualizzati e la quarta negli emergenti. Già oggi il costo medio per una terapia negli Usa è di 10mila dollari con punte di 30 mila. Ma in Europa facciamo meglio grazie a politiche più accorte sul fronte regolatorio e dei prezzi

09 MAG - Le malattie oncologiche rappresentano una priorità assoluta per i sistemi sanitari di tutto il mondo: da una parte i trend epidemiologici in crescita costante, in gran parte legati all’invecchiamento della popolazione; dall’altra l’arrivo sul mercato di sempre più numerose opzioni terapeutiche, a costi elevati. Una sfida dunque per la sostenibilità di tutti i Paesi che, si tenta di arginare, in modo non sempre efficace, con l’implementazione delle strategie di prevenzione, dai vaccini alla diagnosi precoce.
 
Stabilire il valore di un trattamento anti-tumorale, può non essere facile, neppure disponendo di un’adeguata documentazione clinica; questo genera grandi disparità da un Paese all’altro, circa le decisioni di quali trattamenti andare a rimborsare, con quali limitazioni e per quali classi di pazienti.
 
Negli USA, il mercato dei farmaci oncologici (comprese le terapie di supporto) nel 2013 ha toccato quota 91 miliardi di dollari, dai 71 miliardi del 2008, che corrisponde ad un + 5,4% l’anno, decisamente modesto se paragonato al + 15% su base annua, registrato tra il 2003 e il 2008. Negli ultimi anni la crescita di mercato è stata infatti ‘calmierata’ dall’ arrivo di farmaci rivoluzionari ma utilizzabili su piccoli segmenti della popolazione oncologica e dalle scadenze brevettuali.
 
In ogni caso, l’oncologia rimane un capitolo di spesa consistente per i servizi sanitari di tutto il mondo e si prevede che entro il 2017 rappresenterà la prima voce di spesa farmacologica nei Paesi industrializzati e la quarta nei mercati ‘farmemergenti’(Cina, Brasile, Russia, India, Messico, Turchia, Venezuela, Polonia, Argentina, Arabia Saudita, Indonesia, Colombia, Tailandia, Ucraina, Sud Africa, Egitto, Romania, Algeria, Vietnam, Pakistan e Nigeria).
 
Il 65% delle vendite dei farmaci oncologici viene realizzato nel mercato statunitense e nella top 5 dei Paesi europei. Le terapie a target (es. MabThera/Rituxan, Avastin, and Herceptin ) rappresentano ormai il 46% del mercato, mentre solo una decina di anni fa ne occupavano appena l’11%.
 
L’innovazione c’è stata e ha investito tutte le forme tumorali e gli approcci terapeutici, compreso quello dei vaccini preventivi. E le aziende continuano ad investire molto in R&D per quest’area terapeutica: oltre il 30% di tutti gli studi preclinici e di fase I sono di pertinenza oncologica; solo negli ultimi due anni, 22 nuove molecole oncologiche sono state introdotte sul mercato.
 
L’associazione di più farmaci innovativi, anche prodotti da aziende diverse, ha inoltre rivoluzionato negli ultimi anni il trattamento del melanoma e di altre sottopopolazioni di pazienti oncologici. La maggior parte delle nuove molecole sono tuttavia ‘super-specializzate’ e destinate a piccole popolazioni di pazienti, molto lontane dunque dal fatturato di alcuni blockbuster del passato.
 
La maggior parte degli investimenti per il prossimo futuro è concentrata sulla categoria dei biologici e in particolare sulle terapie a target; ma la maggior parte dei farmaci in sviluppo preclinico è rappresentata da piccole molecole. E anche molti dei farmaci oncologici lanciati dal 2007 sono piccole molecole, molte disponibili in formulazione orale.  Nel 2013 ad esempio, nove su dieci nuovi farmaci oncologici lanciati sul mercato sono stati piccole molecole.
 
Tra i farmaci innovativi più interessanti degli ultimi due anni, gli ‘anticorpo –farmaco coniugati’  (ADC), quali il Kadcyla (trastuzumab emtansine ) per i tumori solidi, il Pomalyst (pomalidomide) come agente immunomodulante e il Gazyva, un anticorpo monoclonale anti CD20. La parte del leone, nei prossimi anni, la faranno i farmaci per i tumori del polmone e della mammella, seguiti da quelli per le neoplasie di ovaio, stomaco, fegato e per le leucemie. Importanti gli investimenti anche nel campo della nuova branca dell’immuno-oncologia. In generale dunque, la pipeline oncologica è la quella con in maggior investimenti in R&D, con La sola eccezione delle nazioni BRIC (Brasile, India, Russia e Cina). Al momento, sono oltre duemila i candidati farmaci in sviluppo, pari ad un terzo del totale in pipeline: 1.026 in fase preclinica, 352 in fase I, 369 in fase II, 102 in fase III e 16 in fase pre-registrativa o appena registrati.
 
Grande ovviamente è l’attenzione dei payers, sia pubblici che privati, ai costi generati dalle nuove terapie; negli USA, il costo medio di un mese di terapia con un farmaco oncologico branded, si aggira ormai sui 10 mila dollari al mese (contro i 5.000 di dieci anni fa), con punte di 30.000 dollari al mese. Più che mai prioritarie dunque per le autorità regolatorie e per i payer, l’appropriatezza delle indicazioni e la selezione dei pazienti ai quali destinare le nuove terapie, che devono dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio di avere un valore aggiunto rispetto alle terapie tradizionali, decisamente meno costose.
 
E per facilitare queste valutazioni di costo-efficacia, l’ASCO (American Society of Clinical Oncology) ha di recente raccomandato degli obiettivi da inserire nei trial clinici, al fine di ottenere dei risultati significativi e aiutare così il decisore nella scelta di quali farmaci ammettere al rimborso o meno, ma anche per guidare gli investimenti in innovazione.
 
Un sistema di pagamenti più concentrato e l’ Health Technology Assessment fanno sì che in Europa i farmaci si paghino in media il 20-40% in meno che negli Usa, grazie alla scontistica praticata. Il recente arrivo dei biosimilari ha introdotto inoltre un nuovo elemento di competizione all’interno del mercato dei biologici in oncologia, che ha un valore 40 miliardi di dollari. Si prevede tuttavia che nei Paesi industrializzati, i biosimilari non avranno una grande presa, visto il continuo arrivo sui mercati ricchi di nuove generazioni di biologici, con relativa copertura brevettuale.
 
Nei Paesi a basso e medio income invece è previsto un buon successo dei ‘biologici non-originali’, farmaci basati su molecole originali, mai introdotte prima in un determinato Paese. Entro il 2020 si prevede che i biosimilari (compresi i biologici non originali) genereranno un fatturato di 6-12 miliardi di dollari in campo oncologico, pari al 5% del mercato globale dei biologici. Finora il mercato americano ha rappresentato una fetta del 41% del mercato mondiale dei farmaci oncologici, ma la nuova riforma sanitaria potrebbe apportare molti cambiamenti nel settore.
 
Maria Rita Montebelli

09 maggio 2014
© Riproduzione riservata


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